La sentenza “non politicamente utile” della Corte dell’Aia. Intervista a Piero Fassino

di Paolo Castellano
Gli Accordi di Abramo hanno infuso nuove speranze in Medio Oriente. La normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Israele e un gruppo di Stati arabi  – Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco – ha lo scopo di porre le basi per un rinascimento politico ed economico della Regione. Per anni, il mondo arabo si è rifiutato di dialogare con lo Stato ebraico a causa del conflitto israelo-palestinese.

Tuttavia, gli Stati Uniti, in particolare l’Amministrazione Trump sotto la guida del consigliere Jared Kushner, hanno scommesso sulla collaborazione tra i paesi mediorientali, nel segno di un riconoscimento reciproco che mira a riscoprire le comuni radici storico-culturali di quel mosaico di tradizioni che è il Medioriente.

Ciononostante, nelle ultime settimane la Corte Penale Internazionale (CPI) ha prodotto una sentenza che l’autorizza ad avere giurisdizione sui territori palestinesi della Cisgiordania, Gaza e “Gerusalemme Est”.

La decisione della Corte dell’Aia ha fatto infuriare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che ha parlato di “strumentalizzazione politica” di un organo internazionale. In una recente conferenza, anche il direttore di Repubblica Maurizio Molinari ha espresso i suoi dubbi sulla mossa della CPI, sostenendo che potrebbe danneggiare gli sforzi per riportare la pace in Medioriente.

Per approfondire il tema, Mosaico CEM ha deciso di intervistare Piero Fassino, presidente della Commissione permanente per gli Affari Esteri e Comunitari alla Camera dei deputati dal 29 luglio 2020.

Durante lo svolgimento del suo ruolo istituzionale, Fassino ha dimostrato interesse e sensibilità per le questioni mediorientali ed ebraiche, non esitando a denunciare atti antisemiti nel nostro paese, come dimostrato da un suo recente tweet a sostegno della senatrice e testimone della Shoah Liliana Segre bersagliata il 18 febbraio da numerosi insulti sul Web. «Vergogna a chi non perde occasione per diffondere odio, anche a sfondo antisemita, verso una donna straordinaria come Liliana Segre. È tempo di contrastare concretamente chi utilizza i social per insultare, aggredire e minacciare. E chi lo fa deve essere segnalato e denunciato».

On. Fassino, quali sono i vantaggi a lungo termine degli Accordi di Abramo e qual è la specificità di questi accordi rispetto al passato?

«Questi accordi hanno introdotto un mutamento di scenario. Fino a prima di questi accordi, la risoluzione della questione palestinese era pregiudiziale alla ricostruzione di rapporti tra gli Stati arabi e Israele. Con gli Accordi di Abramo si rovescia l’impostazione, cioè si riallacciano rapporti tra i paesi arabi e Israele perché questo può determinare un contesto più favorevole anche a un negoziato più diretto tra israeliani e palestinesi. Naturalmente, dobbiamo sapere che una pace duratura e stabile non può che essere frutto di un accordo diretto tra israeliani e palestinesi. Se qualcuno pensa di bypassare i palestinesi fa un errore, perché non si può trattare per terzi. Non c’è dubbio sul fatto che Israele abbia ricostruito un rapporto con gli Emirati Arabi, Bahrein, Sudan, Marocco e che si sia avviata un’interlocuzione con l’Arabia Saudita. Tutto questo crea certamente un clima diverso e favorevole perché Israele non è più nella condizione di dover temere i suoi vicini, con i quali invece costruisce un rapporto di cooperazione e collaborazione. E, non avendo più il problema di temere i suoi vicini, anche l’esistenza di uno Stato palestinese può essere vissuto in un altro modo. Quindi gli Accordi di Abramo possono rappresentare uno scenario più favorevole. Fermo restando che poi la pace la dovranno fare le parti in causa. Dunque, penso che la Comunità internazionale abbia la responsabilità di sollecitare le due parti a ritornare ad un tavolo di negoziato e a riprendere un dialogo che possa arrivare a una soluzione condivisa».

Gli Accordi di Abramo si sono concretizzati anche grazie al sostegno dell’Amministrazione Trump. In tal senso, pensa che il neopresidente americano Joe Biden continuerà a supportare questa iniziativa diplomatica? 

«Io penso che l’Amministrazione Biden, come tutte le amministrazioni americane, sia molto attenta e sensibile a quello che accade in Medioriente. Gli Stati Uniti sono un partner assolutamente sicuro per Israele, e proprio perché lo sono, possono accompagnare Israele nella ripresa di un negoziato con i palestinesi. D’altronde, nelle sue prime dichiarazioni di politica estera Biden ha detto con molta chiarezza che la sicurezza e la stabilità del Mediterraneo e del Medioriente sono una priorità dell’agenda della politica estera americana. Dunque, io credo che svolgerà un ruolo positivo per favorire una soluzione».

A proposito di Stati Uniti, la politica americana ha espresso “seria preoccupazione” per la sentenza della Corte Penale Internazionale sui territori palestinesi. Siamo di fronte a una strumentalizzazione politica?

«Io non ho titolo per giudicare questa sentenza dal punto di vista del diritto. Dal punto di vista politico, penso che non sia un atto utile. Credo che la pace in Medioriente debba essere figlia di soluzioni politiche. Un quadro di stabilità e sicurezza non può essere surrogato da soluzioni giudiziarie o da soluzioni giuridiche. Ritengo che non sia un atto utile a favorire la ripresa di quel dialogo politico tra palestinesi e israeliani che è invece la condizione per arrivare a una pace che sia condivisa e dunque, essendo condivisa, possa essere duratura e stabile».

Un gruppo di paesi europei, comprese Germania, Austria, Lituania e Ungheria, ha criticato la sentenza della Corte dell’Aia. Pensa che l’Italia esprimerà una sua posizione in merito? 

«Questo bisognerebbe chiederlo a chi ha la responsabilità diretta della politica estera. Io per quello che mi riguarda, ho già avuto modo di dichiarare che, pur rispettando naturalmente la sentenza e non arrogandomi titolo per valutarla sotto il profilo giuridico, la considero inopportuna e non utile politicamente».