Da Praga a New York, tre donne in fuga

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Via dai nazisti con sotto braccio una macchina per cucire. E un dono: il talento per lo stile, il gusto nel creare abiti unici, la passione per la moda.
“Mia madre sarebbe felice di vedermi in questo luogo dedicato alla moda, perché io dell’argomento non mi sono mai interessata veramente e a lei è sempre dispiaciuto molto”. Così Helen Epstein si è rivolta al pubblico convenuto alla Camera della Moda di Milano per ascoltare la presentazione del suo libro Di madre in figlia, pubblicato dalla Forum Editrice di Udine nella bella traduzione di Elisa Renso.

Alta, molto somigliante alla madre, un sorriso largo e luminoso, Helen Epstein, 62 anni, è giornalista e scrittrice, nata a Praga e vissuta a New York. Nel suo secondo libro tradotto in italiano (il primo è stato I figli dell’Olocausto), racconta una saga familiare al femminile, dove le storie individuali si intrecciano al destino delle comunità ebraiche dell’Europa centro orientale. La cornice spazio-temporale va da Praga a Vienna, a New York, dal Medioevo ai giorni nostri.
“Con I figli dell’Olocausto ho voluto raccontare il dopoguerra e i suoi drammi; con Di madre in figlia ho invece voluto descrivere il periodo prima e durante la Seconda guerra mondiale”, spiega l’autrice.

Nel libro le figure femminili sono le antenate della scrittrice: la bisnonna, Therèse, la nonna Josefa o Pepi e la madre Frances (o Franziska, o Franci, a seconda delle varie identità culturali da lei assunte nel corso della sua avventurosa esistenza). Tutte donne dal temperamento forte e carismatico, tutte abili nell’arte del cucito, il loro strumento di emancipazione e di salvezza. La bisnonna Therèse, vissuta nella seconda metà dell’ottocento, era una sarta di Praga. Amò appassionatamente un uomo ceco ma fu costretta dalla famiglia a sposarsi con un ebreo povero. Non si sa chi dei due uomini fosse il padre del suo primogenito.
La nonna, Pepi, era una stilista molto alla moda: aveva il suo atelier a Praga, era sposata con un ingegnere, ed entrambi portavano avanti la loro attività indipendentemente l’uno dall’altro. Per l’epoca, era una cosa unica, straordinaria e lei fu indubbiamente una donna molto emancipata. Inoltre fu una delle prime pazienti a ricorrere alla psicanalisi a Vienna ed ebbe la prima figlia tardi, a 38 anni.

Per le donne della generazione di Pepi, possedere una sartoria era uno dei pochi modi per emergere in un mondo dove ogni libera professione era ancora appannaggio esclusivo degli uomini. Quelle donne andavano in sartoria con lo spirito con cui i loro uomini si ritrovavano nei caffè: i vestiti per loro erano un mezzo con cui esprimersi, con cui guadagnarsi competenza e autorità.
Deportati nel 1942 a Theresienstadt, Pepi e il marito Emil vengono trasferiti presto a Riga e fucilati. La piccola Frances invece viene trasferita ad Auschwitz. Nel 1945 la spostano ad Amburgo e da qui a Bergen Belsen, da dove verrà liberata.

Helen mostra orgogliosa al pubblico un manifesto in bianco e nero con figure di modelle vestite in stile anni ’20, e accanto il ritratto di una donna. Sono la locandina pubblicitaria della sartoria di Pepi, e il suo ritratto, che la scrittrice ha sempre visto appeso in casa della madre. A chi le chiede cosa l’ha spinta a intraprendere questo viaggio a ritroso, nella memoria, risponde che all’università, dove ha studiato giornalismo e musicologia, ha avuto solo maestri uomini. Tutti i musicisti che ha intervistato, tra cui Pavarotti e Bernstein, erano uomini. Ecco perchè, racconta, le è venuto il desiderio di scrivere di donne, che nella sua famiglia sono quelle che, con la loro arte sartoriale, hanno portato a casa soldi e pagnotta, visto che i loro uomini li avevano persi tutti.

Come accadde a sua madre Frances, che nel ’48 da Praga si trasferì a New York con la famiglia: con la piccola Helen e col marito, campione di pallanuoto, che in America non riuscì a trovare lavoro rimanendo disoccupato per 10 anni. Così sua madre adibì una stanza del loro appartamento a laboratorio, e si mise a cucire per mantenerli. “Non importa cosa succede nel mondo, le donne vogliono comunque vestiti nuovi”, commenta Helen. Gli affari andavano bene: la clientela era composta di cantanti liriche praghesi. E tra le modelle del suo atelier spunta un giorno anche una giovane Nancy Marchand, la futura madre del boss Tony Soprano nella celebre serie tv “I Soprano”.

“Poi improvvisamente mia madre morì, nella Pasqua dell’89, per un aneurisma cerebrale. Cercare le sue tracce è stato un modo molto personale di rielaborare il lutto”, dice la Epstein. Così, prende armi e bagagli e con il marito e i due figli fa dietrofront, torna nei luoghi delle antenate e si trasferisce a Praga, dove si immerge in biblioteche e archivi per ricostruire con la precisione dello storico la vita delle sue ave. “Mio marito sa molte lingue, ma il ceco è davvero difficile, quindi lui stava a casa a guardare i figli, e io in biblioteca. Il matrimonio stava per naufragare, ma per fortuna ho finito il libro prima che finisse la mia unione”, scherza l’autrice. Il marito, un omone altissimo seduto in prima fila, sorride.

Sul Giorno della Memoria, il 27 gennaio, ha commenti entusiastici: “L’ho passata a parlare con 500 studenti di un liceo di Udine. È stato molto faticoso mantenere la loro attenzione viva per un’ora e mezza, alla fine io ed Elisa (la traduttrice del libro che le fa anche da interprete, n.d.a) eravamo stremate! Ma sono sicura che questi ragazzi si ricorderanno in futuro del nostro dialogo. Ho spiegato loro cosa significa essere la figlia di una sopravvissuta, e che il giorno della memoria non riguarda solo il passato. Tutti i giorni assistiamo a discriminazioni di ogni tipo: religiose, razziali, sessuali. Gli atteggiamenti possibili sono due: o stare a guardare in silenzio, o fare qualcosa”.
Racconta che gli studenti erano molto attenti, l’insegnante li aveva preparati a dovere e facevano molte domande. Una di queste è stata che cosa ne pensava la scrittrice della revoca della scomunica fatta dalla Santa Sede ai vescovi negazionisti. Risposta lapidaria: “E’ assurdo che sia avvenuto nel Giorno della Memoria (che si sforza di pronunciare correttamente in italiano), sembra che il Papa non ne abbia, di memoria”.