A Parigi il fumetto ebraico

Mondo

Eroi dell’immaginazione.
Che hanno in comune il mitico Superman, i topi di Maus e il supereroe Batman oltre al fatto di essere tutti dei personaggi di celebri fumetti americani? Sono tutti nati dall’immaginazione di disegnatori ebrei, figli di immigranti d’Europa centrale e Orientale che dai primi anni del Novecento fino ai nostri giorni hanno segnato in modo profondo quest’arte. Una mostra attualmente in corso nel Museo d’Arte e di Storia dell’Ebraismo di Parigi (aperta fino al 27 gennaio 2008 ) intitolata Da Superman al Gatto del Rabbino ripercorre quest’avventura attraverso la presentazione di 230 opere (disegni originali, documenti d’archivio, interviste) di una trentina di artisti ebrei soprattutto americani ma anche europei, argentini e israeliani.

Questo genere tipicamente statunitense è stato usato in un primo tempo dalla prima generazione di immigranti ebrei per raccontare, spesso in giornali di lingua yiddish, le vicissitudini dei nuovi arrivati a New York. La seconda generazione, invece, s’impadronisce di questo linguaggio per inventare supereroi, giustizieri difensori di valori universali che non hanno apparentemente nessun legame con il Vecchio Mondo o con le proprie radici ebraiche. Anzi, Superman creato nel 1938 da Joe Shuster e Jerry Siegel, Batman nato nel 1939 dalla penna di Bob Kane e Bill Finger o il Captain America, figlio di Jack Kirby e Joe Simon sono personaggi destinati a rassicurare la nazione americana angosciata dalla crisi del 1929 e dalla salita dei regime fascisti in Europa. Questi personaggi riflettono i sogni degli americani e in questo senso, l’integrazione dei figli degli immigrati.

Alcuni anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i disegnatori ebrei cominciano a interessarsi alle questioni politiche e poco a poco i fumetti cominciano a esprimere idee contestatarie. Ne sono un esempio la rivista Mad creata nel 1952 da Harvey Kurtzman. Quest’evoluzione prepara il terreno a un nuovo genere, quello della narrazione storica che racconta il passato vicino, quello dell’Olocausto. Al Feldstein, Miriam Katin, Joe Kubert descrivono la Shoah attraverso il destino de suoi personaggi reali o immaginari. Tra questi creatori spicca il nome di Art Spiegelman che dal 1972 si lancia nel mondo dei fumetti. Tredici anni dopo viene alla luce Maus, la straordinaria serie di fumetti che raccontano la storia del padre di Spiegelman, ebreo polacco sopravissuto alla Shoah. Il suo lavoro gli è valso il premio Pulitzer nel 1992.

Altri disegnatori vanno a cercare storie più lontane, risalgono nella memoria, tentano di salvare dalla dimenticanza, attraverso la letteratura disegnata, il mondo dei genitori o dei nonni, degli immigranti e della città che gli ha accolti: New York. La figura emblematica di questa letteratura è Will Eisner al quale la mostra consacra una delle cinque sezioni che la compongono. Eisner, che pubblica il suo primo “romanzo grafico” nel 1978, racconta con humour e tenerezza la dura vita degli immigranti, la loro miseria ma anche i loro legami di solidarietà. Oggi il più alto riconoscimento per i disegnatori di fumetti negli Stati Uniti porta il nome di “Eisner Award”. Oltre ai fumetti stessi, molti disegnatori americani hanno contribuito allo sviluppo e la diffusione di questo genere con la creazione di ateliers e scuole di disegno.

Una sezione della mostra è consacrata a disegnatori non provenienti dagli Stati Uniti. Tra questi, troviamo il francese Joann Sfar, autore tra l’altro de Il gatto del Rabbino, Hugo Pratt e Vittorio Giardino. Malgrado la molteplicità dei registri utilizzati dai disegnatori in circa 100 anni di lavoro, i lavori esposti ci permettono di vedere la specificità del legame storico che unisce il fumetto e la cultura ebraica.