A Palazzo Marino la testimonianza di Piero Cividalli, ultimo superstite italiano della Brigata Ebraica

Italia

di Nathan Greppi
Una testimonianza molto sentita quella che ha dato lunedì 15 aprile Piero Cividalli, ultimo membro italiano della Brigata Ebraica ancora in vita, presso il Consiglio Comunale di Milano. Cividalli, 93 anni, è nato in un’importante famiglia antifascista di Firenze ed emigrò in Palestina con l’emanazione delle Leggi razziali. Nel 1944, a soli 18 anni, decise di arruolarsi nella Brigata per liberare l’Italia dal fascismo.

Prima dei saluti delle istituzioni, c’è stato un incontro a porte chiuse con, tra gli altri, Cividalli, il sindaco Giuseppe Sala e Davide Romano, consigliere della Comunità Ebraica e co-organizzatore dell’evento assieme al Comune, che ha rilasciato queste parole: “Come direttore del Museo della Brigata Ebraica voglio ringraziare il Comune di Milano per avere accettato la nostra proposta di celebrare con Cevidalli la Brigata Ebraica,” ha dichiarato. “In Cividalli vediamo un esempio non solo per la sua scelta di campo antifascista durante la 2° Guerra Mondiale, ma anche la coerenza di un uomo che ha difeso Israele e la sua democrazia nelle guerre del ’48, del ’56 e del ’67. Un uomo che ha saputo rispondere alle leggi razziali del 1938 nel modo migliore: diventando un combattente per la libertà, dall’Europa al Medio Oriente.”

La testimonianza

Subito dopo ha preso la parola Cividalli, che ha tenuto un discorso molto intenso: «Sono nato a Firenze in piena era fascista. A scuola ho fatto parte dell’organizzazione Balilla, ma ero troppo piccolo per rendermi conto di cosa questo significasse. Politica, regime, dittatura, erano termini che non conoscevo ancora. Sapevo di essere italiano e vagamente di essere ebreo, ma le mie cognizioni non andavano oltre. L’amarissimo risveglio da questo stato di ignoranza avvenne nel 1937» ha affermato, spiegando che i suoi genitori erano amici dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, attivisti antifascisti uccisi a Parigi per ordine di Mussolini. «Era la prima volta che una morte violenta entrava nella mia vita e, per impulso infantile, giurai a me stesso che avrei vendicato questo delitto. Più tardi e più adulto, compresi che la mia vendetta sarebbe stata nel seguire il loro esempio, senza cedere alle lusinghe e alle trappole di una società egoista che cerca sempre e soltanto un vantaggio personale nel proprio agire».

Un anno dopo la morte dei fratelli Rosselli, vennero instaurate le leggi razziali; a quel punto, i Cividalli si trasferirono in Palestina, pur con molti problemi: «A parte il trauma di cominciare una vita nuova in un paese che non conoscevamo, le difficoltà del momento erano immense. A settembre iniziò la Seconda Guerra Mondiale e tutto diventò più difficile […] Da Rodi, allora ancora italiana, partivano gli aerei che venivano a bombardare Tel Aviv causando morti, distruzione e terrore. Poi, nei primi anni ’40, cominciarono ad arrivare voci sempre più allarmanti su quanto avveniva nell’Europa soggiogata dalle forze italo-tedesche, e sullo sterminio sistematico degli ebrei rimasti da quelle parti».

Nel 1944, compiuti 18 anni, Cividalli decise di arruolarsi, ma non fece in tempo ad andare in Europa: quando, nel maggio 1945, arrivò la notizia della vittoria delle forze alleate, si trovava in Egitto per l’addestramento. «Nel luglio di quell’anno – due mesi dopo la fine della guerra – sbarcai a Taranto con un gruppo di soldati ebrei che venivano dalla Palestina. Immediatamente potei constatare con i miei occhi la rovina totale dell’Italia. Il fascismo aveva portato alla decimazione il paese rendendolo povero, brullo e cosparso di rovine. La povertà, la miseria totale, avevano portato la popolazione italiana alla corruzione più atroce che, aggiunta alla miseria, facevano dell’Italia un paese completamente distrutto, materialmente e moralmente».

Piero Cividalli ha concluso così il suo discorso: «Vorrei che gli italiani conoscessero la loro storia e sapessero a cosa li ha portati il fascismo e quel falso desiderio di gloria nazionalistica. Non dobbiamo dimenticare mai che siamo tutti cittadini del mondo, e non abbiamo futuro alcuno se non ci aiutiamo l’uno con l’altro, invece di combinare nuove guerre e nuovi disastri».