A Milano la comunità ebraica celebra senza festa il compleanno in prigionia di Kfir Bibas, il più giovane ostaggio a Gaza

Italia

di Sofia Tranchina
La colpa: essere ebreo. La pena: non poter vivere, libero, amato, a casa sua, in Israele, con la sua famiglia. E non poter festeggiare il suo primo compleanno. Così Kfir Bibas, volto simbolo della crudeltà senza remore dei progetti di sterminio del popolo ebraico, compie un anno nella prigionia a Gaza.

Quando il 7 ottobre i militanti palestinesi – di Hamas, della Jihad Islamica, e altri non associati ad alcun gruppo terroristico – hanno fato irruzione armati nei Kibbutzim di confine, e hanno rapito 240 persone deportandole a Gaza, non si sono fermati davanti a nessuno: che fossero o meno ebrei, israeliani, o adulti. Si sono ritrovati così a trattenere – nelle case, nei seminterrati e nei tunnel – arabi, thailandesi, anziani, disabili, uomini, donne e bambini.

L’immagine del rapimento della madre Shiri con i figli Kfir e Ariel

In quest’ultima categoria rientra il piccolo Kfir, neonato di appena 9 mesi al momento del rapimento, deportato insieme al fratello di 4 anni Ariel e alla madre Shiri (di cui l’urlo di terrore in un video girato dalle bodycam dei terroristi è diventato virale).

Il padre Yarden è stato deportato da un altro gruppo, che ne ha pubblicato una foto mentre sanguinava dalla testa. Nessuno dei 4 componenti del nucleo familiare è stato rilasciato durante gli scambi 3 a 1 (3 prigionieri palestinesi per 1 ostaggio israeliano) della tregua di novembre.

Secondo alcune contraddittorie informazioni rilasciate da Hamas, i Bibas sarebbero finiti in mano a un gruppo non affiliato e successivamente dispersi, oppure sarebbero deceduti durante un bombardamento israeliano.

Dato il vizio già appurato di Hamas di dichiarare morti inesistenti a fini di terrorismo psicologico, l’informazione non viene per ora presa in considerazione, fino ad eventuali future verifiche.

Ad oggi, Kfir ha passato 104 giorni a Gaza, dopo solo 261 giorni in Israele: la sua unica colpa è quella di essere nato ebreo.

In un mondo intrigato dall’idea che essere ebrei possa effettivamente essere una colpa, un peccato originale indelebile, la comunità ebraica di Milano si è opposta alla normalizzazione della permanenza degli ostaggi a Gaza organizzando giovedì 18 gennaio, in pieno centro città, in via dei Mercanti,  un compleanno senza festa per Kfir, per raccogliersi a commemorare, riflettere, cantare e pregare.

L’evento ha visto la partecipazione del presidente della comunità di Milano Walker Meghnagi, del vicepresidente UCEI e consigliere della comunità Milo Hasbani, del co-presidente Raffaele Besso e di altre figure di spicco dell’ambiente ebraico meneghino.

Infine, il rabbino capo di Milano Rav Alfonso Arbib, dopo la lettura di tre salmi, ha cantato insieme alla folla l’inno d’Israele, inno della speranza: l’Hatikva.