Le peripezie di Heršcu, il pioniere di Bucarest

Arte

di Anna Lesnevskaya

Erigere l’enorme statua dedicata al Pioniere all’ingresso del porto di Tel Aviv. In ricordo di chi “affrontando privazioni e rinunce rifiuta la vita opprimente del ghetto ebraico e progetta le basi per la creazione del futuro Stato di Israele”. È quello che sognava il 32enne sionista rumeno Heršcu Šaim Cahan (1912-1974), sogno che si legge tra le righe di un suo articolo uscito nel 1944 sul foglio clandestino Tineretul Nou (Gioventù Nuova), di Bucarest. Quel monumento al Pioniere non fu mai eretto. In compenso, la storia di Heršcu, vissuta al servizio di Eretz Israel, è stata immortalata nelle pagine del libro di sua figlia, Dova Cahan: Un askenazita tra Romania ed Eritrea, così si intitola il volume che Dova ha presentato a Milano, nella Biblioteca rumena, davanti a una platea di amici e reduci della comunità asmarina. Proprio ad Asmara, la principale città dell’Eritrea, è legato il periodo più attivo di Heršcu, che da lì, con la sua fabbrica di carne in scatola Incode, inviò una pioggia di rifornimenti, contribuendo ai successi militari del giovane Stato di Israele.
Storia, quella di Heršcu, custodita gelosamente nelle immagini fotografiche dell’archivio della famiglia Cahan, finché Dova, sospinta dal ricordo del padre – figura indubbiamente fuori dal comune -, non decide di farne conoscere la vita. La figlia espone così per la prima volta nel 2005, al Jewish Eye Film Festival a Be’er Sheva, dei pannelli fotografici dedicati al padre e alla sua attività ad Asmara; e così facendo aggiunge un capitolo importante alla storia della comunità ebraica in Eritrea. Nel libro, racconta la vita di un sionista, filantropo e uomo d’affari che per lei e sua sorella più grande, Lisette, fu un modello. Nel 1999, insieme a mamma Ester – nel suo scritto ne traccia un’immagine indimenticabile di Yiddishe Mame – e sua sorella Lisa, dona, in memoria di Heršcu, 25 alberi al parco del Keren Kayemeth a Modin. In quell’occasione, risuonano le voci di chi ha conosciuto suo padre, convincendola a intraprendere un percorso di rivisitazione della memoria. Il ricordare di Dova è, proustianamente, fatto da una radicale dilatazione percettiva. Un viaggio esistenziale che la riporta a quando era ragazza in Israele: mentre studiava, le bastava ricevere da casa, per Purim, una scatola di scarpe riempita di dolci tradizionali, per tuffarsi nell’atmosfera della città della sua infanzia, Asmara. Anche nel libro-omaggio dedicato al padre, morto nel 1974, si fa guidare da una memoria fatta di sensazioni e reminiscenze, per narrare un’avventura esistenziale che si lega a doppio filo alla storia della nascita dello Stato ebraico.
Imparare l’agricoltura
Heršcu nasce nel villaggio di Ivesti, in Romania Orientale, dove, tra le due guerre, vivevano circa ottanta famiglie di ebrei askenaziti. Già all’età di tredici anni si impegna nell’attività sionista. Con le sue sorelle e la futura moglie Ester Segal partecipa all’organizzazione delle haksharot. Sono le comunità agricole dove i futuri pionieri imparano a lavorare la terra e vengono educati alla vita nei kibbutz, per poi partire alla volta della Palestina e dar vita a uno Stato nazionale libero. Ad Ivesti, Heršcu contribuisce a fondare anche l’organizzazione clandestina Hanoar Ha-zionì (“Gioventù Sionista”).
Il suo impegno non viene meno neppure durante la Seconda Guerra Mondiale, negli anni bui del regime filonazista del maresciallo Ion Antonescu e dei pogrom dei legionari della Guardia di Ferro, movimento antisemita romeno. Diplomatosi come contabile nel 1934, Heršcu sposa Ester nel 1942 e inizia a lavorare col cognato, proprietario della fabbrica tessile più grande di Bucarest. Ma se le sue condizioni economiche migliorano, ne beneficia soprattutto la comunità ebraica. In quel periodo sovvenziona la spedizione delle navi per gli ebrei che fuggivano dalla Romania. Quando la comunità ebraica lancia la raccolta di fondi che serve ad evitare la deportazione degli ebrei, anche Heršcu fa la sua parte. Durante la Shoah circa 350mila ebrei romeni vengono deportati e uccisi. Heršcu in quel periodo fu costretto dai legionari ai lavori forzati. Correva l’anno 1938. Di quella traumatica esperienza, racconta alla figlia solo delle difficili condizioni dovute al freddo terribile. Altro non vorrà mai aggiungere.

Un pragmatico idealista
Finita la guerra e giustiziati i gerarchi nazionalisti romeni, nel 1946 ne prendono il posto quelli comunisti e il Paese finisce sotto l’orbita d’influenza dell’Urss. Prende il via non solo la nazionalizzazione delle industrie, ma anche la persecuzione contro gli “elementi ostili” al regime, tra cui ebrei e sionisti. In quel clima di rinnovato terrore, Ester dà alla luce due bambine, prima Lisette e, un anno dopo, Dova. La famiglia Cahan si era appena trasferita nella nuova, centralissima casa a Bucarest, che Heršcu, con moglie e figlie, deve abbandonare tutto, lasciandosi alle spalle averi e amici, portando con sé solo una valigia per non destare i sospetti della Securitate. Siamo all’inizio del 1948 .Ma non sarà l’ultima volta che i Cahan perdono tutto.
Nel porto rumeno di Costanza si imbarcano su una nave per Haifa e raggiungono Tel Aviv. La Palestina è ancora sotto il mandato britannico e si devono aspettare alcuni mesi per la proclamazione dello Stato di Israele. I Cahan hanno un visto turistico di un solo mese e quando scade vengono espulsi dal territorio dalle autorità inglesi. Heršcu non smetterà mai di sognare di potersi stabilire in Eretz Israel, ma la sorte vorrà altrimenti. È ad Asmara, capitale dell’Eritrea, che trova in breve tempo una casa per la sua famiglia, aiutato dai parenti che già vi risiedevano. Dal 1941 il Paese africano aveva smesso di essere una colonia italiana, diventando per la comunità ebraica del luogo, che contava all’epoca più di 500 persone, un posto relativamente tranquillo. Ma le tracce del dominio coloniale sono più che vive. Asmara è, per la piccola Dova, una vivace cittadina italiana, con il suo cinema Impero e il bar Rex dove si prende il gelato la domenica.
Lontano da Israele, Heršcu trova un modo per essere utile alla causa. Si lancia nella produzione di carne in scatola sfruttando la presenza abbondante di materia prima, ossia di bestiame, in quei luoghi. Così nasce lo stabilimento Incode, che presto diventerà il produttore più famoso di luff (carne in scatola, ndr) kasher d’Israele. Come voluto da Heršcu, la Incode diviene un’impresa israeliana e il governo dello Stato d’Israele ne risulta ufficialmente proprietario. Da lì arrivano regolarmente gli shochtim per la macellazione rituale. All’epoca della campagna del Sinai del 1956 e poi della Guerra dei Sei Giorni del 1967, la scatoletta blu della carne Incode diventerà un simbolo ampiamente riconoscibile, un emblema delle tavole e della vita quotidiana israeliana. Tanto che ne parlerà anche Amos Oz in Una storia d’amore e di tenebra. Heršcu intraprende più volte spedizioni pericolose, andando da Asmara al porto eritreo di Massawa, con i carichi di carne in scatola da spedire all’esercito israeliano impegnato nelle campagne militari.

Un sogno infranto
Heršcu aiutava Israele da lontano, ma il suo vero sogno era quello di vendere tutto per ritornarci e fare politica. Non accadrà. Saranno le sue figlie Dova e Lisette a compiere nel 1967 l’aliyà, lasciando Asmara per Israele, dove Dova vive tutt’oggi. Nel 1974 Heršcu muore improvvisamente per un collasso cardiaco. In quello stesso anno Hailé Selassié, imperatore d’Etiopia, della quale l’Eritrea nel frattempo era diventata parte, viene destituito da un colpo di Stato e nel Paese si instaura un regime di stampo marxista. I beni di Cahan vengono confiscati ed è così che la famiglia perde di nuovo tutto. Heršcu non riuscirà mai a stabilirsi in Eretz Israel, ma fino all’ultimo rimarrà fedele al suo motto di sempre: «Studierò, lavorerò e sarò sempre sionista».