La Vienna da operetta. La severa Praga. Due città, due anime, due letterature. Opposti complementari?

Libri

di Cyril Aslanov

[Ebraica. Letteratura come vita] 

Vorrei analizzare l’opposizione tra due grandi centri della cultura ebraica della fine del Ottocento e dell’inizio del Novecento: Vienna, la splendidamente superficiale e futile capitale dell’Impero austro-ungarico, e la severa, seria e affascinante Praga. Sembra che Vienna abbia predisposto ad una certa inclinazione verso la facilità di scrittura, forse perché un romanziere o un drammaturgo viennese non aveva nessun problema a far pubblicare i propri libri o sceneggiare le proprie commedie. Invece, Praga era una città più esigente dove non bastava essere brillante: bisognava anche essere profondo e originale.

Consideriamo ad esempio due grandi figure della scena letteraria viennese: Theodor Herzl (1860-1904) e Stefan Zweig (1881-1942). Prima di scrivere il saggio Der Judenstaat nel 1896 che fece di lui il fondatore del sionismo politico, il giovane Herzl aveva già raggiunto una certa notorietà letteraria tramite la composizione di una commedia, del libretto di un’operetta e di racconti pubblicati a puntate nei giornali dove lavorava come giornalista. Le sue novelle, raggruppate in una raccolta intitolata Philosophische Erzählungen (“Racconti filosofici”) hanno qualcosa di comune con Guy de Maupassant nell’arte di conciliare un umorismo leggero con un’amarezza al limite di un nichilismo diffuso.

Zweig ebbe un percorso diverso in quanto era un critico letterario sagace, un biografo affascinante e un saggista acuto nonché l’autore di racconti certamente più profondi ed elaborati delle Philosophische Erzählungen di Herzl. Venendo dallo stesso milieu letterario dove si scriveva facilmente e si pubblicava con altrettanta facilità, Herzl e Zweig seguirono però itinerari opposti: a partire dal 1896 Herzl diventò per gli 8 anni che lo separarono dalla sua scomparsa nel 1904 il visionario di uno Stato ebraico a venire, di cui formulò la concezione nel suo saggio del 1896 e che immaginò nel suo romanzo di fantascienza politica Altneuland. In altre parole, era interamente rivolto verso un futuro che non ebbe mai la fortuna di vedere (Herzl, morto a 44 anni, ne avrebbe avuti 88 al momento della creazione dello Stato di Israele).

Invece, Zweig non ebbe questa svolta politica e rimase un uomo di lettere, distaccato dall’azione o piuttosto, un uomo la cui azione era essenzialmente legata alla produzione massiccia di testi letterari, semiletterari e saggistici. Il suo ultimo testo Il mondo di ieri si situa agli antipodi del Judenstaat e di Altneuland. A differenza di quegli scritti utopici e futurologi, Zweig constatò nostalgicamente la perdita irrevocabile di un passato ben più gratificante del disperato presente, così disperato da ispirargli la decisione di suicidarsi nella sua bella villa di Petrópolis vicino a Rio de Janeiro, il 22 febbraio 1942. Tre anni prima, il 27 maggio 1939, moriva nel suo esilio parigino un altro rappresentante del milieu letterario viennese, il famoso Joseph Roth (1894-1939), la cui Marcia di Radetzky esprime la stessa nostalgia che aveva Zweig per quell’Atlantide sommersa che costituiva per entrambi, come per molti ebrei austriaci, la Mitteleuropa ai bei tempi dell’Impero asburgico.

Nonostante le differenze fra loro Herzl, Zweig e Roth possono essere considerati come scrittori riconosciuti in vita, forse perché la loro carriera letteraria era stata favorita dalla loro attività giornalistica. In questo club viennese di scrittori di successo, furono raggiunti dall’ebreo praghese Leo Perutz (1882-1957). Invece, Franz Kafka rimase indefettibilmente legato a Praga, nonostante le sue velleità di ‘alyah verso la Palestina mandataria. Si accontentò di pubblicare pochi racconti, tra i quali Meditazione nel 1912, La condanna nel 1913, La metamorfosi e Davanti alla legge nel 1915, lasciando una gran parte della propria opera allo stato di manoscritti spesso incompiuti (come Il processo e Il castello).

Nella fase finale della tubercolosi che lo uccise, Kafka chiese al suo fedele amico Max Brod di bruciare la parte inedita della sua opera. Questa sua ultima volontà riflette da parte di Kafka una esigenza estrema che gli fece preferire la distruzione delle bozze alla pubblicazione di libri incompiuti. In realtà, Il processo era quasi finito oltre al fatto che il capitolo IX (“Nel Duomo”) contiene la sopramenzionata parabola Davanti alla legge pubblicata, come già detto, in forma di testo autonomo nel 1915. In questa sua volontà autodistruttrice, Kafka diede una risonanza particolare ai suoi libri condannati all’anichilimento. Sembrano “un tizzone sottratto al fuoco” per riprendere l’espressione di Zaccaria 3:2. In questo si misura la differenza profonda fra Kafka e Zweig: mentre Kafka volle gettare al fuoco i suoi libri, parte costitutiva del suo essere, nella tragedia della sua morte prematura, Zweig lasciò di sé un’opera prolifica e un testo postumo, Il mondo di ieri, che può essere considerato come il suo testamento spirituale e una chiave della sua decisione di mettere fine ai suoi giorni. In altre parole, la pulsione suicidaria fu letteralmente compiuta da Zweig e simbolicamente trasposta agli scritti da Kafka al momento della sua agonia.