Lo scandaloso Sholem Asch: dal melodramma in un bordello ebraico polacco alla rilettura del Vangelo

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di Cyril Aslanov

[Ebraica. Letteratura come vita] Oggi vorrei parlare di un autore importantissimo della letteratura in yiddish del Novecento, Sholem Asch, nato nella cittadina di Kutno nel 1880 in Polonia russa e morto a Bat Yam nel 1957. Assieme ai fratelli Singer, Asch si può considerare uno degli ultimi grandi prosatori della letteratura yiddish, rinnovata poco tempo prima grazie agli sforzi di Mendele Moykher Sforim (1836-1917), il “nonno” della letteratura yiddish moderna.

Nella breve storia della letteratura yiddish moderna (come accennato prima, questa letteratura ha perso il suo pubblico di lettori e il suo Sitz im Leben con la scomparsa di Isaac Bashevis Singer), Sholem Asch rappresenta un momento importante nello spostamento della letteratura yiddish dall’Europa agli Stati Uniti, dove lo scrittore risiedette in due periodi della sua vita: 1914-1923 e 1939-1957. Al di là di questo fatto biografico, certi aspetti della sua carriera letteraria rivelano la sua capacità di irradiare fuori dal pubblico ebraico di lingua yiddish, come Bashevis Singer fece un po’ più tardi. Questo successo internazionale deriva fra l’altro dallo scandalo scatenato dal dramma God fun nekome (Dio della vendetta), un’opera losca ma talentuosa che Asch scrisse in yiddish nel 1906, ma la cui anteprima venne rappresentata in tedesco a Colonia nell’inverno dello stesso anno. Nell’anno successivo il dramma fu rappresentato in russo a San Pietroburgo. E nello stesso anno, la versione originale in yiddish fu messa in scena a New York e 16 anni dopo venne ripresa a Broadway in traduzione inglese. Fu poi tradotta in molte lingue europee e rappresentata in parecchi palcoscenici di fronte a spettatori forse affascinati dall’immagine poco lusinghiera che Asch diede della vita ebraica in una cittadina polacca.

Lo scandalo di questo melodramma risiede nel fatto che combina il tema della prostituzione (il padre Yankl ospita un bordello nella propria casa) e del lesbismo (la figlia di Yankl si innamora di una delle prostitute). È probabilmente perché ricordava le conseguenze dello scandalo scatenato da Asch che Singer si rifiutò di stampare in formato libro un suo romanzo, pubblicato a puntate, sulla malavita ebraica: Yarme un Keyle (Keyla la rossa), di cui ho parlato nel numero di dicembre 2020 di Bet Magazine Mosaico.

I pregiudizi antisemiti così vigenti in Europa all’epoca della prima presentazione di Got fun nekome spiegano la popolarità di quest’opera, condannata da molti ebrei che avevano percepito quanto fosse pericoloso azzardarsi in queste zone, dove l’autocritica ebraica rischiava di essere riutilizzata come un argomento a favore dell’odio patologico diretto contro gli ebrei. È sintomatico che lo scrittore yiddish Yehuda Leybush Peretz (1852-1917) avesse consigliato a Asch di bruciare la sua opera. Invece, non solo Asch non ubbidì a Peretz ma non accettò di assumere l’impegno di succedergli nel ruolo di corifeo letterario dell’etnoclasse ebraica est-europea. Anzi, riuscì a diventare un autore ebraico apprezzato (per ragioni più o meno buone) dal pubblico non ebraico.

L’orizzonte tedesco di ricezione non fu solo una cassa di risonanza che spiega il successo di Sholem Asch, quasi sin dall’inizio della sua carriera; funzionò anche come un ponte fra l’originale yiddish e le traduzioni di traduzioni come si vede attraverso l’esempio del romanzo Motke ganev, pubblicato a puntate nel quotidiano yiddish newyorkese Forverts nel 1911, e poi come libro nel 1916 (Motke ganev, New York, Forverts). La versione italiana di questo romanzo (Moltke il ladro, trad. Angelo Treves, Milano, Garzanti, 1949) venne tradotta tramite l’intermediario della versione tedesca Mottke, der Dieb (Mottke, der Dieb, trad. Georg Richter, Berlino, Ladyschnikow, 1925). Curiosamente, il nome Motke, diminutivo yiddish di Mordechai, trascritto come Mottke nella traduzione tedesca, venne reinterpretato come Moltke nella versione italiana, con una [l] parassitica che fa assomigliare il nome del piccolo ladro ebreo Motke al cognome del feldmaresciallo prussiano Helmuth von Moltke.

Comunque, il gusto di Asch per lo scandalo non si smentì poiché pubblicò una trilogia dove propose una rilettura prospettivista del Vangelo: Der man fun Natsores (1939; 1943 per il testo completo in yiddish), pubblicato in italiano con il titolo Il nazareno (1947); Der Apostel (1943) pubblicato in italiano con il titolo L’apostolo (1950) e Meri (1949) pubblicato in italiano con il titolo La madre (1956). Questa trilogia, la cui traduzione in altre lingue interessò molto il pubblico cristiano, scandalizzò una grande parte di quello ebraico. Segno dei tempi, il simile tentativo di rimettere la narrazione neotestamentaria in prospettiva storica da un punto di vista ebraico, che venne proposta dal romanzo di Amos Oz nel 2017 (Ha-besorah ‘al pi Yehuda/Il Vangelo secondo Giuda) non scatenò quasi nessuno scandalo. Fatto sta che Oz fece la sua rilettura in Israele da sabra senza complessi, nell’atmosfera eminentemente pluralista dell’Israele moderna e non nella diaspora di un paese cristiano dove gli ebrei si sentono sempre osservati dai loro compatrioti non ebrei.