Quale storiografia

Opinioni

Libertà di parola, diritto alla verità.

Il 26 novembre scorso a Oxford su invito della Oxford union, club universitario studentesco, David Irving, noto storico negazionista e Nick Griffin, leader del British National Party, sono stati invitati a parlare intorno alla libertà di parola. Si sono verificate proteste prima e durante la conferenza da parte di gruppi di studenti ebrei ed islamici che hanno ritardato l’inizio della conferenza, ma non hanno impedito lo svolgimento.
Molti si sono chiesti: è legittimo dare la parola a Irving? La domanda è sbagliata. Non è una questione di tolleranza, bensì relativa al rapporta storiografia e verità.

David Irving ha scritto e pubblicato in questi anni molti libri. Nessuno gli ha impedito di pubblicarli e nessuno gli ha negato l’accesso ai documenti per poter scrivere i suoi libri. In questo consiste la libertà di chi scrive di storia.
Ma quel prodotto non rappresenta un prodotto storiografico. La questione dunque non è astrattamente la libertà di parola, ma dove, con quale legittimità, all’interno di quale percorso. La storiografia è una disciplina “fragile” perché si presenta come la disciplina che racconta il vero. Solo che occorre rispettare delle regole. Non tutto ciò che si scrive accompagnato da una data o da nome proprio di luoghi esistenti diventa per ciò stesso “storia”.

Irving definisce un falso storico la Shoah. Nel suo linguaggio Auschwitz è una realtà di carta del tutto inventata, un non-luogo dove sarebbe avvenuto un non-fatto storico (lo sterminio, appunto). La guerra di Hitler (tradotto in Italia dalle edizioni Settimo Sigillo, nel 2001) è il testo in cui Irving ha esposto in forma sistematizzata le sue tesi.
Non è un testo di storia. Costituisce un interessante documento su come non si scrive un libro di storia, o su come si contrabbanda la scrittura sulla storia come libro di storia. E non è un libro di storia perché scrivere di storia significa confrontare tra loro fonti, anche di natura diversa, integrarle. Non è un modo di essere storici, è un modo per far finta di esserlo.

E allora il problema non è la libertà di parola. È la possibilità di riconoscere i falsi, e di discuterli al più nelle loro sedi opportune, nei giochi di simulazione. Discuterlo in altre sedi, quel falso diventa atto di propaganda tanto più potente perché “autolegittimato” dal presentarsi con la retorica della scrittura storica. E in quel caso la sottrazione della parola è uno dei modi per rivendicare il diritto alla verità.