Amnesty International accusa Israele di “apartheid”

2022

 

n° 3 - Marzo 2022 - Scarica il PDF
n° 3 – Marzo 2022 – Scarica il PDF

Perché Amnesty International fa finta di ignorare la convivenza consolidata tra arabi e ebrei?
Perché le ONG hanno “dichiarato guerra” a Israele, tra fake news
e l’accusa di apartheid? Nel tentativo di disonorare Israele, è Amnesty a perdere l’onore. E la credibilità. Infatti, nello Stato ebraico gli arabi musulmani siedono alla Corte Suprema e alla Knesset, sono medici, infermieri, avvocati, magistrati, accademici, giornalisti… In 75 anni, Israele ha integrato ebrei
di 181 provenienze diverse, e poi arabi, drusi, cristiani cattolici, copti… Altro che apartheid

 

 

 

 

Caro lettore, cara lettrice,

dove trovare l’accusa di apartheid per la Turchia che discrimina e incarcera da decenni i suoi Curdi? Che ne è della Cina che rinchiude in veri e propri campi di concentramento la popolazione Uigura di religione islamica? Perché Amnesty International non riserva l’infamante accusa di apartheid anche a Turchia e Cina? Un pubblico insulto che sembra oggi buono solo per Israele (vedi inchiesta a pag. 4). E che dire dell’apartheid subito dai palestinesi in Libano, esclusi ancora oggi da circa 40 professioni per evitare che si “normalizzino” troppo e affinché restino profughi tutta la vita? Amnesty non solleva il tema della discriminazione né per i Curdi né per gli Uiguri, né tantomeno per i milioni di cristiani d’oriente uccisi in mezzo mondo, dal Caucaso all’Africa, dal Medio all’Estremo Oriente. Lo riserva a Israele, in un avatar dell’antisemitismo che presenta oggi sorprendenti e inedite sfumature ideologiche.
Era infatti prevedibile che anche Israele dovesse finire, presto o tardi, nel tritacarne del wokismo, incorrendo nello stigma del jewish-white privilege, un falso mito che si sta diffondendo a macchia d’olio nel mondo anglosassone e in Francia.
Diffuso nella generazione dei Millennials tra i 18 e i 35 anni, il pensiero woke di cui Amnesty sembra essere il portabandiera, giunge a detestare Israele come oggi si detesta l’uomo bianco all’indomani delle recenti proteste afroamericane in Usa; uomo bianco macchiato di tutti i razzismi,  nefandezze e soperchierie della Storia. Uomo bianco colpevole di sessismo, colonialismo, razzismo e di un variegato catalogo di infamie compiute nei secoli verso chi uomo bianco non era.
In linea con questa visione, nella grammatica del nuovo antisemitismo, ecco l’ebreo diventare allora un uomo bianco al quadrato. Un bianco potenziato, più minaccioso degli altri. Ieri meticcio senza patria e senza spina dorsale, oggi maschio sciovinista-nazionalista, bellicoso e militarizzato, specie nella sua versione israeliana. The jewish-white privilege – una locuzione ora in voga -, presuppone che se sei un ebreo oggi in America sei gioco forza anche un bianco che gronda privilegio, leadership e potere, quindi detestabile, impresentabile, da bandire dai salotti evoluti e dai contesti politicamente sensibili al destino dei deboli, degli ultimi, delle minoranze.
Un nuovo bigottismo antiebraico che sembra dimenticare che per millenni l’ebreo ha subito l’apartheid dei ghetti in terra cristiana, e che non c’è stato nulla di privilegiato nell’espulsione degli ebrei dal Sud Italia, dalla Spagna dalla Francia, dall’Inghilterra, dalla Svizzera, dal Portogallo, dall’Austria, dall’Ungheria, dalla Baviera, dai domini dello Stato Pontificio, nei secoli passati.  Nessun privilegio bianco nell’essere stati umiliati nei mellah delle città del Nordafrica sotto la Dhimma o il Millet islamico, nell’essere oggetto di pogrom, processi e roghi in Ungheria, Polonia, Russia, nessuna pelle bianca che ha salvato gli ebrei da Treblinka e Majdanek e nessun diafano biancore della pelle in grado di eludere i divieti che, nell’America del primo dopoguerra, colpivano gli ebrei proibendo loro l’ingresso nelle università, nei club esclusivi e nelle fraternities wasp.
Così, oggi, il nuovo vestito woke dell’odio antiebraico prevede l’esecrazione di Israele percepito come la quintessenza del machismo bianco predatorio e abusante. Un’ennesima ideologia ammantata di buone intenzioni che rischia di far ammalare il corpo sociale, come Amnesty dimostra.

Fiona Diwan