Joe Biden (foto Michael Stokes)

L’incognita dei rapporti con l’Iran nella politica della nuova amministrazione con Joe Biden alla Casa Bianca

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano Occidente] Il Paese leader del lontano Occidente ha votato, come sappiamo, in un clima pessimo tra pandemia e violenza diffusa. C’è stato un cambio della guardia e ora tutti ci interroghiamo sui possibili effetti della prossima uscita (il 20 gennaio) di Trump dalla Casa Bianca per far posto al nuovo presidente, Joe Biden, già vicepresidente di Barack Obama per otto anni in un periodo molto discusso per la politica di allora nei confronti di Israele, i palestinesi e, soprattutto, l’Iran.

Dunque: dobbiamo preoccuparci noi ebrei nella Golà per i nostri fratelli e sorelle in Israele? Certo molte cose cambieranno, e lo sappiamo dalle prime dichiarazioni fatte dalla vice di Biden, la prima vicepresidente donna americana, Kamala Harris, che ha promesso il ripristino dei contatti con l’Anp (quando peraltro era stato Abu Mazen a interromperli), la ripresa degli aiuti materiali ai palestinesi e la opposizione a possibili “azioni unilaterali di Israele”. Queste “azioni”, ovvero l’estensione della sovranità israeliana su parti di Giudea e Samaria (Area C), come sappiamo non sono avvenute nemmeno quando il contesto internazionale era favorevole.

Il governo di Gerusalemme ha sospeso ogni decisione per favorire la normalizzazione dei rapporti con alcuni Stati arabi, cosa che ha portato alla firma degli Accordi di Abramo con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein oltre all’apertura di negoziati con altre nazioni fino a ieri considerate “nemiche”. Ora, noi non vogliamo entrare nelle dispute politiche interne di altri Paesi, né attribuire meriti personali. Tuttavia è un fatto che questa incredibile e francamente apprezzata svolta diplomatica è avvenuta durante la presidenza di Trump, mentre con Obama la percezione degli equilibri in Medioriente era apparsa gravemente sbilanciata nei confronti del regime degli ayatollah. È da qui che sono partite le aperture dei Paesi a maggioranza sunnita nei confronti di Israele? Forse.

Da parte nostra non possiamo non riconoscere che nella Penisola arabica si è verificata una vera rivoluzione culturale. Le relazioni che si stanno costruendo con lo Stato ebraico non vogliono essere soltanto “assenza di conflitto” (vedi Egitto e Giordania) ma vere e proprie amicizie, con scambi a tutti i livelli: commercio, turismo, ricerca, istruzione. Tutto questo non potrà essere cancellato.

Intanto perché Biden non è né è mai stato un avversario di Israele. Poi perché questi traguardi sono stati resi possibili da circostanze locali non soltanto dall’appoggio della Casa Bianca. E queste circostanze coincidono con la politica aggressiva dell’Iran. E questo è forse il punto più incerto del futuro che attende la regione dopo il cambio di amministrazione a Washington. Finora Israele ha goduto dell’appoggio degli Usa ma anche dei Paesi vicini, a partire dall’Arabia Saudita, per contenere l’espansione militare degli iraniani in Siria e Libano ed evitare così un’escalation pericolosissima. Sarà così anche nei prossimi quattro anni? O i democratici al governo riprenderanno la loro politica di aperture nei confronti di Teheran con tutto quel che ne consegue per gli equilibri regionali? Forse è questa l’incognita più grande e delicata. Ma sappiamo anche che Israele, con i suoi nuovi alleati, saprà come affrontarla.

 

Joe Biden (foto Michael Stokes)