“Trasmettere le emozioni”, la chiave per non dimenticare ciò che è stato

Taccuino

di Roberto Zadik

La memoria del passato che convive con i problemi della modernità. Come trasmettere la tragicità dell’Olocausto e le efferatezze commesse dalla Germania nazista alle giovani generazioni? A  cosa serve oggi il Giorno della memoria? La paura che con la morte degli ultimi sopravvissuti si affievolisca il ricordo di quei tremendi anni, quando dal 1943 al 1945, morirono uomini, donne e bambini ebrei e no, sterminati ad Auschwitz e in altri lager è stato uno dei temi portanti della serata di giovedì scorso organizzata dall’Associazione Figli della Shoah. Tutto questo e molto altro è stato rievocato al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano, giovedì 26 gennaio, davanti a un vasto pubblico.

Durante la serata presentata e diretta da Miriam Camerini, hanno parlato e raccontato le loro esperienze i testimoni diretti ma anche le seconde e terze generazioni, figli e nipoti dei sopravvissuti, che hanno raccontato le loro storie e le loro emozioni.

Erano presenti personalità delle istituzioni, assessori del Comune, della Provincia e della Regione -Lucia Castellano del Comune,  Alessandro Colucci della Regione,  il Presidente del Consiglio Provinciale, Bruno Dapei; e ancora,  Ferruccio De Bortoli, direttore de “Il Corriere della Sera” e presidente della Fondazione Memoriale della Shoah. Per il mondo ebraico hanno parlato il Rabbino Capo, Rav Alfonso Arbib, il presidente della Fondazione Cdec, Giorgio Sacerdoti e Roberto Jarach, presidente della Comunità e vicepresidente del Memoriale della Shoah. “Dobbiamo educare i giovani a mantenere la continuità della memoria, questo è un compito importante della comunità ebraica” ha sottolineato Jarach che durante il suo intervento ha aggiunto “il Memoriale della Shoah dev’essere qualcosa di vivo e non un museo”.

Rav Alfonso Arbib ha ricordato che “l’antisemitismo è ancora ben presente nella società italiana. A cosa serve la memoria? Funziona il ricordo? e soprattutto esso riesce ad intaccare il pregiudizio?” Arbib ha parlato inoltre dei rischi insiti nella “ripetizione e retorica” che si applica quando si rievoca quanto accaduto fino alla primavera del 1945. “Bisogna trasmettere le emozioni, capire cos’è la sofferenza” senza spersonalizzarla, ha concluso Rav Arbib.

Fra gli applausi e la commozione, hanno parlato anche i sopravvissuti – Goti Bauer, Liliana Segre, Nedo Fiano – ricordando come “per anni nessuno voleva ascoltare – ma anche raccontare – le loro testimonianze”. Tutti e tre concordavano nel sottolineare il timore che con la loro scomparsa si possa  perdere la memoria. Per le seconde generazioni  e le terze generazioni, hanno parlato Clara Wachsberger e Paola Sonnino, e poi Jonathan Mele e Micol  Di Segni. Paola Sonnino ancora oggi si commuove e quasi fatica a cominciare la sua narrazione, ricordando il tragico destino di suo padre Piero. “Siamo stati ad aspettarlo con speranza, ogni giorno; ma non è mai più tornato”.

Di tutt’altro tipo è la vicenda di Clara Wachsberger che ha ripercorso la storia di suo padre Arminio, ebreo fiumano, che grazie alla sua conoscenza del tedesco divenne “traduttore” nel lager di Auschwitz e riuscì a salvarsi; il resto della sua famiglia invece venne sterminata.