di Nathan Greppi
In Polonia, il 1 giugno è stato eletto presidente Karol Nawrocki, storico con posizioni legate alla destra radicale. Per capire qual è la situazione nel paese dove durante la Shoah furono assassinati 3 milioni di ebrei, e dove oggi la comunità ebraica conta meno di 10.000 persone, abbiamo parlato con il sociologo e politologo polacco Rafal Pankowski.
Hanno fatto discutere le recenti elezioni presidenziali in Polonia, che il 1 giugno hanno visto vincere al secondo turno il candidato indipendente Karol Nawrocki, uno storico con posizioni legate alla destra radicale. Ciò avviene nel paese dove, quando al potere c’era il partito Diritto e Giustizia (PiS in polacco), il governo ha cercato di sfruttare il Museo di Auschwitz per fare propaganda politica.
Per capire qual è la situazione nel paese dove durante la Shoah i nazisti hanno assassinato il maggior numero di ebrei (3 milioni), e dove oggi la comunità ebraica conta meno di 10.000 persone, abbiamo parlato con il sociologo e politologo polacco Rafal Pankowski, docente presso il Collegium Civitas di Varsavia nonché direttore e co-fondatore dell’Associazione Nigdy Więcej (“Mai più”), che svolge attività di sensibilizzazione contro l’antisemitismo, il razzismo e la xenofobia.

Quali fattori hanno portato all’elezione di Nawrocki?
A mio parere, la campagna elettorale e i suoi risultati hanno dimostrato che la destra radicale populista è molto forte, in Polonia come altrove in Europa. Sul piano internazionale, uno degli aspetti più rilevanti di questa campagna è stata l’influenza americana.
Nawrocki è uno storico, ed è stato direttore del Museo della Seconda guerra mondiale di Danzica e dell’Istituto della memoria nazionale. Quali sono le sue posizioni in merito alla memoria della Shoah e l’antisemitismo in Polonia?
Questo è un aspetto importante e assai problematico del suo profilo, del quale non si è parlato molto sui media internazionali. Nawrocki proviene da un retroterra ideologico ben preciso, del quale si è fatto promotore anche quando era direttore dell’Istituto della memoria nazionale. Questa è un’istituzione molto importante in Polonia, che possiede molte risorse, e negli anni in cui l’ha diretta ha sfruttato la propria posizione per promuovere l’ideologia del nazionalismo polacco. Ciò diventa particolarmente problematico quando si tratta della Shoah, un tema delicato che richiede molta sensibilità la quale, secondo me, è mancata nell’operato dell’Istituto sotto la direzione di Nawrocki.
Per quale motivo pensa che sia mancata?
In breve, ciò che lui ha fatto è stato promuovere l’idea che i polacchi sono stati solo eroi e innocenti. Ciò presenta una parte di verità, perché la Polonia come nazione è stata una vittima del nazismo, pagando un caro prezzo in termini di perdite umane. Ma allo stesso tempo, non dobbiamo dimenticare che durante l’occupazione, oltre ad un grosso movimento di resistenza antinazista ci sono stati anche dei collaborazionisti, e coloro che hanno commesso atti di violenza nei confronti degli ebrei. Quest’ultima parte è qualcosa di cui l’Istituto della memoria nazionale non vuole parlare né ammettere. E coloro che “osano” tirare fuori l’argomento vengono etichettati come “anti-polacchi”.

La narrazione storica ha avuto un impatto sulle elezioni presidenziali?
Anche durante un dibattito elettorale, Nawrocki ha attaccato direttamente facendone i nomi quegli storici della Shoah che non gli piacciono, tacciandoli di essere anti-polacchi. È interessante perché si è trattato di un fatto insolito, del quale in pochi si sono accorti.
Alla luce di ciò, che effetti avrà la sua presidenza sull’educazione della Shoah nelle scuole?
Avrà zero effetti, perché il presidente è una figura rappresentativa senza un impatto diretto sulle scuole. Potrebbe avere solo un impatto simbolico nel dibattito pubblico, perché simbolicamente egli rappresenta la visione nazionalista della storia. In ogni caso, ci sono diversi storici della Shoah in Polonia che sono abbastanza coraggiosi da portare avanti la loro attività, a prescindere da ciò che dice il presidente.
Mettendo da parte le elezioni, come è cambiato l’antisemitismo in Polonia dopo il 7 ottobre?
Quella è una data molto importante per lo scenario dell’antisemitismo globale, ma in Polonia, nello specifico, non credo che sia stato un punto di svolta. Io conoscevo personalmente una delle vittime, Alex Dancyg, un’importante storico della Shoah israelo-polacco che quel giorno è stato rapito, e la cui morte è stata confermata diversi mesi dopo. Nei primi giorni dopo quella tragedia, vi era una solidarietà genuina nei confronti d’Israele e delle vittime, ma in seguito questa è stata messa in ombra dalla guerra a Gaza, e da quella che è stata spesso percepita come una brutalità non necessaria da parte d’Israele. E ciò ha alimentato narrazioni antisemite.
Può farci degli esempi di queste narrazioni?
L’esempio migliore credo sia quello dell’eurodeputato di estrema destra Grzegorz Braun, il quale è diventato famoso nel dicembre 2023 per aver spento con un estintore le candele di Hanukkah dentro il parlamento polacco. Da allora, ha fatto dell’estintore il simbolo della sua campagna elettorale. Nel gennaio di quest’anno, ha anche interrotto il minuto di silenzio osservato dal Parlamento Europeo in memoria delle vittime della Shoah, gridando a proposito di un “olocausto palestinese a Gaza”. Ciò illustra come il conflitto in Medio Oriente fornisca agli antisemiti degli argomenti e opportunità da sfruttare.