Germania anno zero. Dopo Halle: odio antico, nuovi carnefici?

Mondo

di Marina Gersony

Attacchi, insulti, intimidazioni, svastiche sui muri, cimiteri profanati, violenze e danni materiali ai luoghi di culto e alle istituzioni ebraiche tedesche. «Ogni giorno almeno cinque attacchi contro gli ebrei», titolava la Zeit Online a ridosso dell’attentato a Halle nel giorno di Yom Kippur lo scorso 9 ottobre, due morti, feriti e una strage evitata per miracolo.

Un allarme lanciato anche da Horst Seehofer, ministro dell’Interno tedesco, che ha confermato come la minaccia dell’antisemitismo, dell’estremismo e del terrorismo di destra in Germania sia molto alta, così come l’inclinazione alla violenza. Seehofer ha quindi esortato «a reagire in maniera ancora più forte rispetto al passato» in quella che è «una sfida centrale per il nostro Paese» e ha annunciato un incremento del personale della polizia federale e dei servizi segreti interni. Grande solidarietà della società civile e delle istituzioni, alle quali si somma la dura condanna della Cancelliera Merkel: «Abbiamo il dovere e la responsabilità di difendere i valori e i diritti fondamentali, in particolare quando dobbiamo contrapporci al razzismo, all’antisemitismo, all’odio e alla violenza con tutti i mezzi che lo Stato di diritto mette a nostra disposizione».

Dopo Auschwitz, la «giudeofobia» è riemersa in un Paese che ha dimostrato di aver fatto i conti con il passato, ma dove le antiche idiosincrasie non sono mai sopite. Oggi hanno cambiato sembianza assumendo il volto di un nuovo antisemitismo che va contestualizzato e visto in tutta la sua complessità. Halle come il 1938? La maggior parte degli attacchi antisemiti odierni, secondo un rapporto dell’Ufficio federale di polizia criminale (Bundeskriminalamt – BKA), che dal 2001 conduce statistiche pubbliche sulla criminalità a sfondo politico, sono attribuibili soprattutto all’estrema destra, tesi supportata da recenti fonti governative. Sono crimini di odio che si sommano a quelli di matrice islamica radicale e a reati attribuibili a una generica avversione etnica verso gli ebrei fino alle molteplici forme di intolleranza e antichi pregiudizi radicati nei secoli. Non ultima la retorica anti-israeliana di alcuni esponenti dell’estrema sinistra, intesa come negazione del riconoscimento di uno Stato nazionale ebraico. I dati del BKA parlano da soli: gli attacchi antisemiti a sfondo politico sono aumentati da 1.691 casi nel 2001 a 1.799 nel 2018, una media di cinque attacchi al giorno. Nonostante alcuni provvedimenti – uno fra tutti la nomina di un commissario contro l’antisemitismo, Felix Klein, passato a onor di cronaca per una battuta infelice («Suggerisco a tutti gli ebrei di smettere di indossare la kippah nei luoghi pubblici») –, la tensione è alta.

Resta l’amara consapevolezza che un attacco antisemita sia possibile in qualsiasi momento. La miscela esplosiva è sempre la stessa: giovani (e meno giovani) con la passione per le armi, l’odio per gli ebrei, la certezza della superiorità della cosiddetta razza ariana, facce ingrugnite, teste rasate, muscoli esibiti, avambracci tatuati, il tutto condito da una visione del mondo estremista e da un senso di delirante onnipotenza.

Un esempio che la dice lunga è il conferimento nell’aprile 2018 dell’Echo Awards, tra i premi musicali più ambiti in Germania, ai rapper Kollegah e Farid Bang per il loro disco Jung, brutal, gutaussehend 3 («Giovani, brutali, belli 3»); un disco dai contenuti esplicitamente antisemiti, misogini e omofobi. (Il brano «0815» contiene il verso: «Ho il corpo più definito di un prigioniero di Auschwitz»). Diversi artisti profondamente indignati – tra cui il direttore d’orchestra Barenboim – hanno restituito il premio per protesta e infine anche l’Associazione federale dell’industria musicale di Berlino ha cancellato il concorso per la vergogna. Ma questa è storia nota.

Diversa è la storia dell’antisemitismo attuale sviluppatosi progressivamente soprattutto nei territori della ex DDR, aree che per storia parevano fungere da barriera per le destre più estreme. Non è andata così. Per capire il nuovo antisemitismo bisogna fare un salto indietro. Prima dell’unificazione tedesca, la violenza xenofoba e razzista nella DDR era tabù o meglio, i media della Germania Ovest non ne parlavano. Gli ossis (i tedeschi dell’Ovest) non avevano idea di come e quanto gli organi di sicurezza fossero coinvolti nella scena di destra. C’è chi parla anche di un’amnesia collettiva. Nel libro Die braune Saat. Antisemitismus und Neonazismus in der DDR (Editore Schmetterling, pp. 380, € 22,80), pubblicato un paio di anni fa e oggi più che mai attuale, lo storico Harry Waibel che per decenni ha spulciato i file della Stasi, documenta con minuzia i numerosi attacchi violenti contro le minoranze ebraiche. Le sue ricerche rivelano la profanazione di circa 150 cimiteri e tombe con nessuno responsabile imputato, e questo fino agli anni Ottanta. E ancora: 7.000 attacchi verbali o scritti di neonazisti o antisemiti; glorificazioni della propaganda della Grande Germania nazista; circa 200 pogrom e attacchi simili in oltre 110 città della DDR dagli anni Sessanta. «C’era un antisemitismo diffuso nella società – racconta Waibel in un’intervista -. Ma c’era anche un antisemitismo statale, mascherato da anti-sionismo.

Il suo terreno fertile fu la lotta antimperialista che i comunisti condussero a fianco degli Stati arabi e dell’organizzazione per la liberazione della Palestina, OLP. Il loro obiettivo era distruggere lo Stato di Israele e la sua popolazione. A causa di questo travestimento ideologico, molte persone non erano consapevoli del fatto che il loro atteggiamento fosse antisemita». Da allora di acqua ne è passata sotto i ponti, le forme dell’antisemitismo cambiano ma il leitmotiv è sempre lo stesso: «La radice di tutti i problemi sono gli ebrei», urlava l’estremista di destra durante l’attentato di Halle dello scorso ottobre; Halle, la cittadina incastonata in un’area dove l’Afd (Alternative für Deutschland), partito della nuova destra tedesca, ha raggiunto i suoi picchi, così come in certi distretti di Berlino Est, dove la disoccupazione, l’insicurezza e il malcontento sono di casa. Quella stessa Afd, accusata di avere tra i suoi dirigenti degli antisemiti, uno fra tutti Björn Höcke, che aveva definito il monumento all’Olocausto di Berlino un «memoriale della vergogna». Una vergogna per i neo-volonterosi carnefici di Hitler.