Perché chi dice di volere la pace non vuole proseguire nel cammino tracciato dagli Accordi di Abramo?

Opinioni

di Angelo Pezzana

[La domanda scomoda] L’uso strumentale della parola “pace” trova un esempio illuminante nell’oblio che sta avvolgendo il “Progetto Abramo”. Studiato e subito realizzato durante la presidenza Trump, in tandem con Netanyahu e gli Emirati Arabi, aveva dimostrato nei fatti che la via per raggiungere la pace in Medio Oriente era finalmente possibile tra Israele e gli Stati arabi sunniti, dopo decenni di chiacchiere e tentativi fallimentari. Eppure era sufficiente sostituire gli attori filo palestinesi di un dramma che aveva come obiettivo la fine dello Stato ebraico; sul palcoscenico occidentale cambiava la regia, con risultati immediati. E lo sono ancora, come dimostrano le continue aperture diplomatiche da parte di Stati arabi nei confronti di Israele.
La pace, quella vera, stava vincendo. Gli Accordi di Abramo, invece di ricevere il Premio Nobel per la Pace, hanno però costretto gli eterni oppositori di Israele a ricercare nuove strade per ritornare al passato, quando in primo piano la linea da seguire era dettata dall’Autorità palestinese. Avanti, dunque, con le vecchie richieste, prima fra tutte la proposta “due popoli, due Stati”, che riemergeva dopo decenni di tentativi.
Il luogo da dove ripartire? Dove se non a Roma, che accoglie sotto lo slogan “far pressioni per sbloccare il negoziato politico con Israele” la visita di Abu Mazen, ricevuto da Mattarella e Draghi. Poteva mancare il Vaticano? Certo che no! Tutti affascinati, come se fosse una novità e non un ritornello che riemerge, che si ripete nelle parole di Ryad Al Maliki (nella foto), responsabile della politica estera dell’Anp, “come raggiungere pacificamente un accordo per l’indipendenza vera”. Il fatto che non esista nessuno Stato palestinese, come i palestinesi non sono un popolo ma una popolazione, sono realtà che è proibito ricordare.
Ecco, nuovo tabù, il Progetto Abramo. Come se il suo successo non fosse mai esistito. Ciò che importa è addossare a Israele tutte le responsabilità. Non c’è più Netanyahu? Il nuovo governo Bennett/Lapid ha 6 deputati arabi alla Knesset? Non basta, sono “falsi segnali”, non è cambiato nulla, dice Al Maliki. Sono stati questi gli argomenti della visita romana, resi più forti dal cambiamento della politica estera americana firmata Biden. Poco importa che Fiamma Nirenstein dimostri nel suo recente libro Jewish Lives Matter come l’antisemitismo sia diventato odio per Israele che non risparmia il pensiero di nessuno, nemmeno quello di chi crede di essere dalla parte giusta della Storia. Poco importa se Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, ricordi nel libro Il campo di battaglia come la formula “due Stati per due popoli” non abbia più nessuna possibilità di portare a conclusione la crisi israelo-palestinese. L’abbandono del Progetto Abramo ha ridato vigore alla politica il cui obiettivo non è la pace ma la guerra contro lo Stato ebraico.