Il Libro della Shoah Italiana

Libri

Presentazione al Teatro Dal Verme di Milano de:

IL LIBRO DELLA SHOAH ITALIANA

I racconti di chi è sopravvissuto

di Marcello Pezzetti, Einaudi editore

“Questo libro è dedicato al più piccolo ebreo deportato dall’Italia.
Figlio di Marcella Perugia, nacque al Collegio militare di Roma il 17 ottobre 1943, il giorno prima della partenza. Questo bambino, forse nemmeno arrivato a Birkenau, è rimasto senza nome.”

Ecco la dedica di Marcello Pezzetti, storico ormai di fama internazionale di Auschwitz -Birkenau e della Shoah, a questa opera di appassionato lavoro di “taglio e cucito” su centinaia di ore di interviste raccolte per il Cdec (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) da Liliana Picciotto e dallo stesso Pezzetti a partire dal 1995. Le ultime interviste ai sopravvissuti italiani ad Auschwitz-Birkenau sono state rese nell’estate del 2008.

Come ha saputo dirci molto bene nel suo discorso, Liliana Picciotto invidia la fortuna del collega e amico Pezzetti per aver potuto restare ancora così a lungo in compagnia dei sopravvissuti e delle loro storie di vita e di morte, di paura e di speranza, di distacchi e di incontri, anche dopo che quel primo lavoro di raccolta delle interviste è stato trasformato nel film Memoria, di Ruggero Gabbai. Pezzetti ha potuto recuperare nel suo libro tutto ciò che insieme come autori avevano dovuto sacrificare per esigenze di copione e di tempi: una scelta difficile, per concentrare in tempi umani ciò che erano riusciti a far riemergere dalla memoria dei poco più di 100 sopravvissuti rimasti. Il grande lavoro svolto da M. Pezzetti consiste invece nell’aver prima trascritto le oltre 300 ore di interviste girate e registrate per l’archivio del Cdec; di averle poi organizzate ognuna in macro capitoli: il mondo di prima; l’occupazione; Auschwitz-Birkenau; la fine, il dopoguerra; il passato, il futuro. Quindi di averle ulteriormente suddivise in sottocapitoli (per es: l’arresto; il viaggio; l’appello; il cibo; i bambini; la marcia della morte…) per ricucirle infine tutte insieme creando una “testimonianza corale”, come l’ha definita Liliana Segre. Ogni essere umano ha un nome e una storia, ma quelle di questi pochi che tornarono fra i milioni di ebrei deportati e massacrati sono i pezzi dispersi e finalmente ricomposti di un mosaico prezioso per conoscere ciò che è stato: non solo dal rigoroso punto di vista storico, ma anche da quello umano, sociale e culturale che altrimenti non si potrebbe percepire nella sua interezza e complessità.

Al tavolo dei relatori della serata, oltre a Marcello Pezzetti e a Liliana Picciotto, sedevano il presidente del Comitato per il Memoriale della Shoah di Milano e direttore del Sole24ore, Ferruccio De Bortoli e cinque testimoni: la più giovane, Arianna Szorenyì di Fiume, poi Liliana Segre di Milano, Goti Bauer di Fiume, Nedo Fiano di Firenze e Samuel Modiano di Rodi. Seduti tutti insieme su quel palco così ampio sembravano quasi studenti in attesa di un esame un po’surreale, per chi li conosce personalmente forse addirittura preoccupante: l’autore del libro li stava per intervistare nuovamente, ma non nell’intimità delle loro case, o da soli nei luoghi per loro più significativi.
No, sarebbe successo così, “in vetrina” e sarebbero stati messi a confronto su una materia che di sicuro avrebbero preferito non aver mai imparato tanto profondamente. Un conto è lavorare contemporaneamente sulle loro immagini e sulle loro interviste, un altro è portarli fisicamente insieme su un palco a sottoporsi alla fatica di un confronto anche con il pubblico, malgrado quasi sempre, come hanno poi ammesso singolarmente, è una fatica che ripaga.
Mentre le personalità presenti all’evento (dal presidente del Consiglio Comunale, Manfredi Palmeri, all’assessore alla cultura della Provincia, Daniela Benelli; dall’assessore al turismo della Regione Lombardia, P.Gianni Prosperini al Rabbino capo di Milano, Rav Alfonso Arbib; dal presidente del Cdec, Giorgio Sacerdoti, a quello della Comunità di Milano, Leone Soued, fino al consigliere dell’Ucei, Yoram Ortona) si susseguivano sul palco in una interminabile kermesse di discorsi, i testimoni sembravano fiori rari e fragili esposti agli occhi di troppi curiosi e l’istinto era quello di proteggerli.
Ma, onore a Pezzetti: nell’arco di poco è riuscito a dimostrare anche ai testimoni in carne ed ossa la stessa capacità di amalgamarli che si trova nel libro e di mettere in relazione, anziché a confronto, le loro esperienze, i loro ricordi, le loro ferite dell’anima, ma anche le loro speranze. Ognuno di loro è riuscito ad essere voce solista e membro del coro, facendo vibrare corde diverse ma sempre profonde a seconda del ruolo che interpretava via,via. La certezza è che aggiungendo questo contributo così speciale alla già vasta bibliografia sulla Shoah, Pezzetti non abbia prodotto semplicemente un titolo ad un altro analogo, ma abbia scritto insieme ai testimoni la storia che mancava della Shoah in Italia. Auguriamoci che ne facciano buon uso soprattutto le scuole dove per altro, come ha voluto giustamente ribadire Goti Bauer, ha senso la loro testimonianza solo se preceduta da un inquadramento storico puntuale a cura degli insegnanti.

Se gli studenti non sanno collocare i fatti nel tempo, geograficamente e politicamente, se non conoscono le tappe che segnarono il passaggio dalle leggi persecutorie alla persecuzione fisica degli ebrei, le vicende e i dolorosi ricordi dei testimoni possono suscitare solo un tipo di emozione effimera. Affinché segnino in modo permanente e costruttivo le coscienze dei giovani le “storie dei superstiti” devono andare di pari passo con la Storia. Allora e solo allora potranno succedere quei misteriosi piccoli miracoli che danno senso alla missione che tutti i testimoni hanno scelto di portare avanti, a costo di rivivere ogni volta il dolore e la paura, la solitudine disperata e la fame, il freddo, la negazione della dignità, la perdita drammatica dei propri amati.
Il miracolo è scoprire a distanza di anni, grazie a una email (come è successo per esempio a Liliana Segre) di aver contribuito con la propria testimonianza a guarire una ragazza dall’anoressia; è trovare per strada, su un treno o un tram un giovane che ti riconosce e che cerca ancora nel tuo sguardo l’incoraggiamento a sperare che si possa sul serio battere anche il male peggiore, come abbiamo colto dalle parole di Nedo Fiano. O di Samy Modiano, forse l’ultimo dei sopravvissuti di Birkenau ad aver deciso di testimoniare in Italia. Ha cominciato da poco e lo ha fatto proprio ad Auschwitz, accompagnando con Pezzetti un gruppo di studenti e scommettendo con se stesso di smettere appena cominciato se solo avesse capito di non trasmettere abbastanza o di non ricevere abbastanza feed back, nel luogo dove l’implacabile burocrazia del Terzo Reich l’aveva fatto giungere dopo un mese di un viaggio, insieme agli altri ebrei italiani dell’isola di Rodi.

E’ ancora una volta in “Se questo è un uomo” di Primo Levi che troviamo spiegata la vera ragione che spinge chi pur stanco non smette di parlare e di raccontare “ …Forse quanto è avvenuto non si può comprendere, perché comprendere è quasi giustificare. […]non possiamo capirlo; ma possiamo e dobbiamo capire di dove nasce, e stare in guardia. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre…”
Certamente Arianna, Liliana, Goti, Nedo e Samy, che nel 1944-45 erano ragazzi che avevano perso tutto, oggi possono essere orgogliosi di quanto hanno saputo ricostruire per se e per gli altri. Ma non avendo il dono dell’eternità, né la possibilità di clonarsi (come aveva invece provocatoriamente suggerito l’assessore Prosperini) stasera hanno sicuramente trovato nel libro di Pezzetti un altro potente alleato: per amplificare nel tempo e nello spazio le loro testimonianze e per aiutare le nuove generazioni a combattere la battaglia ancora purtroppo in atto contro il negazionismo e l’antisemitismo.