I volti della Tzedakah: come perseguire un ideale di giustizia sociale

di Sofia Tranchina

Fondato nel 1843 a New York, il Bené Berith ha sempre svolto numerose attività legate alla beneficenza e alla assistenza sociale. Ad oggi, opera in oltre 50 paesi e ha rappresentanza – come organizzazione non governativa – persino all’ONU.

Tuttavia, come ha spiegato il vicepresidente del BB Gianemilio Stern, seguendo il principio ebraico di Tzedakah discreta, ovvero aiutando umilmente gli altri senza dirlo troppo in giro, ancora molte persone non sanno quali attività svolga e dunque, nel momento del bisogno, non sanno a chi rivolgersi. Per questo, la nuova gestione presieduta da Claudia Bagnarelli ha deciso di dedicare una serata a tutte le opere di Tzedakah che vengono quotidianamente svolte sul suolo italiano, per aprirsi e farsi conoscere: «la beneficenza si fa ma non si racconta, per rispetto e per pudore», ma è necessario che le associazioni vengano conosciute e pubblicizzate.
Durante la serata del 13 giugno ospitata negli spazi del Noam, si sono alternati – moderati dalla presidente della Commissione culturale Giulia Pesaro del BB e dall’attore Enrico Fink – momenti di lezione e riflessione, condotti dai maestri Rav Alfonso Arbib e Rav Avraham Hazan, oltre che dal pittore Tobia Ravà, e momenti di promozione delle associazioni: Servizi Sociali CEM, progetto Nanà e Volontariato Biazzi. Inoltre, hanno avuto modo di presentarsi anche gli organizzatori dei movimenti giovanili di Milano Bené Akiva, Hashomer Hatzair e del Merkos.

L’occasione ha anche dato la possibilità a Manuel Mires di presentare il suo piccolo libro Mi-Yad Le-Yad (da una mano all’altra), una collezione di saggi e parashot sul tema della Tzedakah, destinato ai ragazzi che si accingono a fare il Bar o Bat Mitzvah. Il libro viene venduto in una busta con delle monetine da 1 centesimo, con un quesito che viene risolto nello svolgersi del libro: è meglio dare tutte le monete a una persona sola apportandole un aiuto sostanzioso, o è meglio darle una per volta a chi ci si trova davanti, sostenendo poco ma tutti?

Sostenere gli altri ed aiutarli è un dovere, è giusto (Tzedakah viene infatti dalla stessa radice di “giustizia”). “Quando un povero verrà a chiederti aiuto, ti comporterai come se Dio non esistesse e la sua salvezza dipendesse solo da te”, spiegano Fink e Rav Arbib. “Darai la decima in modo da diventare ricco”, come emerge dall’aneddoto raccontato da Rav Hazan:
«Quando il signor Reichmann morì, chiese nel testamento di essere sepolto con i propri calzini, cosa non regolamentata dalla religione ebraica. I figli, dunque, chiesero a tutti i rabbini se non si potesse fare un’eccezione, che fu tuttavia negata. Il padre fu dunque sepolto secondo la norma, ovvero senza i propri calzini. Più tardi, venne mostrato ai figli un secondo testamento, in cui il padre spiegava: ‘immagino non siate riusciti a seppellirmi con i miei calzini. Cosa vi dice questo? La Tzedakah che abbiamo fatto in vita è l’unica cosa che possediamo’. Nient’altro ci porteremo nella tomba». Ma la Tzedakah non è solo donare denaro, bensì anche tempo, energie, aiuti… E per questo ci sono le organizzazioni.

 

Così Ramesh Khordian dei Servizi Sociali CEM ha parlato della Tzedakah dell’affetto, mentre Rosanna Supino, oltre ad aver ricordato l’attività dell’associazione AME di prevenzione sanitaria (delle malattie genetiche e dell’infertilità giovanile in particolare), ha presentato il progetto Nanà, che prende il nome da Nashim le Nashim, ovvero “donne per le donne”. Una help-line telefonica per le donne che soffrono di solitudine o che hanno bisogno di parlare con qualcuno dei loro problemi. Infine, Rosanna Bauer ha parlato del Volontariato Federica Sharon Biazzi.
Tuttavia, ricorda Rav Arbib, non bisogna cadere nell’errore della “deresponsabilizzazione”: ci si potrebbe convincere che siccome ci sono tante associazioni che si occupano degli altri, noi in prima persona ne siamo esonerati. Non è così, mette in guardia: le associazioni non sono entità metafisiche ma gruppi di persone che singolarmente si responsabilizzano. Tutti dobbiamo fare la nostra parte.
A sorpresa, nel corso della serata Daniela Fuchs ha premiato Sarah Anna Sperber con un’incisione del Mishkan e una borsa di solidarietà per l’aiuto che ha instancabilmente offerto a chi ne aveva bisogno. A fine serata, Enrico Fink si è esibito in un racconto musicale con il flauto mentre ai partecipanti è stato offerto un lauto buffet.