La memoria del nazismo

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Caso Priebke: non è solo un problema ebraico.

Il 31 maggio 2002 l’ex-capitano delle SS Erich Priebke scriveva ad Anna Maria Canacci, sorella di una delle vittime delle Fosse Ardeatine, che lo ha perdonato e intrattiene una corrispondenza con lui da molti anni: “i giudici non hanno il coraggio di giudicare secondo la legge…di darmi la libertà, per paura della stampa e della lobby ebrea”.
Nel 1998, alla fine di un controverso percorso giudiziario, Priebke era stato condannato all’ergastolo insieme a Karl Hass dalla Corte Militare d’Appello, per la partecipazione nel marzo 1944 all’eccidio delle Fosse Ardeatine (335 uccisi, scelti tra oppositori politici ed ebrei -75-, tutti prelevati dalle carceri di Roma, quale rappresaglia all’attentato di via Rasella dove morirono 33 soldati del battaglione Bozen: 10 italiani ogni morto tedesco. Più altri 5). Si è sempre sentito vittima di una “vergognosa sentenza”: era un soldato, non avrebbe voluto, ma ha dovuto obbedire. Non ha mai voluto chiedere il perdono dei parenti delle vittime: non sarebbe stato dignitoso.
A causa della tarda età e della salute precaria la Corte gli aveva commutato la pena in detenzione domiciliare. Dopo vari tentativi falliti il domicilio era stato scelto nell’abitazione del suo procuratore generale, avv. Paolo Giachini, un personaggio molto vicino all’estrema destra che si è occupato di trovare anche i fondi per pagare le spese dei processi. Nel 1997 Giachini, tra le molte iniziative in difesa di Priebke, aveva distribuito in aula un ciclostilato “Comitato internazionale per la protezione dell’uomo dalla avversione razziale e politica” in cui i vari Centri Wiesenthal erano accusati di avere montato una gigantesca speculazione socio-politica e finanziaria, con la scusa della caccia ai “criminali nazisti”, e indicava il sig. Erich Priebke come “vittima di un oscuro raggiro”. Giachini è anche presidente di quell’Associazione Uomo e Libertà che nel 1996 aveva organizzato a Roma un convegno su “Storia Giustizia e Verità a confronto. Da via Rasella al caso Priebke” che contava tra i relatori vari esponenti del radicalismo di destra. Nel 2003 era stato il co-autore della voluminosissima autobiografia di Priebke.
Dal domicilio del suo procuratore legale l’ex-capitano aveva il permesso, scortato da quattro carabinieri, di andare due giorni alla settimana per due ore a passeggiare nei viali alberati di Villa Pamphili, di recarsi (giustamente data l’età) dal medico curante, di cenare ogni sera con una vicina di casa.
Il 25 maggio l’Ufficio di sorveglianza del Tribunale militare gli ha concesso un “permesso di lavoro”, ogni giorno, “libero di persona”, presso lo studio del suo procuratore legale. Il 13 giugno, la notizia data dai giornali provoca grande scalpore, sdegno, proteste e manifestazioni, oltre alla petizione ai Presidenti della Repubblica, della Camera e del Senato da parte di 120 parlamentari. Il sindaco Veltroni indice il Presidio della Memoria alle Fosse Ardeatine e illumina il Colosseo per ricordare le vittime. Il Tribunale revoca il permesso a Priebke per mancata comunicazione alle autorità degli orari e degli spostamenti nell’unico giorno di libertà. Questi i fatti.

Gli echi di questo permesso/revoca sono stai vari e per la maggior parte esprimevano indignazione, ma moltissimi si sono chiesti il senso di questa insistenza nel condannare un vecchio di 93 anni, peraltro non rieducabile. Anche alcuni ebrei, intervistati, hanno dichiarato che avrebbero preferito, una volta inflittagli una condanna esemplare, che fosse lasciato andare a vivere altrove i suoi ultimi anni, chiudere il caso senza che gli ebrei debbano essere “ostaggi di una infinita coazione a ripetere”. Da parte della stampa non si è ripetuta l’ondata di richiesta di perdono come all’epoca del processo, ma da più parti è stata sottolineata l’inutilità di accanirsi contro un novantatreenne.

Ma ancora una volta si è ripetuto uno strano fenomeno, anche se in forma minore che nel periodo del processo. Sul piano della comunicazione, sulla stampa, nelle interviste televisive è stato attribuito agli ebrei un ruolo protagonista dell’accaduto, come se alle Fosse Ardeatine fossero morti solo ebrei e gli altri 260 non esistessero. Come se fossero soprattutto gli ebrei colpiti dall’ingiustizia per il permesso a Priebke e soprattutto gli ebrei a protestare.
Sappiamo che non è così, ma così sembrava. È un fenomeno mediatico che si ripete ormai da molti anni e riduce il tutto a una sorta di partita tra ebrei e Priebke, così come tra “ebrei” e “nazismo”. Come se per il resto della società Priebke, il nazismo, in fondo contassero ormai meno. Agli occhi di una parte dell’opinione pubblica gli ebrei sono diventati i principali testardi custodi della memoria del nazismo.
E questa immagine viene utilizzata nel male e nel bene, da coloro che vorrebbero chiudere col passato e perdonare ma anche da coloro che quel passato ritengono giusto mantenerlo vivo come monito.
Inutile dire quanto venga indebolito l’insegnamento di come un fenomeno come il nazismo sia stato pericoloso per tutta la società e quanto dovremmo cercare di combattere questo “sovradimensionamento” degli ebrei.