Reportage di Al jazeera su Gaza

La guerra dell’informazione: il ruolo dei media e il silenzio che fa rumore

Opinioni

di Joe Shammah, da Israele

Ieri mattina una troupe di Al Jazeera è stata arrestata mentre documentava la zona d’impatto di un missile. Una ripresa apparentemente innocua, ma in realtà altamente sensibile: identificare il punto esatto della caduta può offrire preziose indicazioni per correggere la traiettoria dei lanci successivi.

In un conflitto, anche i dettagli possono diventare armi. Per questo è vietato filmare, vietato diffondere. Sono dati che possono cambiare gli equilibri. Ogni decisione operativa si basa sulle informazioni disponibili. Israele, attraverso le Forze di Difesa (IDF), possiede una quantità significativa di dati sensibili — informazioni cruciali non solo per condurre operazioni militari, ma anche per influenzare l’opinione pubblica e modellare l’immagine del Paese agli occhi del mondo. Il problema è che Israele appare spesso in ritardo nel campo della comunicazione.

Si moltiplicano i dibattiti su come costruire una contro informazione efficace, capace di contrastare la narrativa dominante. Ma la realtà è che lo scontro non è alla pari.

Colossi dell’informazione come la BBC, con 40 canali TV e altrettante reti radio, inclusa una rete TV in lingua araba attiva 24 ore su 24, o la CNN, che si rifiuta di etichettare Hamas come organizzazione terroristica per via dei propri codici editoriali, rendono questa battaglia impari fin dall’inizio.

Intanto, Hamas mantiene un flusso costante di contenuti — immagini, video, testimonianze — a prescindere dalla loro attendibilità. Materiale spesso esagerato o manipolato, ma che riempie ore di palinsesto e tiene il pubblico incollato agli schermi.

È la regola del primo che parla: chi dà per primo una notizia, ne stabilisce il tono. Chi arriva dopo, resta a margine. Commenta, ma non guida. Invece di inseguire colossi dell’informazione con ambiziosi (e spesso inefficaci) progetti mediatici, basterebbe forse poco: dati aggiornati, forniti con tempestività, soprattutto nei momenti chiave. È ciò che può fare la differenza nel contrastare la propaganda.

Un esempio? I morti di Gaza. L’IDF dovrebbe essere la prima fonte a comunicarne i numeri, giorno per giorno, per sottrarre il tema al monopolio narrativo di Hamas. A maggio 2024, un fatto ha sollevato interrogativi: l’OCHA, organismo dell’ONU, ha annunciato improvvisamente di voler includere solo le vittime verificate nei suoi rapporti, e non più quelle semplicemente dichiarate. Il risultato? Il bilancio delle vittime si è dimezzato da un giorno all’altro. Una svolta significativa, che ha mostrato come anche fonti ritenute imparziali, fino a quel momento, si limitassero a rilanciare i dati forniti da Hamas. Forse, allora, la domanda da porre non è più “quanti morti ha fatto Israele?”, ma “quante informazioni Israele non condivide con il mondo?”. È da lì che passa il cambiamento della narrativa. Ed è lì che può iniziare un cammino per restituire dignità all’IDF e al codice etico che rivendica.