C’è la Shoah sullo sfondo del Nabucco di Daniele Abbado

Eventi

di Ruth Migliara

“Va’ pensiero, sull’ali dorate; Va, ti posa sui clivi, sui colli…”

Il 1° febbraio il Teatro alla Scala di Milano ha nuovamente sentito riecheggiare questo canto nella sua vasta sala con una nuova edizione di Nabucco, nata in in coproduzione con Londra, Chicago e Barcellona.

L’opera, con la direzione di Nicola Luisotti e in un discusso nuovo allestimento di Daniele Abbado, ha trovato nuovamente accoglienza nel teatro che l’ha vista nascere fin dai suoi esordi ottocenteschi.

Il desiderio ardente del popolo ebraico per la sua terra da sempre esercita un fascino potente sull’immaginazione collettiva. Un popolo intero sbalzato in continui eslili e prigionie non perde mai il ricordo della sua terra.

È  il senso di appartenenza che guida gli ebrei da secoli, ovunque essi siano, siano essi piu’ o meno religiosi. Per quanto si allontanino dalle loro origini e dalla loro identità, rimane sempre, nel cuore loro, la scintilla del desiderio per la terra di Israele.

Verdi non poteva di certo rimanere immune a questo mito. Egli fu uno dei portavoce più autorevoli del sentimento patriottico risorgimentale in Italia. Il suo nome stesso, nei “viva Verdi” scritti sui muri del Lombardo Veneto risorgimentale, fu usato come acronimo per inneggiare a Vittorio Emanuele Re d’Italia. Il grande compositore del risorgimento italiano provò dunque grande empatia per l’ardente sofferenza di un popolo strappato alla sua terra da mano straniera.

Nel 1842 viene rappresentato alla Scala il Nabucco e le cronache dell’epoca riferiscono vivaci entusiasmi del popolo alle note del Va’ pensiero.

Il celebre coro, uno tra i più platealmente conosciuti nella storia operistica, è l’atto d’accusa degli ebrei contro la dominazione straniera dietro cui Verdi cela il medesimo sentimento del popolo italiano contro gli austriaci.

Ma Nabucco non è solo questo. È anche l’opera dove maggiormente compare la presenza di Dio, un fatto singolare per un compositore che si definì sempre essenzialmente ateo.

Incontriamo il regista Daniele Abbado, autore di un nuovo allestimento in cui la vicenda degli ebrei deportati dai Babilonesi è ambientata e sviluppata in chiave moderna sullo sfondo della Shoah.

Abbado ha voluto valorizzare e rispettare le molteplici letture dell’opera verdiana attraverso una lettura essenziale, su una scena spoglia, popolata di soli monoliti tra cui si aggirano i personaggi in abiti novecenteschi.

Ad amplificare l’azione la regia sceglie come unico espediente l’utilizzo di un video che proietta sullo schermo la scena vista dall’alto.

«L’idea del video è nata in fieri, a partire dalla prima scena.- ci spiega il regista- È uno specchio che amplifica le situazioni, facendosi strumento eloquente, ma senza occupare e togliere descrittività alla scena. Il segno teatrale conserva in questa essenzialità la forza brutale della sua materialità».

Quando chiediamo il perché della volontà registica di ambientare Nabucco in epoca nazi- fascista, Abbado definisce «questa scelta come inevitabile per avvicinare l’opera alla sensibilità di oggi.  Tuttavia – prosegue – l’allusione non è mai sottolineata. L’immaginario collettivo è già  ricco di spunti in questo senso e noi gli forniamo solo lo stimolo iniziale.

La scelta del ‘900 è stata funzionale anche per il rispetto dell’idea risorgimentale di Verdi che anima l’intera opera. In questo modo abbiamo sottolineato come il compositore parli dell’identità di un popolo, ma che al contempo si riferisca a una idea universale fuori dal tempo che riguarda tutti».

Chiedendo al Maestro se la sublimazione in arte di una idea così forte come quella della Shoah, non rischi di togliere vigore e verità alla stessa, egli ci spiega come «non esista nella sua lettura una volontà di sublimazione sul tema. È bandito anzi ogni tentativo estetizzante. Il teatro parla con strumenti poveri e depurati che attivano l’immaginazione dello spettatore che, una volta incitata, prosegue da sola nel percorso della memoria».

Ma che cosa pensa Abbado della presenza di Dio in quest’opera?

«Nabucco parla di libertà e di Dio dall’inizio alla fine. Verdi ci sta dicendo che la spiritualità è una presupposto fondamentale all’identità di un popolo. Anche per l’ateo Verdi infatti l’idea del divino costituisce la guida essenziale perché una nazione ritrovi e non dimentichi se stessa».