Tra memoria e storia, quale destino per i musei ebraici?

Arte

di Roberto Zadik

La travagliata e appassionante storia ebraica, i nuovi musei ebraici, il rapporto fra presente e passato: sono stati questi gli ingredienti al centro dell’interessante serata organizzata lo scorso 23 aprile alla Fondazione Corriere della Sera: “La storia degli ebrei nei nuovi musei d’Europa”. Un incontro organizzato dal Consolato di Polonia a Milano, dal Cdec e Fondazione Corriere della Sera, al quale sono intervenuti il direttore del Cdec Michele Sarfatti, il direttore dei Beni culturali dell’Emilia Romagna, Carla Di Francesco, l’architetto Annalisa De Curtis; con loro, Barbara Kischemblatt Gimblett, docente della New York University, che ha parlato del nuovo Museo per la storia degli ebrei di Varsavia, inaugurato lo scorso 19 aprile.

Nel suo intervento introduttivo dedicato ai Musei ebraici e Shoah, Michele Sarfatti, sottolineando l’importanza di mantenere la memoria dei vivi, di non trasformare cioè la storia degli ebrei in una specie di storia di una “civiltà estinta”, ha detto: «I musei ebraici devono essere intesi come rappresentazione di una civiltà in evoluzione, viva e dinamica, non estinta. Non c’è contrapposizione fra Memoriale e Museo ebraico; piuttosto fra di essi c’è un rapporto di complementarietà. Attraverso la storia viene raccontato sia il passato del popolo ebraico sia i rapporti fra ebrei e non ebrei, ed in essi è possibile anche comprendere il rapporto fra il mondo ebraico e il mondo circostante nelle diverse epoche», ha osservato ancora Sarfatti.

Carla Di Francesco ha parlato invece più nello specifico del MEIS di Ferrara. La scelta di far sorgere il nuovo Museo dell’Ebraismo italiano e della Shoah attorno all’ex carcere ferrarese di via Piangipane, ha osservato Di Francesco, «è stata una scelta molto particolare e non priva di polemiche». Questo nuovo complesso museale che, seppure ancora in fase di costruzione, ospita eventi, mostre, conferenze, è stato pensato per conservare le originarie finiture esterne in cotto – «molto ferraresi» sottolinea Di Francesco – e introdurre nuove e moderne strutture in metallo e in vetro. Il MEIS, ha osservato ancora Di Francesco, «non è un museo della Shoah ma un museo di storia ebraica italiana, che ha alla sua base l’idea di conservare e mantenere viva la memoria del passato millenario degli ebrei in Italia, ma anche la volontà di congiungere questa storia con il presente, in un percorso il più possibile vitale e omogeneo».

Un progetto molto simile è quello che ha animato la realizzazione del nuovo Museo della Storia degli ebrei di Polonia, del quale ha parlato Barbara Kischemblatt Gimblett. Ha accompagnato il suo intervento con due interessanti filmati – una video intervista all’architetto finlandese che ha progettato il Museo e un breve ma emozionante video sulla storia degli ebrei polacchi dalle origini ai giorni nostri. Un museo «molto piatto se visto dall’esterno ma decisamente pieno di luce e di “sensazioni” se visto all’interno», ha detto la Gimblett, che ha anche sottolineato il grande successo di pubblico che questa nuova struttura sta riscuotendo a pochi giorni dalla sua apertura. «Finora abbiamo avuto 15mila visitatori», ha detto, una cifra record se si pensa che il Museo è stato inaugurato lo scorso 19 aprile, in occasione dei settant’anni della rivolta del Ghetto di Varsavia. Il percorso si snoda fra numerose sale e tecnologie fra le più avanzate, il tutto per ricostruire il passato -tormentato ma anche così ricco, e che ha dato così tanto alla cultura europea- degli ebrei polacchi. «C’è una stretta relazione fra memoria e storia», ha osservato Gimblett. «La Polonia è stata l’epicentro del genocidio nazista, ma questo museo non ha voluto essere un memoriale di quel genocidio, bensì un luogo che possa raccontare la lunghissima storia degli ebrei polacchi». Di un memoriale unico in Europa, come quello sorto al Binario 21 della Stazione Centrale di Milano, ha parlato invece Annalisa De Curtis. Ha illustrato nel dettaglio le diverse fasi della costruzione del Memoriale della Shoah di Milano, uno spazio dedicato alla memoria «fortemente voluto dalla città ma anche dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano». Ancora in via di completamento, il Memoriale sarà uno spazio dove troverà posto anche una vasta biblioteca multimediale, e che è stato pensato con lo scopo di essere un vero e proprio “laboratorio della memoria”.

La “Donazione Moscati” al MEIS

Ottant’anni da collezionista. Gianfranco Moscati era ancora un bambino quando iniziò a raccogliere e catalogare francobolli. Un hobby comune a tanti, che è diventato per lui molto di più, fino a trasformarlo in uno dei maggiori collector di Judaica a livello mondiale.

Una parte della sua collezione l’ha donata all’Imperial War Museum di Londra nel 2007, quando la regina Elisabetta aprì la sezione sull’Olocausto: oltre 2 mila documenti che testimoniano vicende umane, fughe e deportazioni negli anni bui della Shoah in uno dei più  interessanti Musei d’Europa sull’argomento bellico. Ma Gianfranco Moscati è anche una persona semplice e schiva «Sono solo un uomo d’altri tempi con il bisogno di cercare sempre, per raccontare». Moscati ha raccolto ogni testimonianza della persecuzione degli ebrei: lettere, oggetti, cartoline, documenti.

Al MEIS di Ferrara è stata allestita la mostra Testa e Cuore. La collezione di Gianfranco Moscati: storia e storie degli ebrei italiani narrate da oggetti di arte cerimoniale, documenti rari e libri preziosi. Curata da Serena Di Nepi e realizzata con i materiali donati al Museo, in occasione della recente Festa del Libro ebraico ha avuto migliaia di visitatori.

Una collezione che in Israele è stata valutata 600 mila euro. Moscati, nelle giornate della Festa del Libro, ha avuto occasione di presentarla nei dettagli a numerosi visitatori e ospiti, come Vittorio Sgarbi. «L’emozione è sempre la stessa: far conoscere la tragedia del mio popolo attraverso frammenti di questa storia».

La mostra, che resterà aperta fino al 30 giugno, nasce dalla volontà della Fondazione MEIS di far conoscere al pubblico una selezione degli oggetti donati dal collezionista Gianfranco Moscati al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah: documenti rari, manufatti di arte cerimoniale e libri preziosi che illustrano alcuni degli snodi più importanti della storia degli ebrei in Italia tra XVI e XX secolo.

Il titolo, Testa e cuore, fa riferimento a un oggetto essenziale nella vita degli ebrei, i tefillin, che si legano sul capo e sul braccio anche per ricordare che la preghiera deve coinvolgere, appunto, la testa e il cuore.  Come del resto avviene nel lavoro del collezionista, che unisce la passione per la ricerca e il rigore scientifico e metodologico nella catalogazione e nella contestualizzazione storica.

Il cuore, peraltro, fa sì che Gianfranco Moscati da anni utilizzi la diffusione di cataloghi e riproduzioni della sua collezione, frutto di decenni di lavoro, per raccogliere fondi che vengono interamente devoluti, in parti uguali, all’ospedale pediatrico riabilitativo Alyn di Gerusalemme e ai bambini del centro di recupero di San Giovanni a Teduccio di Napoli, città dove Moscati, milanese di nascita, ha vissuto la gran parte della sua vita.