La Storia va avanti (anche) in Medioriente, nonostante l’oscurantismo e i danni procurati dalle ideologie

Taccuino

di Paolo Salom

Il Medioriente cambia, nel bene e nel male, a velocità impensabile solo pochi anni fa. Il lontano Occidente sembra invece imbalsamato, cristallizzato in una visione di sé e del mondo che appare più una proiezione di convinzioni sorpassate piuttosto che della realtà dei fatti.

Recentemente ho rivisto un video che mostrava la sicumera dell’allora segretario di Stato americano John Kerry mentre spiegava al pubblico di uno dei tanti convegni che era “una follia immaginare una pace tra Israele e il mondo arabo prima di una soluzione della questione palestinese”. E aveva rimarcato: “No, no, no, no. Non accadrà mai. Non illudetevi”. Un po’ di prudenza diplomatica gli avrebbe evitato la cosmica figuraccia rimediata non un secolo dopo la sua dipartita, ma con lui (per fortuna) ancora vivo e in salute.
La “questione palestinese” non è stata risolta (e certo non per volontà di Israele: nonostante terrorismo e violenza, diversi governi negli ultimi venti anni hanno offerto tutto, all’infuori del suicidio dello Stato ebraico), eppure come sappiamo si è aperta una nuova era nella Penisola arabica. Sappiamo anche che la ragione principale (ma non l’unica) è la percezione che l’Iran degli ayatollah sia un nemico comune e più pericoloso di ogni altro. Ma anche se un domani questa minaccia sarà sventata, sembra probabile che il percorso di pace tra Israele e i suoi vicini non farà passi indietro. Perché le fondamenta degli Accordi di Abramo, come sono stati chiamati, poggiano non su una ideologia ma su ragioni pragmatiche: il mutuo beneficio di relazioni pacifiche. L’accettazione della presenza di Israele sulla propria patria storica. La considerazione che il mondo arabo ha più da guadagnare in un contesto di amicizia che da uno di conflitto permanente.

Sembrano considerazioni ovvie. Eppure in Europa e Occidente sono ancora molti (troppi?) quelli che continuano a rimanere fedeli a un’interpretazione della Storia totalmente ideologica. Dove non c’è spazio per un’evoluzione del pensiero. Certo, una costante dell’evoluzione della civiltà umana. Che ogni tanto viene per fortuna interrotta da barlumi di luce. Oggi la luce sembra essersi appunto accesa in alcuni luoghi del Medioriente. Mentre altrove, nel nostro mondo, l’oscurità sembra (al momento) prevalere. Pensate soltanto alla sistematica distruzione, negli Stati Uniti, delle statue di personaggi storici quali Colombo, Abramo Lincoln, Theodore Roosevelt, perché “simboli del colonialismo”. Pensate all’invocazione, nelle piazze, alla disintegrazione di Israele e alla sua sostituzione con una Palestina “dal fiume al mare”. Perché Israele sarebbe frutto del “pernicioso colonialismo” che ancora “infetta” i cattivi del mondo; mentre la Palestina sarebbe invece uno Stato perfetto, portatore di un naturale diritto a esistere al posto di quello degli ebrei “invasori”.

Il XX secolo testimonia i danni incommensurabili causati dalle ideologie: nessun portatore di ideologia ne è sufficientemente consapevole. Idee e radicalismi cresciuti in uno dei tanti laboratori della follia umana. Nessuno di loro ha coscienza dei fatti che hanno portato alla rinascita di Israele. Nessuno si è mai preoccupato di capire come la popolazione araba che oggi si definisce “palestinese” sia arrivata in Terra di Israele, loro sì come “colonizzatori” (i primi) e “immigrati” (gli ultimi, attratti dallo sviluppo economico innescato dai pionieri ebrei). E tuttavia anche la più forte delle ideologie prima o poi si consuma, divorata dalla totale mancanza di connessione con la realtà vera degli uomini. Che è fatta dalle azioni di ognuno di noi. In sintesi: dalla Storia. Che non è scritta soltanto dai vincitori. Ma anche da chi, in silenzio, nell’ombra, continua la sua vita, combattendo giorno dopo giorno.