Rav Ariel Finzi: l’emozione di “tornare a casa”

News

di R. I.

Una giornata di studio per l’insediamento di Rav Finzi come Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Torino

L’insediamento di un nuovo rabbino in una Comunità italiana è un evento che merita di essere sottolineato, tanto più quando è un “ritorno a casa”: Rav Ariel Finzi, dopo anni come Rabbino capo di Napoli, è infatti il nuovo Rabbino Capo della comunità di Torino dove è nato,ha frequentato la scuola ebraica e dove ha celebrato il proprio Bar Mitzvà, lasciando la città a 18 anni per proseguire gli studi in Israele.

Presenti alla cerimonia, molti rabbanim italiani, autorità comunitarie e cittadine torinesi e oltre 300 persone. Tema della giornata di studio: Domande halakhiche nel mondo moderno. Rav Riccardo Di Segni, in collegamento Zoom, ha tenuto una derashà su Bereshith, Rav Alberto Somekh sul Gioco d’azzardo nella halakhah, Rav Di Porto su Lo bashamayim hi? La halakhah nello spazio, Rav Caro Devar Torà, Rav Momigliano, in collegamento Zoom, su Responsabilità di un conducente di veicolo a guida autonoma, Rav Piperno su Esci dall’arca: Affrontare il futuro. Rav Finzi ha poi tenuto il suo discorso su Domande halachiche relative alla figura moderna della Spia che opera per lo Stato d’Israele, con riferimenti al caso reale di Eli Cohen.


La suggestiva cerimonia, aperta dal canto Baruch habbà, ha visto i saluti di Dario Disegni, presidente della Comunità Ebraica di Torino; di Rav Alberto Somekh, già Rabbino Capo di Torino; di Rav Alfonso Arbib, presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia. È proseguita con il canto Vaanì berov e con il discorso di insediamento di Rav Ariel Finzi. Successivamente, dopo il canto Yafùzzu Oyevècha è stato aperto l’Aron haKodesh e lo stesso Rav Finzi ha dato la Benedizione alla Comunità. Il canto Elokènu vElokè Avotènu, la Benedizione dei Rabbanim e l’Alleluyà hanno concluso la cerimonia.

Il discorso di Rav Ariel Finzi
Il Rabbino Capo Rav Ariel Finzi si è presentato alla sua Comunità dicendo, tra l’altro: “Con queste poche parole cercherò di esprimere i pensieri e le emozioni difficilmente descrivibili per l’assunzione della carica di Rabbino Capo di Torino, la città dove sono nato e cresciuto e nella quale ho vissuto fino ai diciotto anni, quando ho cominciato a viaggiare per studio e per lavoro. Ho vissuto diversi anni in Israele per gli studi di Ingegneria al Politecnico di Haifa e la mia vita è stata caratterizzata da molti spostamenti e viaggi. Sette anni fa è cominciata la mia prima esperienza come rabbino della Comunità di Napoli e responsabile per l’UCEI del Progetto Meridione d’Italia. Durante questi sette anni ho anche portato a termine i miei studi rabbinici, avendo la fortuna di laurearmi alla scuola Rabbinica Margulies–Disegni di Torino dove avevo già conseguito il diploma di Maskhil.
Colgo questo momento per ringraziare tutti i miei insegnanti, in particolare Rav Somekh che mi ha sempre supportato e al quale sono legato da un rapporto di grande amicizia e profonda stima. Oggi credo di chiudere il cerchio”.
E ancora: “Torino ha una tradizione di Rabbanim di uno spessore eccezionale che difficilmente potrò eguagliare come quelli che ho potuto conoscere: Rav Disegni, Rav Sierra, Rav Caro, il Maskhil Ady Schlichter, Rav Arndt, Rav Artom, Rav Momigliano, Rav Colombo, Rav Somekh, Rav Birnbaum e Rav Di Porto. (…). Dulcis in fundo, Torino è la Comunità alla quale sono grato per avermi regalato mia moglie Tiziana che incontrai a Simchat Torà di qualche anno fa in questa Sinagoga. Voglio anche ricordare mia madre e mio padre, che saranno sempre presenti nel cuore della mia famiglia e che molti di voi ricorderanno e che sarebbero felicissimi di essere qui oggi a condividere la mia gioia”.
“È cominciata per me una nuova incredibile avventura alla quale mi sto dedicando anima e corpo, con la fortuna di aver ereditato una Comunità unita grazie al mio predecessore Rav Di Porto. Credo che la continuazione del lavoro dei prossimi anni debba concentrarsi su alcuni punti chiave: operare per il coinvolgimento dei giovani nel Tempio e nella vita comunitaria e per un maggior avvicinamento degli israeliani residenti a Torino e dei turisti; dedicarmi all’assistenza degli anziani e lavorare per ristabilire un filo con coloro i quali per vari motivi si sono allontanati dalla Comunità e dall’Ebraismo in genere; impegnarmi nell’insegnamento della Torà focalizzandosi anche sullo studio della lingua ebraica come strumento di studio e di avvicinamento ad Israele; combattere l’antisemitismo in tutte le sue forme, incluse quelle moderne, denominate antisionismo o anti-israelianismo”.

 

Il discorso integrale di Rav Ariel Finzi

Con queste poche parole cercherò di esprimere i pensieri e le emozioni difficilmente descrivibili per l’assunzione della carica di Rabbino Capo di Torino, la città dove sono nato e cresciuto e nella quale ho vissuto fino ai diciotto anni, quando ho cominciato a viaggiare per studio e per lavoro.

Ho vissuto diversi anni in Israele per gli studi di Ingegneria al Politecnico di Haifa (Technion Israel Institute of Technology) e la mia vita è stata caratterizzata da molti spostamenti e viaggi.

Guardandomi indietro, posso dire che, oltre naturalmente agli studi Ebraici, le mie esperienze più formative sono state gli studi al Politecnico e gli anni di lavoro in IBM.

Durante tutti gli anni di lavoro non ho mai abbandonato lo studio e il volontariato per la comunità.

Sette anni fa è cominciata la mia prima esperienza come rabbino della Comunità di Napoli e responsabile per l’UCEI del Progetto Meridione d’Italia.

Durante questi sette anni ho anche portato a termine i miei studi rabbinici, avendo la fortuna di laurearmi alla scuola Rabbinica Margulies–Disegni di Torino dove avevo già conseguito il diploma di Maskhil.

Colgo questo momento per ringraziare tutti i miei insegnanti, in particolare Rav Somekh che mi ha sempre supportato e al quale sono legato da un rapporto di grande amicizia e profonda stima.

Oggi credo di “chiudere il cerchio” tornando dopo tanti anni stabilmente alla mia città natale, che in realtà non avevo mai lasciato e dove forse alcuni giovani mi ricordano anche per il mio suono dello Shofar.

È particolarmente emozionante tornare come insegnante nelle classi che frequentai dall’asilo alla terza media e negli uffici dove fui preparato al Bar Mitzwà da Rav Caro e feci i miei primi anni di collegio rabbinico sotto la guida di Rav Sierra, immaginando che da settembre i ragazzi della mia età di allora mi guarderanno come io guardavo i miei Maestri di quegli anni.

Durante la lettura del Kol Nedarim la sera di Kippur di quest’anno sono stato colpito da un’emozione fortissima che mi ha sorpreso e quasi impedito di proseguire.

Consentitemi ora di rivolgere un breve sguardo al passato:

Torino ha una tradizione di Rabbanim di uno spessore eccezionale che difficilmente potrò eguagliare come quelli che ho potuto conoscere: Rav Disegni, Rav Sierra, Rav Caro, il Maskhil Ady Schlichter, Rav Arndt, Rav Artom, Rav Momigliano, Rav Colombo, Rav Somekh, Rav Birnbaum e Rav Di Porto.

La nostra Comunità possiede, inoltre, una tradizione di Chazanim di professionalità unica in Italia come Franco Segre (che ha insegnato a tutti noi), Carlo Treves, Isacco Levi, Elio Schlichter, Franco Fubini, oltre al Maskhil Perez e il Chazan De Benedetti dei quali ho solo avuto il piacere di ascoltare le registrazioni del rito Torinese delle Tefilloth, senza certo dimenticare i Chazanim di oggi e i giovani che hanno saputo portare avanti con grande entusiasmo le nostre tradizioni.

Infine, la scuola ebraica di Torino vanta una tradizione di insegnanti e dirigenti scolastici di altissimo livello che hanno saputo mantenere la nostra scuola a livelli di eccellenza nazionale in tutti i settori, tra i quali, permettetemi di nominare anche mia madre (Z.L.) la Morà “Toncy”, che ha insegnato per quarant’anni.

Torino è una Comunità nella quale il volontariato è tradizione, laddove in altre Comunità ciò non è scontato.

Dulcis in fundo, Torino è la Comunità alla quale sono grato per avermi regalato mia moglie Tiziana che incontrai a Simchat Torà di qualche anno fa in questa Sinagoga.

Voglio anche ricordare mia madre e mio padre, che saranno sempre presenti nel cuore della mia famiglia e che molti di voi ricorderanno e che sarebbero felicissimi di essere qui oggi a condividere la mia gioia.

Impossibile, infine, non rivolgere uno sguardo alla mia seconda Comunità di appartenenza, quella di Napoli dove ho lavorato per sette anni, dove mi sono sentito a casa e ho avuto la possibilità di scoprire come si può collaborare senza conflitti anche se talvolta confrontando idee diverse o anche opposte.

In sette anni a Napoli abbiamo costruito tanto e spero di aver lasciato a chi mi ha succeduto una Comunità più unita e conscia delle proprie potenzialità.

Dal primo settembre è cominciata per me una nuova incredibile avventura alla quale mi sto dedicando “anima e corpo”, con la fortuna di aver ereditato una Comunità unita grazie al mio predecessore Rav Di Porto.

Credo che la continuazione del lavoro dei prossimi anni debba concentrarsi su alcuni punti chiave:

  • Operare per il coinvolgimento dei giovani nel Tempio e nella vita comunitaria e per un maggior avvicinamento degli israeliani residenti a Torino e dei turisti.
  • Dedicarmi all’assistenza degli anziani e lavorare per ristabilire un filo con coloro i quali per vari motivi si sono allontanati dalla Comunità e dall’Ebraismo in genere,
  • Impegnarsi nell’insegnamento della Torà focalizzandosi anche sullo studio della lingua ebraica come strumento di studio e di avvicinamento ad Israele,
  • Combattere l’antisemitismo in tutte le sue forme, incluse quelle moderne, denominate antisionismo o “antiisraelianismo”,

Con lo Shabbat di ieri abbiamo concluso il ciclo delle feste e ripartiamo con la cosiddetta routine.

La magia delle feste, con le Selichot, lo Shofar, il digiuno, la Sukkà, la festa di Simchat Torà, le cene in famiglia, le Tefilloth e le parole di Torà ci hanno lasciato un arricchimento interiore che ogni anno diventa parte di noi stessi e ci accompagna per tanto tempo.

Ieri abbiamo letto i primi capitoli della Torà che narrano del Gan Eden e del cosiddetto “peccato originale”.

A questo punto risulta legittimo domandarsi come sia possibile che, alla fine di tutto questo percorso, al quale dobbiamo dedicare tutte le nostre energie, ci aspetti la narrazione del peccato originale?”

Che senso ha avuto questo enorme sforzo, se alla fine scopriamo che tutto è vano, perché ci dobbiamo subire le conseguenze di un peccato commesso da qualcun’altro che segna il nostro destino?

Credo di poter affermare che ciò non sia coerente con la filosofia e con la mentalità ebraica, che ci insegna a pensare che il nostro destino è sempre nelle nostre mani e non è mai segnato a priori.

In realtà i Chachamim ci insegnano che proprio dal posizionamento di questa vicenda alla fine delle feste si può dedurre quale sia l’incarico principale del Popolo Ebraico nel nostro mondo:

Infatti, il testo ci conduce attraverso la narrazione del peccato originale, proprio ora che abbiamo appena superato le feste e fatto il nostro esame di coscienza sui nostri errori per farci rivivere la stessa situazione di Adamo ed Eva e chiamarci nuovamente a correggere la loro scelta tra il Bene ed il male.

Scegliendo oggi il Bene, noi possiamo, “correggere” il loro errore, e riportare il mondo ad una condizione priva del peccato originale.

L’approccio Ebraico rispetto a questa vicenda che è estremamente positivo e fiducioso nel futuro deve guidarci nella gestione di tutte le opportunità e i problemi che affrontiamo.

Le Comunità Ebraiche italiane sono entrate in una crisi demografica che si affianca alla crisi lavorativa che si protrae da diversi anni in questo paese, e che esclude la possibilità di arrivi dall’estero, come il caso dei libici a Roma dopo la guerra dei sei giorni e quello dei Persiani e Libanesi a Milano negli anni ’70 che qui trovarono ricchezza e benessere.

Si tratta di una crisi cruciale che richiede una nostra presa di coscienza, una visione e soprattutto la creazione di un modello educativo mirato ad instillare nei giovani (laici e religiosi) la volontà di mantenere viva la Comunità e la loro stessa millenaria catena ebraica familiare e personale, ma soprattutto a riflettere sulla propria identità ebraica.

Ritengo, infatti, che il vero problema alla base della crisi demografica che stiamo vivendo derivi a sua volta da una crisi della nostra identità Ebraica personale e collettiva, che dovremo cercare di affrontare con coraggio e sincerità insieme ai nostri giovani e giovanissimi.

Ci sono domande alle quali ogni generazione e ogni singolo devono trovare le proprie risposte che motivano la nostra appartenenza alla Comunità e all’Ebraismo.

Personalmente credo che il mondo abbia ancora molto bisogno del popolo Ebraico e che il popolo ebraico a sua volta abbia bisogno anche dell’Ebraismo Torinese e della sua storia, così come di tante altre realtà anche più piccole, come le nostre sezioni.

Tuttavia, è importante per ognuno di noi comprendere, nell’era della comunicazione, quale sia ancora il ruolo del popolo ebraico e perché le nostre tradizioni plurimillenarie siano ancora oggi vitali e abbiano in sé la forza di contribuire a fare di questo nostro mondo un mondo migliore.

Con questo approccio positivo, che è lo stesso con il quale per 2000 anni abbiamo ripetuto la frase “il prossimo anno a Gerusalemme” fino alla miracolosa concretizzazione dei nostri ideali, vorrei approcciare il mio nuovo incarico nella mia città natale.

Spero che Kadosh Baruch Hu ci possa dare le forza di essere all’altezza di questo importante compito.

Behazlachà a tutti noi!

Ariel Finzi