«Abbiamo un’eredità etica da trasmettere e custodire»

di Fiona Diwan

L’identità ebraica, la redistribuzione del cibo, la sostenibilità alimentare. E poi il problema della sicurezza. Parla Ruggero Gabbai, Presidente della Commissione Expo del Comune di Milano

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«Malgrado tutti i ritardi e gli intoppi, rischiamo che Expo sia un successo». Ruggero Gabbai ha uno stile schietto e diretto, non nasconde un certo ottimismo. Soprannominato Mister Expo per il ruolo che il sindaco Giuliano Pisapia gli ha affidato, è Presidente della Commissione Expo del Comune di Milano, regista e autore di docu-film super premiati (tra cui Memoria, Io ricordo, Il viaggio più lungo…), caratterizzati da una sensibilità per le tematiche storiche e sociali che sono tutt’uno col suo talento creativo-cinematografico e il suo impegno politico.
Gabbai s’indigna contro chi ha imbrattato di vernice rossa la bandiera d’Israele in Piazza San Babila, durante i mesi prima di Expo. «In centro a Milano ci sono i vessilli di molti Paesi-canaglia, ma su questo nessuno ha nulla da obiettare. La vernice rossa lanciata invece sulla bandiera di Israele, l’unica vera democrazia del Medioriente, non è solo un ignobile atto politico, ma un atto antisemita bello e buono. È la quarta volta che la faccio cambiare e ringrazio Giuseppe Sala e Roberto Arditi per aver sostituito la bandiera in modo sollecito e tempestivo».
Tra un viaggio e l’altro (in Senegal e in Honduras, ad esempio, per presentare Expo in giro per il mondo), Gabbai ci racconta dei tanti progetti, della sua visione di Expo e dell’interazione col mondo ebraico milanese,  della Carta di Milano e dell’Expo delle idee, frutto della ricerca del Comune con la Fondazione Cariplo intese come una Food Policy internazionale che, lui spera, riuscirà ad avere la forza del Protocollo di Kyoto, in un prossimo futuro.
In che modo Expo può essere un’occasione per la Comunità ebraica? Che cosa può dare il mondo ebraico a Expo e viceversa?
«Ho fatto da ponte tra “Expo in città” e i progetti della Comunità. Come ebrei siamo integrati da secoli nella società italiana e la nostra specifica identità ebraica può davvero essere utile all’anima internazionale e cosmopolita di Milano. Siamo una Comunità molto eterogenea, pur conservando la nostra unicità e peculiarità. Un’identità plurale che oggi non può non identificarsi con la vocazione di “Milano città aperta” e di Expo. Poi c’è la kashrut, la piFullSizeRender-5ù antica forma di educazione alimentare, millenaria direi: l’idea che prima pensi e poi decidi che cosa mangiare e che ci sono delle regole per farlo, mi sembra un pensiero all’avanguardia da sempre. Proprio questa è l’essenza di Expo. In questo senso, spiegare alla gente che cosa sia la cucina kasher e le mille sfaccettature della tavola ebraica, diventa una grande ricchezza: noi ebrei abbiamo una specie di legacy, un’eredità etica da trasmettere in fatto di cibo, non dimentichiamolo. Ma è anche il tema di Expo della città di Milano: un’eredità che è una vision, un pensiero evoluto sul cibo e su come affrontare le sfide che ci aspettano. E la tradizione della kashrut ebraica ha davvero molto da dire; basti pensare all’idea di non coltivare la terra dopo sette anni, per farla riposare, e al concetto che la natura non è al nostro libero sfruttamento, ma parte integrante della creazione, che ci porta al divieto dello spreco del cibo. A cui si aggiunge ora un altro tema, quello della redistribuzione del cibo, oggi fondamentale per l’ecosistema.
Non è più tollerabile che si possa morire per penuria di cibo in certi luoghi del pianeta, laddove in altri luoghi si abbondi di cibo che spesso è anche poco sano e poco naturale. Ecco perché la Carta di Milano è così importante. Vorremmo che Milano diventasse, in futuro, la capitale della Food Policy internazionale, una Food Security con delle linee guida in fatto di sostenibilità alimentare. Con Salvatore Veca, e altri studiosi, stiamo integrando la Carta di Milano con nuovi punti. Perché Expo non è solo una grande fiera del cibo: è soprattutto capire cos’è la sostenibilità alimentare».
Come inserire i progetti della Comunità ebraica in tutto questo?
«Semplice: daremo visibilità e spazi ad hoc alle manifestazioni, eventi, personaggi che la Comunità proporrà, le conferenze sulla kashrut, le prove dei grandi chef invitati, le iniziative di confronto interreligioso sull’alimentazione… Il tutto farà parte del cosiddetto “Expo in città”, una specie di “Fuori salone”, fruibile in giro per Milano. Il progetto ruota intorno all’idea dell’accoglienza e dell’apertura verso gli altri. E come Comunità ebraica, per la storia stessa del popolo ebraico, abbiamo il dovere di essere sensibili a questo tema».
Expo Gate in Piazza Castello: dovremo tenerci questo obbrobrio in tubolare bianco che deturpa una delle più belle piazze d’Italia?
«Sono strutture smontabili e mobili, non escludo che possano essere spostate altrove, ma per ora nessuno si è posto la questione. Milano ha comunque necessità di Info-point per il turismo, e dopo Expo si vedrà il da farsi, di sicuro una verrà smontata».
Come evitare l’errore di Siviglia e Hannover e l’effetto “casa desolata”, luogo vuoto e senza vita? Cosa sarà di Milano dopo Expo?
«Avvicinarsi a Expo è stato un percorso difficile, a ostacoli: l’abbiamo preso in corsa. Senza contare che su Expo gravava un peccato originale  – della precedente amministrazione -, ovvero la decisione di costruire su terreni privati, costati al Comune e alla Regione circa 315 milioni di euro. È la prima volta che succede una cosa simile. Di solito si tende a riqualificare il demanio pubblico, a rivalutare un pezzo di città silente o vuota, mai a acquisire terreni privati. Avremo quindi, dopo Expo, il problema di dover rivendere queste aree; o, viceversa, accollarci il deficit».
Che cosa resterà in piedi delle varie costruzioni e padiglioni?
«La Cascina Triulza, restaurata per l’occasione, non verrà mai smantellata, rimarrà come patrimonio storico cittadino e sarà una struttura permanente dove si insedieranno le Ong. Anche il Padiglione Italia non dovrebbe essere smantellato, mentre metà dell’intera location dell’Expo dovrebbe essere adibita a spazi verdi e parco pubblico per delibera votata in Consiglio comunale nel luglio 2011. L’idea, nel futuro, sarebbe quella di creare, in quest’area, un polo scientifico-universitario. Molto dipenderà dal successo dell’evento. Nel frattempo, è stato importante ridare la Darsena ai milanesi, un luogo godibile e finalmente fruibile dai milanesi che all’apertura l’hanno preso d’assalto, segno che era una parte molto attesa e sentita dai cittadini: un fatto positivo e per niente scontato».
Sicurezza, un tema caldissimo…
«Faccio parte della Commissione sicurezza e credo che l’Italia sia oggi uno dei Paesi più sicuri. Expo sarà il primo esperimento italiano di Smart City, con sistemi di sicurezza e controllo molto sofisticati; tutto sarà coordinato dal comando centrale dei vigili, 4000 telecamere, 200 tornelli elettronici con metaldetector di ultima generazione. Ci saranno 1500 guardie giurate, 600 militari e 2000 agenti tra polizia e carabinieri per garantire la sicurezza all’interno e attorno al sito espositivo. Certo, in una società liquida e disgregata come la nostra è difficile individuare i cani sciolti, le cellule impazzite estemporanee, ma nel complesso, le misure di sicurezza sono imponenti e capillari e coordinate in maniera integrata da tutte le aziende partecipate del Comune di Milano. Quasi un anno fa, l’ex capo del Mossad Meir Degan in visita dal comandante dei vigili urbani Tullio Mastrangelo rimase molto impressionato da questa grande integrazione tra forze di sicurezza e enti partecipati come il 112 o anche AMSA, A2A o ATM. Degan definì Milano una città assolutamente all’avanguardia per affrontare eventuali situazioni di crisi o di emergenza».
Anche stavolta le proposte agroalimentari di Israele sembrano all’avanguardia…
«Israele è stato uno dei Paesi più efficienti nella gestione del Padiglione, tra i primi a finirlo. La proposta delle Piantagioni Verticali è fantastica e Israele ha davvero molto da insegnare ai Paesi in via di desertificazione come quelli africani. Come respirare meglio, come approvvigionarsi di acqua, come mangiare glocal o a km zero, queste saranno le nostre prossime battaglie. Senza un accettabile equilibrio uomo-natura, non saremo in grado di garantire un futuro di prosperità alle prossime generazioni. Dobbiamo assolutamente iniziare a collaborare affinché il pianeta sia un posto più vivibile per tutti. Le stragi di migranti ci devono far riflettere sul fatto che la risposta deve essere condivisa dalla comunità internazionale in modo forte e deciso, ripensando anche al nostro sistema economico e alla redistribuzione delle ricchezze. Altrimenti la sfida, con 9 miliardi di persone nel 2050, sarà sempre più difficile».