Memoria a ritmo di jazz, swing e blues, in una serata di grande partecipazione al Conservatorio

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di Roberto Zadik  

Musica e Memoria di nuovo insieme al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, per iniziativa dell’Associazione Figli della Shoah, ideato da Daniela Dana e Lydia Cevidalli, con il sostegno della Comunità ebraica di Milano, del Conservatorio, della Fondazione CDEC, del Memoriale della Shoah, degli enti ebraici e di numerosi sponsor. Così, nonostante la pandemia, giovedì 27 gennaio, il Conservatorio milanese era strapieno.

Tutto si è svolto in un clima di grande partecipazione, con un gran numero di persone accorse per assistere a un appuntamento  emozionante come il consueto concerto per il Giorno della Memoria, che quest’anno si è svolto a ritmo di jazz. Introdotto dai saluti istituzionali, l’evento è stato animato dalla coinvolgente performance della VJO Verdi Jazz Orchestra del Conservatorio che, magistralmente diretta dal Maestro Pino Jodice, ha intrattenuto il pubblico con i travolgenti ritmi della “musica degenerata” del jazz, dello swing e del blues che, vietati ferocemente dal regime nazifascista e dalla folle censura di quella mentalità perché di “matrice plutomassonica giudaica”, furoreggiavano fra gli anni ‘30 e gli anni ‘40, sia in Europa sia soprattutto negli Stati Uniti, venendo eseguiti in vari contesti.

Dai lager nazisti, in cui i gerarchi obbligavano i musicisti a suonare per loro, anche se la censura proibiva di eseguire quelle canzoni, alla Germania o alla Cecoslovacchia, in cui valorosi musicisti ebrei cercavano nella musica speranza e consolazione; all’Italia in cui, come hanno ben spiegato i due conduttori della parte musicale, Ira Rubini, conduttrice radiofonica e il musicologo Luca Bragalini, vari artisti italiani “travestivano” da canzone italiana brani dell’incriminata musica jazz. E ancora i cantanti Natalino Otto, Alberto Rabagliati, al Trio Lescano, a una star della musica e della tv come il compositore e direttore d’orchestra Gorni Kramer.

La serata, diretta da Claudio Ricordi e Mariella Zanetti si è suddivisa in due parti. A cominciare  dagli interventi di varie personalità cittadine, dal  vicesindaco Anna Scavuzzo, all’assessore della Regione Lombardia allo sviluppo Città metropolitana, Giovani e Comunicazione Stefano Bolognini, al presidente e alla direttrice del Conservatorio Raffaello Vignali e Cristina Frosini, per arrivare alle autorità comunitarie, dal presidente Walker Meghnagi, al Rabbino Capo Rav Alfonso Arbib a Roberto Jarach presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano.

Ricordando l’impegno di Daniela Dana Tedeschi, presidente dell’Associazione Figli della Shoah, la vicesindaco Scavuzzo ha evidenziato l’importanza della Memoria per la città di Milano e la centralità che essa ricopre nell’educazione dei giovani,  menzionando le tante iniziative che si sono svolte dal 1998 ad oggi. Anche il presidente del Conservatorio Vignali ha insistito sull’importanza della Memoria e del suo insegnamento per le giovani generazioni. Il presidente CEM Walker  Meghnagi ha sottolineato l’importanza di ricordare “l’unicità della Shoah, che in soli ottanta mesi ha cercato di distruggere gli ebrei cercandoli casa per casa, non solo in Europa ma anche dalla Libia, dove sono nato. Il Giorno o meglio la settimana della Memoria – come ha specificato – non deve essere un’occasione fine a se stessa ma una riflessione costante”. Sodisfatto non solo della serata musicale, ma anche della partecipazione cittadina  alla Giornata, Roberto Jarach, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah, ha ricordato “abbiamo lavorato dalle 9 di stamattina alle 20 e nonostante la pandemia sono confluite al Memoriale più di mille persone, senza il Covid arrivavamo a tremila”. Riguardo ai lavori di completamento dell’attesa Biblioteca del Memoriale ha affermato che  “ormai mancano al massimo tre settimane e questo angolo di studio e riflessione con il patrimonio di libri della Fondazione Cdec prenderà forma”.

Molto intenso l’intervento del Rabbino Capo Rav Alfonso Arbib che si è definito “preoccupato per l’aumento dell’antisemitismo in Europa e non solo”. Analizzando la complessa situazione attuale, il Rav ha evidenziato la crescita di “tutti i tipi di antisemitismo, da quello tradizionale neofascista,  a quello legato all’antisionismo” fino a una recente e non meno preoccupante “negazione che palesi atti di antisionismo siano generati da sentimenti di ostilità antiebraica”, ribadendo il pericolo di piegarsi a convenienze politiche nella lotta all’antisemitismo. In conclusione, ha messo in luce come “l’antisemitismo abbia una storia secolare anzi millenaria” e che nella Shoah, oltre all’indifferenza, “ci sia stata soprattutto una larga complicità di troppa gente”.

Spazio poi alla musica con scrosci di applausi da parte del pubblico, sia per la performance dei musicisti dell’orchestra Verdi sia rivolti alla brillante presentazione dei conduttori Ira Rubini e Luca Bragalini e alla voce narrante di Claudio Moneta, espressivo attore e doppiatore. Brani musicali celebri come la Marcia Nuziale del grande compositore tedesco Felix Mendelssohn “considerato compositore degenerato perché di famiglia ebraica anche se convertito” come ha ricordato Ira Rubini o I got the rhythm di Gershwin, che era una delle melodie di punta del Ghetto-lager di Terezin, si sono alternati a melodie jazz e blues di compositori internati nei lager come Viktor Ullman e Ewin Schulhoff.

A raccontare le vicende e le peripezie dei musicisti il bravissimo Claudio Moneta che ha approfondito le vicende  di virtuosi come il chitarrista ebreo tedesco Heinz Jacob Schumann detto Coco e il trombettista ceco Eric Vogel che, nonostante l’avanzare del nazismo, continuava a suonare e ad esibirsi e che nemmeno nel lager perse la speranza. Canzoni, ricordi e testimonianze importanti come quella di Franco Cerri, uno dei più grandi chitarristi jazz italiani scomparso a 95 anni lo scorso 18  ottobre, e la forza di quella musica che, da proibita, divenne dominante nella scena artistica della sua nuova patria, gli Stati Uniti, e un inno contro il razzismo nella commistione, come ha ricordato Bragalini, fra “musica ebraica europea e sonorità afroamericana”. Gran finale con un classico come In the mood di Glenn Miller e Israel che, scritta da John Carisi, venne suonata da vari jazzisti di primaria importanza primo fra tutti Miles Davis.