di David Zebuloni
“Non eseguono semplicemente gli ordini di Teheran, ma puntano ad affrontare altre milizie per il controllo dello Yemen – spiega la ricercatrice esperta di sicurezza internazionale Noa Lazim -. Attualmente non hanno ancora tutte le capacità per mettere pienamente in pratica le loro minacce, ma ci stanno lavorando, anche con alleanze e produzione interna di armi”.
Domenica mattina, quando una potente esplosione si è sentita nella zona dell’aeroporto Ben Gurion, milioni israeliani sono rimasti sbalorditi nel sapere che un missile Houthi lanciato dallo Yemen ha colpito uno dei luoghi più sicuri e protetti dello Stato. Una domanda legittima si sono poi posti i milioni di cittadini spaventati: com’è possibile che proprio il gruppo terroristico considerato finora il più debole e il meno minaccioso del Medio Oriente, sia riuscito a fare ciò che Hamas, Hezbollah e persino l’Iran non sono riusciti a fare?
“Gli Houthi non sono semplici delegati del regime degli Ayatollah, ma partner strategici dell’Iran”, spiega la ricercatrice esperta di sicurezza internazionale Noa Lazimi, in un’intervista al Makor Rishon -. Gli Houthi non eseguono semplicemente gli ordini di Teheran, bensì hanno una loro politica indipendente che cercano di promuovere ad ogni costo. La loro lotta ha anche un obiettivo interno: affrontare altre milizie in Yemen che vogliono controllare ampie porzioni del paese. Oggi controllano circa un terzo del territorio e rappresentano oltre il 70% della popolazione”.
In altre parole, gli Houthi stanno sfruttando il conflitto contro Israele per consolidare la loro posizione in Yemen e nel Medio Oriente. “La cooperazione con l’Iran, che fornisce loro un ampio supporto, li aiuta a rafforzare il controllo in Yemen”, afferma la ricercatrice. “L’attacco a Israele è dunque un modo per dire: ‘Prendeteci in considerazione’, Soprattutto quando si parla di negoziati con l’Iran o di cessate il fuoco a Gaza, gli Houthi vogliono mostrare di avere voce in capitolo”.
La loro minaccia, tuttavia, non può più essere ignorata. Secondo Lazimi, ogni lancio di missile dallo Yemen rappresenta una minaccia, ma un colpo diretto all’aeroporto Ben Gurion – è una linea rossa da non oltrepassare. “Si tratta di un danno gravissimo, sia in termini di immagine che di deterrenza, con possibili conseguenze economiche importanti – conferma la ricercatrice -. Gli Houthi d’altronde avevano già annunciato mesi fa di aver aperto ufficialmente quella che hanno definito la ‘quinta fase’ del conflitto contro Israele – la fase caratterizzata da attacchi inaspettati contro infrastrutture strategiche. Il colpo a Ben Gurion ne è la prova concreta”.
Accade così che l’organizzazione terroristica più sottovalutata da Israele, diventa forse la più pericolosa e inarrestabile dell’intera regione. “Attualmente gli Houthi non hanno ancora tutte le capacità per mettere pienamente in pratica le loro minacce, ma ci stanno lavorando”, rivela Lazimi. “Da quando Donald Trump è entrato in scena, la questione yemenita viene presa con maggiore serietà, ma ora Israele deve reagire con forza e con decisione. D’altronde, il ritmo dei lanci di missili yemeniti è aumentato e l’esercito israeliano non può più restare a guardare mentre un gruppo terroristico colpisce I suoi civili e le sue infrastrutture strategiche. Ignorarli è un errore. Sottovalutarli è stato un errore. Israele deve ristabilire la sua deterrenza al più presto”.
Per quanto riguarda le capacità militari effettive degli Houthi, la questione resta ambigua. “L’organizzazione non ha un arsenale infinito di missili”, specifica Lazimi. “Tuttavia, inizialmente gli Houthi dipendevano dall’Iran, ora invece hanno iniziato a produrre armi autonomamente. E non è tutto: stanno anche stringendo alleanze con altri gruppi terroristici, ad esempio in Africa, per diversificare le fonti di riarmo. Se Israele non agisce oggi, domani potrebbe essere troppo tardi”.