Israele uccide un “giornalista” del 7 ottobre. E un’ex ostaggio critica il Pulitzer: “Sostenete i negazionisti”

Mondo

di Nina Prenda

Martedì 13 maggio alla mattina presto, l’esercito israeliano ha colpito con precisione significativi terroristi di Hamas che operavano all’interno di un centro di comando e controllo situato nell’ospedale Nasser di Khan Yunis. L’unità del portavoce di Tzahal ha detto che il complesso è stato utilizzato dai terroristi per pianificare ed eseguire attacchi terroristici contro civili israeliani e truppe dell’esercito.

I media arabi palestinesi hanno riferito che il “giornalista” di Gaza Hassan Abdel Fattah Muhammad Eslaiah è stato eliminato durante l’operazione odierna a Khan Yunis. Un attacco chirurgico al reparto di chirurgia dell’ospedale Nasser ha messo fine alla vita del “giornalista” di Hamas, una delle voci più attive nel servire l’organizzazione all’interno della Striscia di Gaza. È stato eliminato da un drone suicida che si è infiltrato nella stanza in cui era ricoverato per ricevere cure a causa di alcune ustioni sul corpo, conseguenza dell’ultimo tentativo di assassinio nei suoi confronti, avvenuto il 7 aprile, al quale era sopravvissuto ma in cui aveva perso alcune dita.

Eslaiah, che ha operato il 7 ottobre sotto le spoglie di un operatore dei media, tra cui Associated Press, ha trasmesso immagini in diretta di un carro armato in fiamme vicino alla recinzione di confine. Il suo volto e le sue foto sono diventate note dal 7 ottobre in poi. Invase Israele la mattina del 7 ottobre insieme ai terroristi e li fotografò mentre entravano nel kibbutz Nir Oz, dove decine di civili israeliani furono massacrati. Eslaiah si fotografò insieme al capo di Hamas Yahya Sinwar mentre questi lo baciava sulla guancia. Il 14 novembre del 2014 scriveva sul suo account X: “È iniziato con l’investimento… e ora con l’accoltellamento… investito…accoltellato…accoltellato…ferito…ferito. Le ragioni sono molte, ma l’obiettivo è uno: uccidere gli ebrei”.


La lettera di un’ex ostaggio contro il Premio Pulitzer

Emily Damari liberata con la mamma al telefono con il fratello

Settimana scorsa, invece Emily Damari, ex ostaggio liberata dalla prigionia di Gaza dopo più di 500 giorni, sul suo account X ha indirizzato una lettera rivolta al Premio Pulitzer, riconoscenza giornalistica che ha premiato “giornalisti” di Gaza per il loro lavoro. L’ex rapita condivide pubblicamente il profondo sconforto nello scoprire che un “giornalista” palestinese che ha negato la sua prigionia e quella di Agam Berger, nonché l’omicidio della famiglia Bibas, fosse stato premiato ricevendo un riconoscimento giornalistico internazionale.

“Cari membri del consiglio direttivo dei @PulitzerPrizes,
Mi chiamo Emily Damari. Sono stata tenuta in ostaggio a Gaza per oltre 500 giorni.
La mattina del 7 ottobre, ero a casa nel mio piccolo monolocale nel kibbutz Kfar Aza quando i terroristi di Hamas hanno fatto irruzione, mi hanno sparato e mi hanno trascinata oltre il confine, a Gaza. Ero una dei 251 uomini, donne, bambini e anziani rapiti quel giorno dai loro letti, dalle loro case e da un festival musicale.

Per quasi 500 giorni ho vissuto nel terrore. Sono stata affamata, maltrattata e trattata come se fossi meno che umana. Ho visto amici soffrire. Ho visto la speranza offuscarsi. E anche ora, dopo essere tornata a casa, porto con me quell’oscurità, perché i miei migliori amici, Gali e Ziv Berman, sono ancora detenuti nei tunnel del terrore di Hamas.

Quindi immaginate il mio shock e il mio dolore quando ho saputo che avete assegnato il Premio Pulitzer a Mosab Abu Toha.

Quest’uomo, a gennaio, ha messo in dubbio la mia prigionia. Ha pubblicato un post su Facebook chiedendo: “Come diavolo questa ragazza viene chiamata ostaggio?”. Ha negato l’omicidio della famiglia Bibas. Ha messo in dubbio che Agam Berger fosse davvero un ostaggio. Questi non sono giochi di parole, sono smentite nette di atrocità documentate.

Affermate di onorare il giornalismo che difende la verità, la democrazia e la dignità umana. Eppure avete scelto di dare voce a una voce che nega la verità, cancella le vittime e profana la memoria degli assassinati. Non capite cosa significa? Mosab Abu Toha non è uno scrittore coraggioso. È l’equivalente moderno di un negazionista dell’Olocausto. E onorandolo, vi siete uniti a lui nell’ombra del negazionismo. Non è una questione di politica. È una questione di umanità. E oggi avete fallito”.