Fiori in onore degli assassinati nella sinagoga di Pittsburgh

Tre anni dopo il massacro di Pittsburgh, ricordi, quotidianità e speranze della Comunità

Mondo

di Roberto Zadik

Sono passati tre anni dall’attentato alla sinagoga di Pittsburgh Tree of life (Albero della vita) e dolore ma anche speranza attraversano gli stati d’animo della Comunità locale. Ma come stanno vivendo gli ebrei della città e quale la quotidianità rievocando quel terribile attacco in cui, sabato 27 ottobre 2018 un terrorista irrompeva nella sinagoga durante la consueta preghiera mattutina sparando contro i fedeli e uccidendo undici persone? A rivelarlo l’articolo del Times of Israel uscito giovedì 28 ottobre e firmato dalla giornalista Danielle Ziri che ha intervistato il Rabbino Jeffrey Myers ufficiante della sinagoga che al momento dell’attentato stava conducendo la tefilla davanti al pubblico.

Non possiamo lasciare che il Male trionfi – ha affermato Rav Myers – ogni persona minimamente civile dovrebbe rifiutarlo. Per questo – ha proseguito – non possiamo restare immobili ad aspettare che esso se ne vada per conto suo, ma invece è necessario reagire”. Il Times of Israel ha evidenziato come l’attentato a Pittsburgh sia stato uno dei peggiori che abbiano colpito l’ebraismo americano e che esso abbia rappresentato l’inizio di una spirale di attacchi.

Da quel momento, solo nel 2019, sono avvenute in rapida successione le aggressioni alla sinagoga californiana di Poway, al supermercato kasher a Jersey City e a New York, durante la festa per Channuka a Monsey.

In tema dell’attacco di Pittsburgh, il sito ha evidenziato che ai tempi Rav Myers, nato in New Jersey, era il rabbino di riferimento della sinagoga di Pittsburgh dopo una lunga esperienza come chazan (cantore sinagogale) ed educatore. In seguito all’attacco egli ha intensificato l’impegno verso la Comunità lavorando sia nei confronti dei membri della sua realtà comunitaria sia rivolgendosi alle autorità nazionali, fra le quali l’ex presidente americano Trump, al fine di creare una concreta cooperazione interna ed esterna al suo ambiente.

Ma adesso cosa sta succedendo? A questo proposito intervistato telefonicamente, Rav Myers ha ribadito la dolorosità dell’anniversario della strage ma la necessità di andare avanti. “Dobbiamo distinguere questo momento di commemorazione – ha affermato – dal resto dell’anno, in cui la priorità è continuare la nostra vita”. Ancora sconvolto da quanto accaduto davanti ai suoi occhi quel giorno, il Rabbino ha rifiutato di raccontare la strage preferendo soffermarsi su altri argomenti, dall’antisemitismo americano, alla difficile quotidianità, al suo arrivo a Pittsburgh nel 2017. A questo proposito egli ha ricordato che nonostante non potesse immaginare quanto sarebbe successo “avveniva ogni tanto qualche episodio di antisemitismo, anche se nulla di violento che mettesse in pericolo la sicurezza delle nostre comunità”.

“Per un anno – ha ricordato – ci siamo fermati e abbiamo preso una pausa di riflessione per piangere e elaborare, per recitare il Kaddish per le vittime durante gli undici mesi seguenti e farci forza a vicenda. Successivamente abbiamo cominciato ad interrogarci su cosa fare per il futuro”. Il Rabbino ha sottolineato come sia rimasto piacevolmente stupito dalla solidarietà e dal sostegno fra i membri della comunità e dalla loro reattività che si è rivelata “ben oltre alle mie aspettative”. Molto colpito anche dalla vicinanza dei concittadini non ebrei, Rav Myers ha detto che “la maggioranza della gente si è sentita coinvolta da quanto accaduto alla nostra comunità. È stato davvero splendido osservare quanta vicinanza c’è stata e ancora oggi permane nei nostri confronti”.

In tema di solidarietà, Rav Myers ha messo in luce la cooperazione con altre realtà religiose che si sono dimostrate molto ricettive ai pericoli della violenza e dell’odio, come la Chiesa Battista del Texas o il tempio Sikh nel Wisconsin impegnati nella comune lotta all’intolleranza. Ricordando le persone scomparse nel massacro, il Rabbino ha detto “era gente veramente coinvolta in quello che facevamo, che arrivava presto alle funzioni religiose e sono davvero insostituibili sotto vari aspetti. Fra questi il legame verso la sinagoga, la devozione e l’attaccamento verso la loro identità ebraica. Quanto avvenuto ci ha colpito al cuore e nel profondo”. In conclusione il Rabbino ha ricordato che dopo l’attacco la sinagoga è stata chiusa e che temporaneamente la congregazione si è spostata nel centro Rodef Shalom (Insegui la pace) anche se ha espresso la propria nostalgia verso Tree of Life. “Ci manca la nostra vera casa – ha detto – e non vediamo l’ora di ritornarci. Spero che venga realizzato l’ambizioso progetto della nuova sinagoga progettata dall’architetto Daniel Libeskind. Sarà la nostra risposta, non lasceremo che la violenza ci scacci dal nostro tempio e spero che esso diventerà un luogo di speranza per tutto il mondo”.