di David Zebuloni
La Turchia ha molto potenziale per diventare una vera minaccia per Israele. Penso tuttavia che la situazione non sia ancora irrecuperabile. Non mi identifico con chi dice che la Turchia diventerà l’Iran del nuovo millennio”. Parola di Rami Daniel, ricercatore all’Istituto per gli Studi di Sicurezza Nazionale (INSS) e esperto di questioni turche.
Dopo Gaza, il Libano, l’Iran, lo Yemen e la Siria, ora sembra che anche la Turchia minacci di aprire un fronte con Israele. Solo la scorsa settimana è stato pubblicato che il governo di Erdogan ha dato il via libera per l’acquisto di missili avanzati dalla Germania e dalla Francia. Perché? Contro chi intende combattere? E ancora, perché ha stipulato un accordo di difesa congiunta con il nuovo leader siriano?
“Per quanto riguarda la questione siriana, diamo sempre per scontati tre presupposti affatto scontati”, spiega in un’intervista a Makor Rishon Rami Daniel, ricercatore all’Istituto per gli Studi di Sicurezza Nazionale (INSS) e esperto di questioni turche. “Il primo presupposto è che il regime siriano attuale controllerà veramente la Siria e non verrà abbattuto anche lui. Il secondo presupposto è che il regime in questione si alleerà con la Turchia e non con alti regimi circostanti. Il terzo e ultimo prsupposto è che il regime seguirà una linea violenta ed estremista nei confronti di Israele. Penso che su questi tre punti bisognerebbe essere un po’ più cauti”.
Secondo l’esperto, dunque, la realtà in Siria è ancora precaria. “Non è chiaro come il regime si stabilirà e se continuerà ad esistere”, sottolinea. “Da un lato, è chiaro che la Turchia sia stata la prima ad aver guadagnato dalla caduta di Assad, soprattutto rispetto all’Iran e alla Russia, ma dall’altro l’altro siamo certi che continuerà ad essere così? Personalmente, non ne sono affatto certo. Già molte nazioni si sono mostrate interessate alla nuova Siria. Gli europei hanno rinnovato i legami, l’Arabia Saudita sta cercando di avvicinarsi. Ci sarà una vera gara per riuscire a influire sul nuovo regime siriano, con una Turchia che parte avvantaggiata, ma non è detto che riuscirà a mantenere il vantaggio nel tempo”.
Una delle domande cruciali circa il rafforzamento dell’esercito turco, riguarda proprio i suoi potenziali nemici. In altre parole, contro chi la Turchia intenda effettivamente combattere. “È importante capire che la Turchia da molto tempo ormai si sente minacciata, una minaccia generica e non specifica, contro cui non è abbastanza forte e preparata”, afferma Daniel. Paranoie e no, secondo l’esperto non si possono ignorare le forze che agiscono contro il governo turco e che minacciano la sua esistenza. “Ci sono diversi giocatori locali che agiscono contro Erdogan. La resistenza curda nel nord della Siria è collegata alla resistenza curda in Turchia, per esempio. La storia tra i turchi e queste bande è intrisa di sangue. Pertanto, la Turchia li considera ancora oggi nemici a tutti gli effetti”.
Secondo il ricercatore, anche la Russia e l’Iran costituiscono una minaccia per la Turchia, ma di natura diversa da quella curda. “È importante chiarire che Russia e Iran non sono nemici della Turchia, anzi, i legami tra loro sono migliorati recentemente, ma esiste una certa competizione tra le due fazioni”, spiega. “Ad esempio, l’Iran ha sostenuto Assad in Siria, mentre la Turchia ha sostenuto i ribelli. La Turchia sostiene l’Azerbaigian, e l’Iran teme molto l’ascesa dell’Azerbaigian come potenza nel Caucaso. Tra Turchia e Russia vale lo stesso concetto: vi sono diversi punti di attrito”.
Che ruolo ricopre dunque Israele in questo complesso quadro geopolitico? E soprattutto, deve davvero temere una minaccia militare dalla Turchia? “Credo che sia sbagliato gridare continuamente ‘stanno arrivando i turchi’, prima di tutto perché alla fine diventerà una profezia che si auto-avvererà”, risponde l’esperto. “Inoltre, l’accusa israeliana nei confronti della minaccia turca potrebbe aumentare la già notevole ostilità del governo turco nei confronti di quello israeliano. L’interesse attuale di Israele è quindi quello di cercare di calmare le acque, e non aggiungere benzina sul fuoco. Il nostro attuale ministro degli Esteri, ad esempio, è molto favorevole ai curdi, ma penso che sarebbe meglio che se lo tenesse per sé e non facesse dichiarazioni pubbliche a riguardo”.
E non è tutto. “La Turchia non è l’Iran”, tiene a specificare Daniel. “Anche se precari, tra Israele e Turchia vi sono ancora dei legami diplomatici. Esistono, ed è importante sfruttarli appieno per il bene della regione. C’è ancora un’ambasciata turca in Israele, con diplomatici turchi che abitano in pace e in sicurezza nello Stato ebraico. Questo significa che se si vuole migliorare i rapporti tra i due paesi, non bisogna ricominciare da zero. Esiste ancora una terra fertile sulla quale ricostruire un futuro prospero. Il vero problema è che ogni errore compiuto oggi, potrebbe perdurare nel lungo periodo”.
Quanto è improbabile una piena collaborazione tra Turchia e Israele? Secondo l’apprezzato ricercatore, meno di quanto si possa pensare. “I due paesi hanno molti più interessi comuni di quanto ci si possa immaginare”, afferma. “Ad esempio, un interesse comune tra Israele e Turchia è che la Siria rimanga stabile e non funga da nuova minaccia per la quiete del Medio Oriente, ovvero che non venga accolta sotto l’ala iraniana”.
Perché dunque non esiste ancora una cooperazione turco-israeliana? “Soprattutto a causa della reazione turca alla guerra a Gaza, e delle posizioni sempre più rigide e radicali di Erdogan”, prosegue Daniel. “La Turchia ha effettivamente molto potenziale per diventare una vera minaccia per Israele. Penso tuttavia che la situazione non sia ancora irrecuperabile. Non sono ottimista, ecco, ma nemmeno molto spaventato. Non penso che ci sarà un miglioramento significativo nei rapporti a breve termine tra i due paesi, ma non mi identifico con chi dice che la Turchia diventerà l’Iran del nuovo millennio. Siamo ancora lontani da avere una nuova Iran in Medio Oriente”.