Come l’ebraismo tratta le sue Scritture? Lo spiega la filosofa Catherine Chalier

Libri

di Ugo Volli

Scintille. Letture e riletture

Chalier

Nella tradizione ebraica studiare la Torà (sia scritta che orale) è un dovere religioso, anzi, il primo e il più importante di tutti i precetti, se non altro perché la conoscenza delle norme dovrebbe condurre a seguirle tutte. Di fatto per venticinque secoli almeno, dal ritorno dall’esilio babilonese, in tutti gli infiniti luoghi dove sono vissuti, lo studio è stato continuamente al centro della vita religiosa, culturale, e anche sociale degli ebrei.
Ma che cosa significa studiare Torà? Come l’ebraismo tratta le sue Scritture? Non si tratta certo dello studio nel senso un po’ sommario che si pratica con la letteratura nelle scuole d’oggi. Sicuramente non solo di ricordare le storie degli antenati che tutti conoscono. E neppure si tratta solo di memorizzare i testi, anche se nelle discussioni del Talmud e nei commenti successivi è evidente che, in tempi in cui non esistevano ricerche elettroniche, concordanze, indici alfabetici e i libri erano rari e preziosi, un ebreo colto dovesse sapere a memoria più o meno tutta la Torà scritta e anche molto del Talmud e dei commenti, nonostante le enormi dimensioni. Un mio maestro ha parlato una volta della prova dell’ago: conoscere il Talmud voleva dire sapere che parole nelle varie pagine successive sarebbero state per così dire infilzate da un ago piantato in un certo punto del testo. Anche senza performances così estreme, solo la memoria permetteva ai sapienti di ritrovare fonti, individuare citazioni, fare confronti e dunque argomentare le proprie posizioni e decidere i casi concreti.
Ma la differenza fra la lettura che usiamo noi oggi e lo studio com’è inteso della tradizione ebraica non è solo tecnica, bensì si basa soprattutto su un orientamento assai diverso dello spirito, una modalità di senso profondamente originale. Lo spiega benissimo l’ultimo libro tradotto da Giuntina della filosofa francese Catherine Chalier, allieva e studiosa di Emmanuel Lévinas, che si intitola appunto Leggere la Torà: un volume piccolo ma denso e appassionato, che desidero raccomandare ai lettori piuttosto che tentare di riassumere. Chalier definisce la lettura ebraica della Torà opponendola a uno stile di approccio al testo che chiama “fondamentalista” e a quello storico-critico. Il secondo è trattato con gran rispetto, senza insistere sui suoi limiti epistemologici e sull’incertezza dei suoi risultati che ormai è chiara a molti. Per Chalier è sufficiente far presente che la conoscenza di come si sarebbe stratificato un testo e di quali interessi ne avrebbero condizionato la formazione ha poco a che fare col suo senso, il quale si accumula proprio con le letture e con le relazioni che intrattiene con il suo contesto. Non è affatto vero che il significato di una scrittura lunga e complessa come la Torà si esaurisca in ciò che aveva in mente chi l’ha redatta, anche ammesso di riuscire a capirlo. Per fare un esempio che nel testo non c’è, se anche ammettiamo che ci siano state delle intenzioni politiche (di polemica contro il regno del Nord come si vede nell’episodio di 1Re 12:26-30), nell’inclusione della storia del Vitello d’Oro nell’Esodo, quest’ipotesi non spiega certamente il senso di uno dei simboli più potenti del peccato nella Torà.
La lettura “fondamentalista” ha in comune con quella critica l’idea che il senso sia semplice, evidente e univoco, non richiedendo dunque alcuno sforzo ermeneutico per decifrarlo. La lettura ebraica parte invece sì dalla lettera, ma senza considerarla mai semplice e acquisita, anzi, cercando di decifrare le allusioni, il significato allegorico e quello “segreto” o mistico (secondo la classificazione tradizionale dei livelli di interpretazione in Peshat, Remez, Derash e Sod). Si sforza in tutti i modi di “muovere” ogni versetto, di metterlo in relazione significante col resto della Torà, trovando nuovo senso, magari in contrasto con altre interpretazioni, ma restando però in contatto con la tradizione e soprattutto tenendo ferme la conseguenze pratiche e legali. È una lettura dialettica, sottile e logica, ma anche straordinariamente appassionata e poetica: l’anima dell’ebraismo.