Italia e politica mediterranea:
la necessità di una scelta

Italia

“Cinquemila Qassam su Sderot e dintorni?” .ha ripetutamente domandato, incredulo, il capo del governo italiano Romano Prodi in visita lo scorso 9 luglio nella cittadina israeliana vicina alla striscia di Gaza. “Yes, Mr Prodi – gli rispondevano – missile più missile meno, cinquemila solo in questi ultimi pochi anni”. Al che Prodi è sbottato: “Ma è impossibile vivere in questo modo”. Tanto candore nel nostro presidente del consiglio potrebbe quasi suscitare tenerezza, se non fosse stato prontamente corretto dal consueto eccesso di furbizia dei responsabili della nostra politica estera. Ma per meglio inquadrare le cose, conviene dare un’occhiata al contesto generale.

È stato detto e ribadito sino alla nausea, ma bisogna ripeterlo: la guerra globale del terrorismo (e contro il terrorismo) non è una guerra fra islam e mondo ebraico-cristiano, fra oriente e occidente, non è il famigerato scontro fra civiltà (così spesso evocato, per esorcizzarlo, da rischiare di farne il vero e indebito protagonista d’ogni discorso). È in realtà uno scontro di forze totalitarie e oscurantiste contro ogni esempio o anche solo embrione di società aperta, moderna, liberale. È uno scontro che attraversa e spacca la civiltà islamica e il mondo arabo. Come ha detto l’ambasciatore israeliano all’Onu Dan Gillerman, “quello a cui stiamo assistendo è sì scontro di civiltà, ma al singolare: tutto interno a una civiltà, giacché la maggior parte dell’orrore, dei bagni di sangue, del terrorismo e delle uccisioni avvengono all’interno dell’islam. E la gran parte delle vittime sono musulmane”.

Oggi questa dinamica è più evidente che mai non solo in Iraq, ma anche fra i palestinesi. Il golpe di Hamas nella striscia di Gaza con il suo corredo di feroci regolamenti di conti, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) che destituisce il fittizio governo di unità nazionale Hamas-Fatah e denuncia in diretta tv i disegni di Hamas (e dei suoi potenti padrini esteri) contro i palestinesi e contro la sua stessa persona, proclamando che con questi jihadisti non c’è più nulla da negoziare: ecco, in plastica evidenza, il conflitto globale che si manifesta nella società palestinese fendendola in fronti contrapposti. Fatah può anche essere, per dirla col pirotecnico ministro Avigdor Lieberman, “un cadavere che non può essere resuscitato”, e Abu Mazen un vecchio arnese dell’anti-israelismo convertito troppo tardi e con scarso seguito al pragmatismo. Ma è pur sempre il meno peggio che oggi offre la scena palestinese, quella perlomeno che non vuole soccombere all’oscurantismo totalitario islamista.
Oggi Abu Mazen dice a chiare lettere: aiutatemi a sconfiggere Hamas, perché quelli sono alleati con al-Qaeda. Oggi, dunque, è grazie alla protezione israeliana e americana se una parte del popolo palestinese non è ancora asservito al verbo fondamentalista.

E cosa ha da dire l’Italia, dinanzi a questo quadro? Tanto per cominciare, manda l’imbarazzante sottosegretario agli esteri Famiano Crucianelli a firmare, insieme ad altri nove ministeri degli esteri europei, una lettera – vogliamo definirla “irrituale”? – con cui si cerca di ingessare la missione del neo inviato del Quartetto Tony Blair prima ancora che abbia inizio. La lettera, infatti, dichiara “morta” la Road Map (il documento Usa-Ue-Russia-Onu sottoscritto da Ariel Sharon e Abu Mazen che indica il tanto invocato “orizzonte politico” dei due Stati uno accanto all’altro), definisce “troppo rigide” le condizioni poste ai palestinesi (niente meno che smetterla col terrorismo e riconoscere l’interlocutore dell’eventuale negoziato), e auspica una trattativa senza condizioni con Hamas (che è l’esatto contrario del dare una mano ad Abu Mazen e ai palestinesi non ancora allineati con l’aggressione islamista).
La lettera sembra piacere anche al segretario DS Piero Fassino, uno dei leader più moderati in politica estera, che la cita per chiedere ripetutamente di “sedersi a un tavolo con Hamas” anche se Hamas non riconosce Israele, riuscendo in un colpo solo a irritare sia il presidente palestinese che il primo ministro israeliano. I quali probabilmente su Hamas si sbagliano, se persino l’antiebraismo che gronda dai documenti ufficiali di questa organizzazione è solo “mimetico”, secondo la definizione di Sergio Romano. Praticamente, un equivoco. Secondo Romano, infatti, “nella loro battaglia contro Israele, ideologi e propagandisti arabi e musulmani del Medio Oriente hanno fatto largo uso di cliché occidentali nella speranza di suscitare in tal modo un maggiore consenso in Europa e in America, senza capire che prestavano il fianco all’accusa di antisemitismo”.
Dunque, ancora una volta è Israele la causa di tutto, anche dell’antiebraismo islamista. Ancora una volta è la vittima la causa dell’odio che subisce. Laddove invece Hamas, ci ricorda Romano citando l’art. 31 dello Statuto dell’organizzazione jihadista, è impegnata ad esercitare “la tolleranza islamica nei confronti dei seguaci di altre religioni” ed “è ostile solo a coloro che mostrano ostilità nei riguardi dell’Islam, mettendosi di traverso al suo cammino”, giacché “pace e sicurezza sono possibili solo all’ombra dell’Islam”. Che è appunto ciò che temiamo e contro cui ci pare necessario battersi.

Intanto, il ministro degli esteri Massimo D’Alema, sconfessando le dichiarazioni fatte in Israele dallo stesso Prodi, propone di alleggerire le sanzioni all’Iran. Secondo quale logica? Perché, sostiene D’Alema, “vi è il rischio che tra pochi anni ci troviamo nello scenario peggiore: accettare la bomba atomica iraniana o avere una guerra contro l’Iran”: che è appunto lo scenario che si cerca di scongiurare con le sanzioni. Ma forse la logica di D’Alema è per noi troppo sottile.
Non contento, dice poi il ministro degli esteri che “se Abu Mazen avesse le carte giuste (leggi: concessioni israeliane), i moderati potrebbero tornare a un processo di conciliazione con Hamas”: che è esattamente ciò che Abu Mazen dice di non voler fare, una strada a cui forse non credono più nemmeno sauditi ed egiziani.
Abbiamo dunque un ceto politico italiano che pare stolidamente ancorato a uno dei totem più antichi e mistificanti del Medio Oriente: quello della necessaria unità di tutte le forze arabe e islamiche, senza la quale pare che nulla di positivo sia possibile ottenere. Quando probabilmente è vero l’esatto contrario.

È tempo che l’Italia decida. Il paese che ancora oggi si vanta d’aver sottratto all’arresto, a Sigonella, e rimesso in libertà il capo dei terroristi dell’Achille Lauro e degli assassini di Leon Klinghoffer, il paese che ancora oggi rivendica e rinverdisce la politica andreottiana degli accordi sottobanco coi terroristi mediorientali, riciclata sotto forma di strategia multilaterale mediterranea, deve decidere giacché non esiste alcuna possibile “equivicinanza” fra tagliagole jihadisti totalitari e tutti quelli che vi si si contrappongono.