Libri israeliani? No, grazie

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Nella provincia scozzese del West Dunbartonshire, dal 2009 si boicottano ufficialmente i prodotti e le imprese israeliane, poichè il consiglio provinciale aderisce alla campagna per il boicottaggio di Israele BDS (Boycott, Divestment and Sanctions). Da qualche giorno però sui giornali inglesi e israeliani, circola la notizia che il consiglio di tale provincia ha deciso di applicare tale boicottaggio anche ai libri. Le biblioteche pubbliche del West Dunbartonshire cioè, non acquisteranno più libri stampati in Israele.
È un provvedimento che non ha valore retroattivo, precisa il portavoce del consiglio, che viene applicato non ai singoli autori israeliani – che, dice, pubblicano molto con case editrici inglesi – bensì ai libri “prodotti” in Israele.

Una decisione “vergognosa” ha dichiarato Amos Oz; “del tutto fuori luogo” secondo Alon Hilu, perché in Israele, osserva, sono proprio gli scrittori “ad esprimere il lato più equilibrato della società”.  L’idea di bandire libri lascia sbalorditi di per sé, ancor di più se si sviluppa in un paese che ha fatto della libertà di pensiero (e del liberismo) la sua bandiera.
Boicottare opere dell’ingegno per via del luogo in cui sono state prodotte, è il segno del degrado di una società e ricorda tempi e figure che, in Europa, si pensava non potessero più tornare. ”Un paese che boicotta libri non è distante da quello in cui si mandano al rogo”  ha osservato l’ambasciatore israeliano in Gran Bretagna, Ron Prossor. E la memoria corre immediatamente alla Germania degli anni ’30.