Israele: un voto inaspettato e gli autogol dei candidati

di Manuela Dviri

Isaac Herzog poster goes up in Jerusalem...epa04644269 Workers pRovistando nel computer mi si è aperto un file che descriveva il risultato delle elezioni di due anni fa: “Sorpresa in Israele. Netanyhau ha perso moltissimi voti, pensava di raddoppiare la sua forza, e l’ha dimezzata. Il suo governo sarà di alleanza con i religiosi e il laico Lapid, un’impresa, perciò, quasi impossibile”.
L’impresa si è rivelata effettivamente impossibile e ha portato alle elezioni di pochi giorni fa, con un risultato che si è rivelato incredibile, oltre ogni logica previsione. Le aspettative per il partito di Herzog-Livni, Unione Sionista di centrosinistra, erano, infatti, più che discrete, e per un giorno o due, erano state persino ottime. Si pronosticava perciò di arrivare più o meno a un pareggio, e forse a un governo di coalizione. Ma la mattina precedente al giorno delle elezioni, qualcosa è cambiato negli occhi del Premier uscente. Come la bella addormenta, terrorizzato dai pronostici sfavorevoli, Netanyahu sembrava si fosse svegliato da un lungo sonno, di colpo affamato di vittoria in modo istintivo, ancestrale, profondo.
Per settimane, in precedenza, aveva rifiutato le interviste, cupo e rinchiuso nella sua rabbia contro i media. Per settimane aveva anche sdegnosamente respinto il confronto televisivo con Herzog, quand’eccolo apparire, quella mattina, come un Deus ex machina, nel bel mezzo di un’intervista proprio al capo dell’opposizione stesso. Eccolo materializzarsi, benevolente e beffardo, sul megaschermo sullo sfondo, giusto dietro alle spalle del suo avversario – che parla guardando verso la videocamera e che quindi non può vederlo -, con l’aria di un padre che sgrida un ragazzino che non gli dà retta e che per di più si è anche messo in testa di dividere Gerusalemme. Geniale. Assolutamente geniale. Il povero Herzog, preso di sorpresa, si capisce che non sa che pesci pigliare. Tutto sommato reagisce in modo più che ragionevole, ma poco importa ormai: sembra un giovane e inesperto Nixon che si difende da un genio della comunicazione del livello di un Kennedy.
Né, nel dibattito-tranello improvvisato, lo aiuta la sua voce chioccia di fronte a quella suadente – e nello stesso tempo autoritaria -, del Premier. Herzog aveva già perso ma non lo sapeva ancora. Anzi: forse aveva già perso, e un po’ lo sapeva, dopo l’infelice commento dell’intellettuale Yair Garbuz che aveva trattato con indubbia condiscendenza, supponenza e paternalismo una buona parte degli abitanti di questo Paese, ovvero i sefarditi tradizionalisti di origine orientale, descrivendoli come primitivi e superstiziosi. (Garbuz aveva pronunciato quell’infelice frase antisefardita durante la mega manifestazione della sinistra in Piazza Rabin. Il suo commento, da quel momento in poi, è stato strumentalizzato innumerevoli volte durante il periodo elettorale dal partito Shas – marocchini e religiosi -, dal Likud e da Naftali Bennet, un boomerang che ha creato un gravissimo danno alla sinistra – anche se Garbuz non rappresentava un partito in particolare -. La frase esatta era che «il Paese è in mano, tra l’altro, a un piccolo gruppo di persone che baciano le “mezuzot” e vanno in pellegrinaggio alle tombe degli “tzadikim”».).
Ma Herzog aveva soprattutto già perso con lo slogan “O noi o Bibi”, perché al 50 per cento dell’elettorato, quel “noi”, cioè Herzog e Livni, appariva come una misteriosa idra a due teste fatta di inesperti, di novellini, di cui si sapeva troppo poco, nulla in confronto ad un Masterchef della stazza di Netanyhau. Che nel frattempo si era messo al lavoro.
Ed eccolo, poco dopo, tutto preso a corteggiare non solo il suo stesso elettorato ma anche quello degli altri, soprattutto dell’estrema destra, portandosi via una bella fetta del partito di Bennet, Deeri e Libermann.
È stato affascinante vederlo in azione, vederlo accattivare il suo elettorato con grande maestria, adularlo, sedurlo, ipnotizzarlo, affascinarlo, renderlo complice. Eccolo diventare in pochi minuti il loro fratello, il loro padre e protettore, dividere con loro “notizie” (come quella degli arabi che sarebbero stati portati alle urne in innumerevoli autobus e in grandi numeri dalla sinistra, fatto mai avvenuto finora), e attizzare paure ataviche (Iran, Gaza, Isis, i palestinesi, gli arabi in generale, Obama, i media e la sinistra), eccolo chiedere umilmente scusa per gli errori della sua politica economica. Poi il colpo finale: li chiama a votare come un solo uomo, anzi a combattere, soldati del suo esercito, richiamati alla “guerra” contro un male comune.
La risposta, irrazionale ma concreta e reale, si è vista con lo spoglio delle urne. Poco importa se saranno proprio loro, i “soldati” di Bibi, già si sa, i primi a pagare il prezzo del loro stesso voto, il prezzo della disuguaglianza economica, della prossima guerra. L’esercito del Likud, sempre quello, è degli abitanti delle periferie più povere, delle zone di confine con Gaza, di Gerusalemme.
Poco importa che il nostro passato presente e futuro Premier sia già tornato ad arroccarsi nella sua villa con piscina a Cesarea e nella residenza di Via Balfour, attentissimo a vivere sulle spalle dei cittadini e a spendere, di suo, il meno possibile. Qui a Tel Aviv è calata una grande tristezza e una sensazione di sconfitta: Tel Aviv, viva, vibrante, laica, gioiosa, ha votato per l’Unione Sionista e Merez, contro il sempre più alto costo della vita, l’altissimo costo delle case e quello degli affitti, e non meno per la riapertura del processo di pace che potrebbe almeno provare a risparmiarci l’ennesima guerra con Gaza o con il Libano. Ha votato per il cambiamento. E adesso si chiede dove ha sbagliato e da dove ricominciare, e come e perché, razionalmente cercando di capire. E come prepararsi al futuro. Ma la ratio ha ben poco a che fare con la nostra vita qui.
Bisogna piuttosto puntare sui miracoli. Che certo verranno. Io ci conto. Il primo, in realtà, è già avvenuto. Obama, con un certo ritardo, ha telefonato per congratularsi. E anche il secondo miracolo è accaduto. «Non sono affatto razzista nel confronto degli arabi», ha dichiarato il Premier due giorni dopo le elezioni. «E in linea di principio continuo a essere favorevole a uno Stato Palestinese». Fantastico, semplicemente fantastico. Bibi è anche un ottimo giocoliere, acrobata ed equilibrista. Chapeau. Peccato che ormai non gli creda più nessuno.