Il teatro è l’arte dell’empatia, uno spazio di liberazione e di dialogo

Libri

di Esterina Dana
In Belletà, (Bollati-Boringhieri, 1993), Fulvio Scaparro e Gustavo Pietropolli Charmet ci illustrano com’è vivere  in quel delicato intervallo tra il “non più” e il “non ancora” che è l’adolescenza, un indefinito e conturbante “spazio nel tempo che è scoperta e strappo” in cui è difficile trovarsi e facile perdersi. Con la pièce teatrale Chi come me, ispirata ad una reale esperienza presso il reparto giovanile del Centro di salute mentale “Abravanel” di Bat Yam, lo scrittore e drammaturgo israeliano Roy Chen, autore di Anime, ci introduce in quello spazio attraverso un’operazione di metateatro.

Cinque ragazzi fragili affetti da varie forme di disagio (bipolarità, autismo, schizofrenia, disforia di genere), che flirtano quotidianamente con la morte, sono ospiti in un  ospedale psichiatrico a Tel Aviv dal significativo nome di “Orot”. Hanno bisogno di essere capiti e amati, nonché ascoltati per conoscere e aiutare se stessi. Il dottor Yoresh, responsabile del centro, adotta un approccio medico basato sul dialogo e sull’interazione. Convinto che il teatro abbia il potere di  favorire la conoscenza profonda di sé e di migliorare la capacità di socializzazione,  invita la giovane insegnante Naamà a svolgere delle lezioni di recitazione per aiutare i ragazzi, inizialmente riluttanti, ad esprimere le proprie emozioni e preparare uno spettacolo per i genitori.

Il palcoscenico, “dove tutte le mancanze diventano vantaggi”, si trasforma in uno spazio di liberazione; l’interpretazione diventa terapia per trovarsi, mettersi nei panni degli altri e scoprire una forma di guarigione e accettazione di sé e degli altri. Perché “Il teatro – dice Roy Chen – è l’arte dell’empatia: devi vedere l’altro e stargli insieme”. Per contrasto, l’universo adulto, rappresentato dai genitori dei ragazzi, risulta caotico e privo di speranza. Sono loro, incapaci di immaginare e accudire, i veri sconfitti, la cui  presenza in scena, lungi dall’essere costruttiva, è maldestra e foriera di confusione e frustrazione. Pervaso da un’atmosfera in cui si alternano momenti di commozione ad altri di delicato umorismo, il  testo induce alla riflessione sui temi di normalità e fragilità psichica e sul valore della solidarietà. Soprattutto si rivela “un’esplorazione non scontata” del concetto di identità. Emblematiche le ultime battute della Scena 7 della Terza settimana, che rielaborano la Storia di un principe che impazzì di Rabbi Nachman di Breslav, inserita dall’autore nell’ultimo capitolo del libro (Dietro le quinte). Una dimostrazione di come il teatro, attraverso l’immedesimazione, ci offre la libertà di indossare una maschera e di esprimere ciò che altrimenti sarebbe inaccettabile o impossibile da sopportare, permettendoci di nasconderci dietro di essa e di essere invisibili al mondo esterno. Senza perderci.

“Chi come me” prende il titolo da un gioco che serve a sciogliere il ghiaccio proprio sul palcoscenico. Lo spettacolo è andato in scena per la prima volta nel 2020 al Teatro Ghesher di Giaffa ed è rimasto in programma fino a oggi con grande successo. È stato poi tradotto in inglese, tedesco, russo e ungherese. Proprio questo testo è stato scelto da Andrée Ruth Shammah per il suo nuovo e ultimo spettacolo, che debutta dal 5 aprile al 4 maggio 2024 al Teatro Franco Parenti di Milano e inaugura la nuova sala A2A.

 

Roy Chen, Chi come me, trad. Shulim Vogelmann, Giuntina, 2023