bandiera olandese

I Paesi Bassi condividono online i nomi dei 400.000 civili che hanno aiutato i nazisti durante la II Guerra Mondiale

Mondo

di Pietro Baragiola
Con l’inizio del 2025 i Paesi Bassi hanno ufficialmente condiviso online i nomi di quasi mezzo milione di persone sospettate di aver collaborato con i nazisti durante l’occupazione tedesca avvenuta tra il 1940 e il 1945.

Queste informazioni fanno parte dell’Archivio Centrale della Giurisdizione Speciale olandese (CABR) che contiene circa 30 milioni di pagine sulle vittime, sui moti della resistenza e sugli sforzi compiuti per nascondere i residenti ebrei nel mezzo del conflitto.

Sono più di 425.000 i nomi dei sospetti collaborazionisti olandesi indagati dal CABR e, per oltre 80 anni, sono rimasti accessibili presso l’Archivio Nazionale dell’Aia e riservati solo ai ricercatori e ai famigliari degli accusati.

Con il finire del 2024, però, le restrizioni che garantivano l’anonimato di questi sospettati sono scadute e l’archivio è stato reso digitale e disponibile a tutti.

Il progetto di digitalizzazione dell’archivio, chiamato “War in Court”, è stato avviato nel 2022 da un consorzio di gruppi finanziati dal governo olandese per la cifra di 18 milioni di dollari.

“Questo archivio contiene storie importanti per le generazioni presenti e future” ha riportato un comunicato dell’Istituto Huygens, una delle associazioni che hanno contribuito alla digitalizzazione dei dati. “Solamente grazie ad un accesso digitale rapido queste informazioni potranno essere diffuse su ampia scala permettendoci di imparare dal passato.”

Ad oggi solo un quarto dell’intero CABR è stato reso digitale e si prevede che, completando 150.000 scansioni a settimana, il progetto sarà terminato nel 2027.

Civili olandesi fanno il saluto nazista

I nomi sulla lista

Nei primi anni del dopoguerra il governo olandese ha indagato più di 300.000 individui per aver collaborato con i nazisti e 65.000 di loro sono stati processati attraverso un sistema giudiziario speciale istituito verso la fine del conflitto.

Secondo Hans Renders, professore di storia presso l’Università di Groningen, solo il 15% dei casi è andato in tribunale mentre 120.000 sono stati archiviati.

Il nuovo database digitale del CABR contiene i nomi, le date e i luoghi di nascita di tutti i sospettati ma tra questi vi sono anche coloro che sono risultati innocenti nelle indagini successive. L’archivio, inoltre, non specifica se una persona sia stata reputata effettivamente colpevole e neanche per quale forma di collaborazionismo sia stata condannata, ma mostra ai visitatori quali fascicoli richiedere all’Archivio Nazionale in modo da trovare queste informazioni.

“Bisogna anticipare al pubblico che ci saranno rivelazioni spiacevoli” ha spiegato il bibliotecario Rinke Smedinga durante un’intervista rilasciata alla testata online olandese DIT. Durante il conflitto padre di Smedinga è stato un membro dell’NSB, il partito nazista olandese, e ha lavorato a Camp Westerbok dove le persone venivano deportate nei campi di concentramento.

Una ricerca recente pubblicata dalla DIT ha dimostrato che oggi un quinto dei cittadini olandesi non vuole che i figli dei collaborazionisti ricoprano cariche pubbliche e l’8% degli intervistati ha affermato che chiuderebbe immediatamente i rapporti con un loro conoscente se scoprissero che i genitori di quest’ultimo hanno collaborato con i nazisti.

Amy Simons, professoressa associata di storia e studi ebraici alla Michigan State University, ha spiegato alla DIT che, a causa della tempistica, ‘è improbabile che gli archivi portino a cause giudiziarie o a conseguenze legali ma l’impatto sarà comunque enorme a livello personale, sia per i figli dei sospettati che per l’identità nazionale degli stessi Paesi Bassi’.

“Per i figli dei membri dell’NSB il passato è spesso un trauma” ha affermato il professor Renders alla Jewish Telegraphic Agency. “Da un lato perché si portano dietro un segreto senza aver fatto nulla di male e dall’altro perché non sanno ancora di preciso cos’abbiano fatto i loro genitori durante la guerra.”

Tom De Smet, Direttore dell’Archivio Nazionale, ha dichiarato alla DIT che i parenti dei collaborazionisti devono essere sempre presi in considerazione quando si parla della digitalizzazione dell’archivio ma è convinto che le generazioni future saranno grate di questo progetto: “la collaborazione è un grande trauma. Non se ne parla mai. Speriamo che con l’apertura degli archivi questo tabù venga infranto.”

 

Il collaborazionismo dei Paesi Bassi

Thomas Botelier, storico della guerra presso l’Università di Utrecht, ha dichiarato alla BBC che ‘con la digitalizzazione del loro archivio, i Paesi Bassi si metteranno finalmente al pari con il resto d’Europa’.

“Finora l’accesso a questi documenti era persino più restrittivo che in Italia, nonostante il suo passato bellico molto controverso” ha affermato Botelier.

In una lettera al Parlamento firmata il 19 dicembre, il Ministro della Cultura olandese Eppo Bruins ha scritto che ‘l’apertura degli archivi è fondamentale per affrontare il difficile passato dei Paesi Bassi e per elaborarlo come società’.

Nonostante i suoi numerosi moti di resistenza durante il conflitto, l’Olanda, infatti, è tutt’ora considerata una nazione collaborazionista.

Il collaborazionismo olandese ha permesso ai nazisti di eliminare circa 102.000 ebrei nei Paesi Bassi (più del 76% della popolazione ebraica locale), tra cui rientra la loro vittima più famosa: Anna Frank e la sua famiglia.

Solo nel 2020 il governo olandese si è scusato per non aver protetto i propri connazionali ebrei durante la Shoah.

Inoltre, negli ultimi anni, diverse istituzioni olandesi hanno cercato di fare ammenda per il proprio ruolo durante la Shoah: l’azienda tranviaria pubblica olandese GVB, che ha trasportato molti ebrei verso la loro morte, ha annunciato che allocherà monumenti commemorativi in tre diversi punti di deportazione, mentre la città di Amsterdam si è impegnata a versare 100.000 euro ai gruppi ebraici locali come penitenza per gli introiti accumulati dalla collaborazione con i nazisti.

Quest’anno i Paesi Bassi hanno anche aperto il loro primo museo nazionale della Shoah ma Amy Simons ritiene che la digitalizzazione dell’archivio del CABR sarà la vera svolta per fare luce sull’ampiezza e sulle varie modalità del collaborazionismo olandese.

“Impareremo a conoscere la complessità dei singoli casi e gli esempi delle persone che hanno collaborato e di chi invece ha resistito” ha concluso Simons. “Penso che questo processo migliorerà molto la nostra comprensione della complessità della Shoah nei Paesi Bassi.”