Arte come impegno

Arte

Allestire Omanut, la grande mostra dedicata ai primi 100 anni di arte e di creatività di Israele al Palazzo Reale di Milano, ha costituito per lui un’esperienza nuova e importante. Yoram Ortona, architetto, consigliere dell’Unione delle comunità ebraiche e della Comunità di Milano racconta qui quali sono gli stimoli raccolti grazie a questa sua nuova esperienza professionale e quali progetti vorrebbe realizzare nell’ambito di questa nuova stagione di impegno ebraico.

Curare l’allestimento della mostra ha significato anche godere di un punto di osservazione privilegiato per comprendere questo grande evento.

Certamente, avere l’occasione di avvicinarsi all’arte israeliana mediante la realizzazione di un allestimento, ha rappresentato una posizione di privilegio nonché di arricchimento culturale , a me fino a ieri poco conosciuta , tranne quella del grande Kadishman. In qualità di architetto che si occupa prevalentemente di ristrutturazioni e di interni, l’occasione di cimentarsi nell’allestimento di una mostra d’arte e che in questo caso riguarda l’arte di un paese, Israele, che ho profondamente nel cuore e nell’anima, in uno dei più prestigiosi edifici della città di Milano, mi ha stimolato a partecipare con interesse e passione alla sua realizzazione, pur tenendo conto delle grandi difficoltà operative, organizzative, di budget e così via. Posso affermare che l’ho fatto anche e soprattutto per missione politica: contribuire per quanto possibile a dare un’immagine positiva d’Israele, della sua arte e della sua profonda storia culturale. La guerra del Libano appena dietro l’angolo aveva quasi bloccato l’iniziativa, anche perché tutte le opere erano riparate e protette nei rifugi, e solo la forza e la determinazione dell’amico Andrea Jarach, promotore della mostra, hanno permesso che fosse portata a compimento. Milano e la Comunità ebraica dovrebbero essergli molto grati. Ma bisogna essere grati anche a tutta l’equipe di Ponte Azzurro, a tutti i tecnici, ai montatori, e a tutti coloro che tra mille difficoltà hanno contribuito alla realizzazione dell’importante evento.

Cosa ha rappresentato l’esperienza di Omanut?

L’esperienza di Omanut ha rappresentato non tanto per me, che sono stato semplicemente un anello di una lunga catena, ma soprattutto per coloro che l’hanno ideata ,concepita e voluta, una cosa semplice: quando si crede in un progetto, si mette a punto lo studio di fattibilità ,lo si fa proprio, lo si concretizza e si va avanti, nonostante difficoltà oggettive, qualche impedimento burocratico o economico, forse un velato boicottaggio da parte di qualcuno, e perché no anche qualche invidia. Ma tornando all’allestimento è giusto affemare che la radice etimologica del verbo allestire (XVI sec. Derivazione di “lesto”) ci rammenta che il significato originario di allestimento era principalmente quello di “ preparare velocemente”.
E così è stato per la mostra intitolata “Israele : Arte e vita 1906-2006″, che è stata inaugurata a Palazzo Reale il 17 ottobre e resterà aperta fino al 7 gennaio 2007. La mostra è costituita da un percorso che racchiude 100 anni di storia di arte e cultura israeliana, attraverso un parallelo tra avvenimenti artistici e storici, a partire dalla fondazione dell’Accademia d’arte Bezalel di Gerusalemme nel 1906 fino ai nostri giorni. Ma, per scelta del curatore, il percorso della mostra segue un tragitto a ritroso, partendo dal periodo contemporaneo e accompagnando il visitatore fino alla nascita dell’arte israeliana, avvenuta appunto nel 1906.

La sistemazione logistica delle opere ti è sembrata convincente?

Anzitutto è importante precisare che la sede di Palazzo Reale, dove si svolge la mostra, è uno dei luoghi simbolo di Milano, antica reggia dei sovrani; in tutti questi anni ha rappresentato un polo espositivo fondamentale, ospitando mostre di altissima qualità scientifica con opere di straordinario valore, oltre che conferenze e dibattiti. L’occasione di far conoscere alla cittadinanza milanese, e non solo, l’arte israeliana attraverso un secolo di pittura, scultura, video, installazioni e fotografie nasce da un’idea di Nelly Weissy, studiosa di arte israeliana, e dalla regia del curatore della mostra Amnon Barzel, critico d’arte, tra i più autorevoli curatori internazionali di mostre. Quanto invece alla sistemazione logistica delle opere è stata per così dire una scelta obbligata. La difficoltà maggiore è consistita nell’attuare un compromesso tra chi teneva giustamente conto dell’architettura esistente delle sale , in questo caso il sottoscritto , e chi aveva esigenze di carattere principalmente artistico legate alle opere d’arte , il curatore. Da non dimenticare la problematica dei tempi che hanno inciso notevolmente. In un certo qual modo Omanut è una mostra “work in progress” che necessita sicuramente di piccoli accorgimenti , per esempio dal punto di vista del percorso , che comunque verranno eseguiti a breve.

Coniugare Israele con la sede di Palazzo Reale ha quindi costituito a tuo avviso un obbiettivo importante?

Senza dubbio, poiché si tratta di una mostra d’arte prestigiosa in un edificio altrettanto prestigioso. Intervenire in un contenitore di tale importanza architettonica non è stato un compito facile per vari motivi: vincoli di carattere progettuale, normativo, burocratico-amministrativo, estetico-funzionale.
Il concetto principale alla base dell’allestimento poggia anzitutto sul totale rispetto dell’esistente delle grandi sale di Palazzo Reale, in mancanza del quale l’esposizione non sarebbe stata possibile. Secondariamente, non poca è stata la difficoltà di concepire le aree destinate alle installazioni di alcuni artisti che necessitavano di alcuni requisiti dimensionali e non solo, a differenza delle opere pittoriche – più di 150 – che sono state sistemate sulle pareti murali esistenti e su quelle temporanee alte 3 metri, in un corretto rapporto con l’altezza totale degli ambienti. Alcune di queste quinte paretali sono state volutamente disposte in maniera sghemba e inclinata rispetto alla ortogonalità delle sale, al fine di dilatare gli spazi e facilitare il passaggio del pubblico. Altra problematica in fase di progettazione è stata quella legata alla sicurezza e alle vie di fuga, nonché a tutte le certificazioni che sono state richieste inerenti i materiali utilizzati per ottenere l’approvazione da parte della Commissione di vigilanza. Tutto ciò è stato prodotto in tempi record.

A cosa deve badare il visitatore per cogliere appieno la filosofia con cui l’esposizione è stata organizzata?

Il visitatore anzitutto quando accede alla mostra deve prestare attenzione soprattutto al significato delle varie installazioni sia quelle materiali che quelle trasmesse mediante proiezione. Ci vuole un po’di immaginazione e concentrazione. Mi rendo conto che alcune problematiche, per forza di causa, siano più facilmente recepibili dal pubblico ebraico, ma di sicuro l’aiuto di guide che l’ente organizzatore ha predisposto faciliteranno la comprensione di tutte le opere esposte. Per esempio la componente tecnologica degli audiovisivi ha trovato opportuna collocazione nelle varie sale e di conseguenza ne ha movimentato l’allestimento. Altri elementi aiutano a comprendere la filosofia dell’esposizione :
La grafica, la parte informativa e il “visual concept” sono stati studiati da Ronen Joseph, designer israeliano, con meticolosità, senza turbare il cromatismo delle sale e rendendo un servizio di lettura utile al pubblico che visiterà la mostra.
L’allestimento, che ho curato dal punto di vista del lay-out distributivo degli spazi e che ha comportato durante l’iter di progettazione non poche modifiche in funzione delle opere che si sarebbero dovute esporre, si sviluppa al primo piano di Palazzo Reale, su un area di circa 2000 mq. Ad essa si accede salendo il grande Scalone d’Onore e trovando sul lato destro, posizionato nella prima sala, il bancone della reception e del bookshop a forma di “E” estremamente delicato ed inserito nel contesto del salone di arrivo. Verso un lato delle finestre è ubicata un’area internet dedicata al pubblico.
Nella seconda sala si trova l’installazione di Menashé Kadishman intitolata Shalechet (“Foglie cadute”), una sorta di tappeto di 2500 facce di metallo, raffiguranti su vari strati i visi di giovani ragazzi sui quali il pubblico – se lo desidera – può camminare, producendo un suono simile a un lamento che richiama il sacrificio dei soldati e, da un punto di vista biblico, il sacrificio di Isacco. Quando lo si incontra, il noto artista appare come è: vecchio pastore di pecore con tunica bianca e bastone, la barba folta e canuta con occhi profondi che trasmettono una grande sensibilità umana. Sulla parete a lato è esposta un’altra grande opera pittorica di 5.50×2.10m dello stesso artista, realizzata per la Biennale di Venezia del 1983, raffigurante un gregge di pecore con colori decisi e sgargianti. Nello spazio attiguo, dietro a una quinta paretale obliqua che invita il pubblico ad avviarsi verso le sale successive, si trova l’opera di Michal Rovner da un lato e dall’altro una videoproiezione di Yael Bartana che ricorda il Soldier’s Memorial Day.
La terza sala è praticamente divisa in due da un’altra parete provvisoria: una metà dedicata all’installazione di Gal Weinstein, una tavola di puzzle raffigurante la terra d’Israele con i suoi kibbutz e i campi coltivati realizzata con materiali naturali – principalmente scampoli di moquette colorata – mentre l’altra è riservata alla didattica, dove verranno tenute per tutto il periodo espositivo esercitazioni di creatività artistica per i bambini sotto la guida di educatori israeliani specializzati oltre che seminari per educatori.
Tutti gli spazi della mostra contengono testi, didascalie di carattere informativo affissi su totem alti 2.50 a forma di “L” e spiegazioni scritte e proiettate su pannelli, light box e schermi tv in modo da creare un collegamento tra le opere artistiche e la situazione culturale e storica del momento.

Qualche altra peculiarità da segnalare?

Nella sala 4 si succedono opere di artisti contemporanei quali Sigalit Landau, la quale realizza una rappresentazione videoproiettata consistente in una spirale di 500 angurie collegate fra loro da una corda invisibile galleggiante sull’acqua del Mar Morto e che lentamente sparisce dallo schermo, e in sequenza le fotografie di carattere militare di Adi Nes, David Reeb e l’opera di Miri Segal.
L’arte di questo periodo (anni ’90) sperimenta l’utilizzo del video, della fotografia, della tecnologia. Gli artisti sopra citati sono tra i più significativi di questo periodo. Una successiva parete delimita la creazione artistica di uno dei più importanti artisti israeliani, Micha Ulman, consistente nel rovesciamento del mondo causato dal terrorismo attraverso il crollo di una casa e delle sue componenti principali: la porta d’ingresso e una serie di finestre le cui strutture sono riempite di terra rossa d’Israele.
Da questa sala si scopre lo spazio di Dani Karavan delimitato da pareti completamente nere, intitolato “Rotaie in ferro” che rimanda il pensiero alle deportazioni; nella Sala 5 sono esposte opere di artisti del periodo degli anni ’70 quali Berest, Na’aman, Mischori, Tzibi Geva la cui identità è caratterizzata da un forte conflitto interiore: molti di questi erano sopravvissuti alla Shoà, giunti in Israele ma cresciuti in un paese in guerra. Essi ebbero come riferimento il movimento dei Ten Plus nel 1965 e poi i Tel Avivians, specchio di molteplici espressioni individuali. Qui le influenze europee e americane sono evidenti anche se rielaborate con spunti della realtà locale.
L’arte di quegli anni riflette le tragedie e le grandi tensioni vissute da Israele, oltre ovviamente al forte desiderio e al bisogno di pace.

Saresti disposto a fare da guida anche ad alcuni altri spazi specifici dell’esposizione?

Proseguendo il percorso si accede nell’altra ala dell’edificio dove nelle rispettive sale 6, 7 e 8, dedicate all’arte degli anni ’70-’60-’50, troviamo l’installazione di Nahum Tevet, un artista che ho conosciuto personalmente, personaggio mite e modesto nato nel kibbutz Messilot, che nella sua opera utilizza
sedie e tavolini colorati in miniatura di un asilo. Poi lo spazio dedicato a Motti Misrachi, attento osservatore delle problematiche politico-religiose, personaggio molto rappresentativo.
Lo spazio dedicato agli anni ’50 , successivi alla fondazione d’Israele, fa riferimento al New Horizons (Ofakim Chadashim), corrente astrattista della quale fanno parte artisti come Zaritsky, Kupferman, Streichman, Krise e Janco che diventeranno il più influente gruppo di pittori israeliani.
La sala 9 è dedicata alla fondazione dello Stato d’Israele dove, nello spazio quadrato diviso da una quinta a “C”, si trovano da un lato una grande gigantografia storica che rappresenta l’esultanza del popolo ebraico nel giorno della proclamazione e dall’altro lato il testo della dichiarazione d’indipendenza. Su un’altra parete si può leggere a caratteri cubitali un brano tratto dal libro di Amos Oz, Storia di amore e di tenebre.
La parte dedicata all’arte si concentra sulla pittura del grande Mordechai Ardon che rappresenta le radici tradizionali del modernismo ed è la figura predominante degli artisti tedeschi di Gerusalemme.
La sala 10, “la sala degli specchi “, dedicata agli anni ’30 risulta forse la più sobria ed elegante, con al centro una scultura dell’altro grande artista scultore Danziger, la cui ricerca culturale affonda nelle antiche civiltà della Mesopotamia .
Le sale 11 e 12 sono completamente dedicate agli anni’20 con le opere di Gutman,Reuven Rubin, ,Frenkel ed altri, tutti artisti la cui ricerca mirava alla creazione di un arte locale originale inserita in una società idealistica.
La sala 13 della fondazione dell’Accademia Bezalel fondata da Boris Schatz conclude la mostra,
al centro della quale trovano posto due grandi vetrine con all’interno diversi oggetti di varie dimensioni. Sulle pareti si possono ammirare numerose litografie realizzate a pastello colorato di Abel Pann e arazzi dell’epoca davvero significativi.
In una nicchia a pianta ottagonale attigua alla stessa sala è visibile una gigantografia del 1909 raffigurante una spianata di sabbia popolata di persone, quella che sarebbe poi diventata la città di Tel Aviv.

Come riassumeresti il significato dell’operazione?

E’ sufficiente ricordare le parole del curatore Amnon Barzel che ha affermato più volte nelle varie interviste, a ragione, “che si può conoscere la storia d’Israele attraverso i quadri, le sculture, le fotografie, i video. Sono come un testimonianza e un documento strettamente collegato al tempo, al luogo, alla società”.
In conclusione posso solo lanciare un invito: andate in tanti a visitare la mostra. Renderete omaggio a Israele, alla sua arte e alla sua storia.

Parliamo del tuo nuovo impegno nel quadro dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, cosa vuoi fare, quali sono i tuoi programmi?

Anzitutto essere stato eletto tra i quindici rappresentanti della massima istituzione dell’ebraismo italiano, l’Ucei, è per me motivo di orgoglio e rappresenta allo stesso tempo un impegno considerevole e importante. Avere poi ottenuto , in qualità di consigliere dell’Ucei , due deleghe che sono rispettivamente quella ai Beni culturali dell’area centro-nord e quella alla Giornata Europea della Cultura Ebraica, rende il compito carico di responsabilità, ma indubbiamente molto stimolante. Secondariamente,è corretto precisare che la delega ai beni culturali che rientrano nella Macro-area (Cultura-Educazione-Giovani-e Beni Culturali ) di cui è responsabile il vice-presidente Claudio Morpurgo , è stata suddivisa geograficamente delegando il centro –nord al sottoscritto e il centro-sud al consigliere Fabrizio Gallichi di Napoli. Per quanto riguarda i Beni culturali, sappiamo che il patrimonio ebraico italiano rappresenta circa il 60% del patrimonio europeo generale. Il nostro paese che ha spiccate qualità attrattive dal punto di vista turistico e culturale offre l’opportunità all’ebraismo italiano di contribuire all’arricchimento di questo enorme patrimonio da diffondere , da valorizzare e che va salvaguardato. Vi è attualmente in vigore una legge, la 175/05 che scadrà nel 2007, e che ha consentito fino ad ora di attuare interventi di restauro conservativo su tutto il territorio nazionale. Un esempio il progetto di restauro della Sinagoga mediovale Scolanova di Trani, il Tempio di Cuneo del XV secolo, nonché la conservazione di monete dell’età ellenistica e romana presso il Museo Ebraico di Roma. A questo proposito il presidente dell’Ucei Renzo Gattegna si è già adoperato presso il ministero dei Beni e le Attività Culturali affinché questa legge ottenga il rinnovo per il prossimo triennio. Sarà necessario e doveroso poi recepire le mozioni del Congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in tema di beni culturali, avvenuto lo scorso luglio, e adoperarsi verso il sostegno alle piccole e medie Comunità supportandole con il fine di sviluppare un programma di ampio respiro culturale tramite iniziative ed eventi di rilievo; a questo riguardo mi riferisco alla promozione di un “sistema museale ebraico italiano, tra l’altro già presentato al Ministero competente, promuovendo mostre pre-allestite, cercando di diffonderle e facendosi ambasciatrice anche in altri paesi europei ed extra-europei.
Essendo l’Ucei elemento centrale nella sua azione di impegno anche educativo, sarà fondamentale nei prossimi anni adoperarsi per fare conoscere la cultura ebraica all’esterno, con l’organizzazione di interventi nelle scuole e nella società italiana, preparando una nuova generazione di “testimoni” sia sul tema della Shoà sia sul conflitto mediorientale in corso.
All’interno, invece bisognerà attivarsi per la promozione e la conoscenza dell’ebraismo e della cultura ebraica, come componente educativa, favorendo opportunità di studio per i giovani appartenenti alle piccole comunità sprovviste di strutture in loco, attraverso corsi di Talmud Torah, di lingua ebraica, anche a distanza.
Inoltre si dovrà cercare di consolidare il rapporto vivo con Israele approfondendo i diversi aspetti della cultura e della società israeliana contemporanea. A questo riguardo per esempio la mostra di Omanut è sicuramente un fatto importante.
Per quanto concerne invece la Giornata Europea della Cultura Ebraica, che il prossimo anno celebrerà l’ottava edizione, penso non possa altro che migliorare, visto il grande successo che ha riscosso sia quest’anno sia gli anni precedenti, con grande affluenza di pubblico, soprattutto grazie all’impegno costante di Annie Sacerdoti che ha creduto in tutti questi anni alla manifestazione e al suo potenziamento, a decine di volontari che si sono prodigati alla buona riuscita dell’evento. Bisognerà collegare la Giornata della Cultura alla nascente rete degli Itinerari Europei del patrimonio ebraico che è stato il tema della ultima edizione, cercando di ottimizzare le risorse e le energie sul territorio. Penso anche alla possibilità, per rendere più dinamica e più stimolante la Giornata, di effettuare eventuali collegamenti televisivi tra alcune delle località in cui si svolgerà la prossima edizione che avverrà il 2 settembre 2007 e che avrà come argomento il seguente tema: “Le testimonianze scritte”.
Questi sono solo alcuni dei punti-flash da attuare nei prossimi mesi e nei prossimi anni.
Sarà sicuramente fondamentale apprendere anzitutto, per quanto mi riguarda, il funzionamento della macchina burocratica dell’UCEI, e successivamente disegnare nelle prossime settimane un programma di lavoro, tracciando le linee-guida, con tutti coloro che operano all’interno della macro-area di mia competenza, con il supporto fondamentale del personale esistente, dei professionali, in un ottica di un progetto più ampio di riorganizzazione generale dell’Ente.

Qualche valutazione sulla situazione dell’ebraismo italiano, in particolare sulla comunità di Milano, quella in cui vivi e operi

L’Ebraismo italiano attuale vive un momento particolare, direi di transizione dovuto a fenomeni sia interni che esterni: mi riferisco per quelli interni all’esigenza, da una parte, di vivere un ebraismo più vivo, per esempio venendo incontro alle istanze giovanili di cui dovremmo preoccuparci maggiormente; penso poi al fenomeno degli ebrei cosiddetti “lontani” per i quali sarà necessario un programma di integrazione e di avvicinamento, con il supporto delle strutture comunitarie esistenti migliorandone sensibilmente l’azione, anche alla luce della nuova scoperta di comunità ebraiche nel sud d’Italia che sentono l’esigenza di richiamo alle proprie radici. L’Ebraismo italiano attuale è costituito da molteplici provenienze e il compito più arduo e più complesso sarà nel prossimo futuro quello di tenere tutte insieme queste diversità, poiché esse costituiscono la ricchezza culturale di questo nostro mondo ebraico. Gli ebrei italiani della nuova generazione sono un po’ il prodotto della globalizzazione. Sta anche a noi fare in modo che convivano e acquisiscano nel tempo, sempre più, quel senso di appartenenza alla vita ebraica delle nostre comunità.
Inoltre bisognerà saper affrontare con maggiore determinazione e professionalità il vecchio e ormai scontato problema dell’antisemitismo in tutte le sue forme e che puntualmente riappare nei momenti di grave crisi internazionale. Compito degli ebrei della Diaspora è quello di dare comunque sempre il proprio supporto in tutte le forme allo Stato e al popolo d’Israele, anch’esso ad un bivio della propria esistenza e aiutarlo, per quanto possibile, a risolvere il nodo spinoso del conflitto israelo-arabo/palestinese. Questo può avvenire anche e soprattutto attraverso una corretta e funzionale comunicazione esterna ben coordinata tra l’UCEI e le comunità ebraiche che sono presenti sul territorio. Alcune volte la troppa sovraesposizione può essere deleteria e in qualche caso controproducente, in altri casi invece è necessaria e doverosa. Non ultimo, da tenere presente, il rapporto con le altre confessioni religiose, che in questo momento particolare sembra accusare un rallentamento e in un certo qual modo è in stand-by; sarà importante riprendere il dialogo nelle sedi opportune e forse ripensare a una strategia diversificata.

E Milano?

Nello specifico, per quanto concerne la comunità di Milano nella quale vivo ormai da più di 25 anni e di cui sono attualmente anche consigliere, se pur nel ruolo di opposizione, sostengo da tempo uno snellimento nella burocrazia delle nostre strutture attraverso un decentramento graduale della Casa di riposo e della Scuola, ma soprattutto un maggiore impegno nelle politiche giovanili, attraverso una progettualità fattiva per il mondo giovanile mediante la creazione di un Centro ebraico sportivo, una sorta di Jewish Community Center di tipo anglo-sassone, che raccolga e offra nuovi stimoli di aggregazione e sviluppo di attività giovanili di ampio respiro nell’ambito appunto sportivo-ludico-culturale, naturalmente sempre rispettoso dei principi e dei valori ebraici.
Sarà necessario pescare nel facoltoso e generoso mondo dell’establishment comunitario e non solo, uno o più sponsor per realizzare questo progetto. Il futuro della nostra comunità risiede nei nostri giovani. Su questo punto penso che siamo tutti d’accordo. Bisogna vedere il sistema di come attuarlo e come concepirlo, ma ripeto è il problema più drammatico e più urgente. E poi le sedi per i due movimenti giovanili, il Benè Akiva e l’Hashomer Hatzair: non è più concepibile che i ragazzi e le ragazze dei movimenti giovanili svolgano le loro attività in spazi inadeguati dove sicuramente è da tener presente l’aspetto che riguarda la sicurezza in tutte le sue componenti.
Sulla comunicazione interna si è fatto, ma ancora si può e si deve migliorare attraverso un maggior coinvolgimento degli enti e delle associazioni ebraiche, e così anche negli organi di informazione che andrebbero modernizzati maggiormente e più a contatto con la base, cercando di dare più spazio alle problematiche e le istanze degli iscritti.
Sono padre di due figli adolescenti e a questo riguardo faccio riferimento ad un altro fenomeno in espansione: mi riferisco a quello dell’assimilazione, per il quale ho molto apprezzato, e penso così anche le tante persone che erano presenti il giorno di Yom- Kippur al Tempio di via Guastalla, il richiamo forte e deciso del Rabbino capo rav Arbib riguardo l’esigenza prioritaria di contribuire tutti insieme come Keillà, affinché l’ebraismo vada rafforzato attraverso la famiglia ebraica, che è a tutti gli effetti l’elemento portante della continuità, pur tenendo conto del supporto che si deve offrire a chi ha compiuto matrimonio misto, e integrando coloro che si vogliono avvicinare.
Un altro settore nel quale è importante investire è la cultura: eventi e dibattiti andrebbero sviluppati con maggiore intensità , anche se mi rendo conto che le risorse economiche sono scarse. Mi pare che sia necessario e utile discutere e dibattere di più nella nostra comunità, con maggiore iniziativa e intraprendenza di quanto sia stato fatto fino ad ora , senza timori e con coraggio, cercando di fare emergere il confronto delle idee su ebraismo, tradizione, laicismo, ortodossia , Israele. In questo momento mi pare, che sia subentrata un po’ di nebbia, come se tutte le cose andassero per il verso giusto. Ed è per questo che mi auguro un maggior spirito di consapevolezza e di autocritica, per il bene della nostra Comunità.

Il tuo impegno in campo ebraico in generale, se hai voglia di raccontare ancora qualcosa della tua vita

Sono quasi sempre stato impegnato in campo ebraico fin da quando, dopo la fuga da Tripoli avvenuta nel 1967, allora quattordicenne, presi cognizione fortemente della mia identità di ebreo italiano, una volta giunto nel paese; la comunità di Roma accolse me e la mia famiglia a braccia aperte. Sono sempre stato cittadino italiano, poiché la mia famiglia è originaria da parte paterna di Casale Monferrato e di Livorno. Nel 1968 cominciarono, per me ragazzo, i primi campeggi con il Benè Akiva prima e la FGEI (attuale UGEI) dopo, della quale diventai consigliere nel 1982, anno particolarmente doloroso per Israele e tutto il popolo ebraico, (guerra del Libano, attentato alla Sinagoga di Roma). L’attenzione e il mio impegno in campo ebraico andavano decisamente intensificandosi, nella ricerca di un’identità da rafforzare, dando corso a un avvicinamento sempre maggiore alle problematiche dell’ebraismo, del sionismo, d’Israele. Nel 1979 dopo aver conseguito la laurea in Architettura, mi si aprirono le porte del Canada, dove risiedetti per un’esperienza lavorativa di un anno, e dopo al mio rientro in Italia presi la decisione di sviluppare la mia attività professionale di architetto in una città che allora forse era la più europea d’Italia: Milano, era il 1981. L’integrazione nella città e nella comunità fu immediata e direi naturale, perché Milano ha sempre accolto a più riprese persone che provenivano da diversi paesi e così è stato anche per la Comunità ebraica.
Ricordo la mia partecipazione per la prima volta a un’assemblea della Comunità, era allora presidente Giorgio Sacerdoti, in aula magna vi erano appena qualche decina di persone, io ero una di quelle.
Oggi, purtroppo la situazione e la partecipazione alle serate assembleari non è così diversa da allora, e quindi sarà necessario cambiare qualcosa anche in questo ambito, al fine di avvicinare maggiormente tutti gli ebrei della nostra comunità alle Istituzioni e alla cosa pubblica della comunità. Non vi può esistere un ebraismo senza istituzioni e regole, ma queste devono essere modernizzate, al passo con i tempi, nel senso di una più efficiente burocrazia, di un miglioramento dei servizi agli iscritti , operando per un rinnovamento e coinvolgimento maggiore della base, delle Edot, alla vita comunitaria con iniziative di tipo culturale di grande contenuto, rendendo loro il servizio che meritano , in quanto motore propulsore dell’ebraismo vivo milanese.
La mia partecipazione in tutti questi anni in ambito ebraico, a conferenze, eventi culturali, ricorrenze religiose, manifestazioni a favore d’Israele, di volontariato presso gli anziani della Casa di riposo è sempre stata coinvolgente e costante, perché l’ebraismo ha avuto sempre un posto principale nella mia vita e a questa mi sono dedicato volontariamente, con passione e dedizione, sempre rispettoso delle differenze.
Così mi auguro avverrà per i miei figli e per quelli delle altre famiglie ebraiche.

Nel 2001 divenni per la prima volta consigliere della Comunità di Milano e quest’anno ho bissato l’obiettivo, raggiungendo anche l’elezione a delegato al Congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane che si è prodotta successivamente nel conseguimento del risultato di Consigliere dell’Ucei in ambito nazionale.
Direi che da questo punto di vista non posso altro che essere felice del risultato fino a qui ottenuto, ma il peso delle responsabilità verso le istituzioni ebraiche va aumentando, ma forse è anche giusto che sia così, per chi è stato messo in grado di poter esercitare una funzione di guida sociale, culturale, politica. L’importante è comunque esercitare il proprio ruolo con serietà, trasparenza e un grado di umiltà, ma soprattutto avere quella necessaria comprensione analitica delle problematiche che stanno di fronte. Non sempre è facile , perché noi umani qualche volta e per fortuna, possiamo commettere degli errori di valutazione.
Per parte mia non mi tiro indietro e con l’aiuto di D.o cercherò di svolgere al meglio i compiti che mi sono stati affidati, per rendere un giusto servizio all’ebraismo milanese e italiano.