La strumentalizzazione palestinese su Shuhada Street arriva a Milano

Israele

Di Paolo Castellano

Quante volte i portavoce della propaganda palestinese hanno parlato di apartheid in Israele, distorcendo la realtà per fini politici. Avviene a livello internazionale, la black-list ONU ne è una dimostrazione, e avviene a livello nazionale attraverso il BDS, ovvero il totale boicottaggio contro Israele. In diversi paesi del mondo il movimento di boicottaggio è stato messo fuori legge. Anche Boris Johnson in Inghilterra lo ha fatto. Nonostante la reazione di rifiuto di una pratica legata all’antisionismo, perciò antisemita, in Italia si organizzano flash-mob per urlare contro i presunti “crimini umani” d’Israele, l’unica democrazia del Medioriente. A proposito di questo atteggiamento, abbiamo appreso infatti che il 22 febbraio si è svolto un raduno, in zona Cairoli a Milano, per “dire no all’occupazione e agli insediamenti e per chiedere la riapertura di Shuhada Street a Hebron“, organizzato da un’associazione pro-Pal.

Tralasciando il solito refrain della propaganda palestinese sull’occupazione israeliana, la retorica sulla riapertura del breve tratto stradale di Hebron è al centro delle attività dei membri del BDS per accusare Israele di apartheid nei confronti dei palestinesi. Come ha spiegato con precisione Steve Frank, giornalista di JNS, “la riapertura di Shuhada Street” è una strumentalizzazione e una falsa accusa per delegittimare Israele. Nel concreto, i palestinesi accusano gli israeliani di averli discriminati quando nel 1994 l’esercito decise di chiudere la via, che allora ospitava un mercato all’ingrosso, per questioni di sicurezza dopo le rivolte seguite al massacro alla Tomba dei Patriarchi.

Shuahada Street è una via lunga circa 800 metri e si trova a Hebron, una città della Cisgiordania. Un tempo era un fiorente mercato frequentato da palestinesi e israeliani. Oggi Shuahada Street è disabitata e quasi tutti i negozi sono stati chiusi. Tuttavia a meno di un chilometro di distanza è nato un moderno e gigantesco centro commerciale di 9 piani che ospita negozi di ogni tipo e marchio. Nella struttura però non possono entrare israeliani ed ebrei di qualsiasi provenienza.

Come scrive Steve Frank, gli ebrei e Hebron hanno un legame plurimillenario. Infatti Abramo si stabilì nella città e comprò anche un terreno per la sepoltura della propria stirpe: la Tomba dei Patriarchi considerata un sito santo per molti fedeli dove riposano Sara, Isacco, Rebecca, Giacobbe e Lia. Inoltre si afferma che David fu incoronato re proprio a Hebron, che tra l’altro fu la prima capitale di Israele, fino a quando non fu stabilita a Gerusalemme. La presenza ebraica a Hebron risale dunque ai tempi biblici.

La storia della città della Cisgiordania è molto complicata. Attraversò molti conflitti e venne conquistata da diversi popoli: babilonesi, romani, bizantini, arabi musulmani, crociati, ottomani, mamelucchi e inglesi. Nel 1948, alla nascita dello Stato israeliano, Hebron venne occupata dalla Giordania fino al 1967. Un’occupazione di 20 anni durante cui nessun ebreo aveva la possibilità di viverci e pregarci, e persino di visitarla. In quel ventennio i luoghi santi erano totalmente inaccessibili agli ebrei e agli israeliani. Lì sì che ci fu una vera apartheid ma nessuno lo disse a livello internazionale. Dopo la Guerra dei Sei giorni (1967) gli israeliani hanno riconquistato Hebron e hanno riaperto la città agli ebrei e a tutti i popoli di tutte le religioni. Inoltre nel 1968 un gruppo di ebrei ha cercato di dar vita a un insediamento ma si è dovuto scontrare con la violenza palestinese. Nello stesso anno infatti un palestinese di 17 anni ha lanciato una granata tra un gruppo di ebrei che stava pregando alla tomba – ci furono 47 feriti, tra questi anche un neonato. Nel 1980, durante un altro attacco terroristico, morirono 6 persone e ci furono 20 feriti. E poi nel 2001 una bambina di 10 mesi fu colpita nel suo passeggino da un cecchino palestinese. Infine, nel 2003 invece una donna israeliana incinta e suo marito sono stati uccisi in un attacco suicida palestinese mentre si trovavano nel mercato di Shuahada Street.

Dopo gli Accordi di Oslo del 1995 le città di Ramallah, Nablus e Gerico furono affidate alla giurisdizione dell’Autorità Palestinese. All’interno di questi territori non sono ammessi gli ebrei e gli israeliani come recitano i cartelli rossi posti all’entrata. Spesso tali avvisi vengono ripetuti dai tour operator che gestiscono i gruppi di turisti. Se sei ebreo o israeliano devi tornartene a casa. Questa è la volontà dell’Autorità Palestinese.

Al momento la città di Hebron è divisa in due settori: H1 e H2. L’area H1 è amministrata dall’Autorità Palestinese e copre l’80% della superficie della città. 170 mila palestinesi vivono in H1 e in questo settore è vietato ingresso agli israeliani e agli ebrei in generale. Nell’area H2, che comprende il 20% della città, abitano 30mila palestinesi e circa 500 israeliani. Quest’ultimi sono tutelati dal governo israeliano con solide strategie di sicurezza. La Tomba dei Patriarchi – sacra ai cristiani, musulmani ed ebrei – si trova nel settore H2 sotto la tutela di Israele che garantisce l’entrata a i fedeli di qualsiasi religione.

Shuhada Street si trova nella città vecchia di Hebron e attualmente è sotto stretta sorveglianza da parte dell’esercito israeliano in seguito alle numerose minacce ricevute dai residenti ebrei che vivono nelle vicinanze. Secondo le direttive governative, i palestinesi che non hanno la residenza in H2 non possono transitare per Shuhada Street.

Shuhada Street è diventata il centro della narrativa palestinese secondo cui l’occupazione israeliana in Cisgiordania costituirebbe un regime di apartheid. Questa accusa fu mossa da Mustafa Barghouti, politico palestinese e segretario generale di Iniziativa Nazionale Palestinese. Ogni anno  vengono dunque organizzate iniziative e dimostrazioni sotto la sigla “Open Shuhada Street” da gruppi palestinesi in tutto il mondo. Durante queste manifestazioni vengono anche urlati slogan per i martiri di Shuhada Street uccisi da Israele. Anche in questo caso siamo di fronte a una manipolazione storica. L’episodio citato dai militanti pro-Pal si riferisce ai fatti del febbraio 1994 quando Baruch Goldstein, un estremista di destra dell’insediamento Kiryat Arba, assaltò la moschea di Abramo – costruita da Saladino sopra la Tomba dei Patriarchi al posto di una chiesa del periodo dei Crociati – uccidendo 29 fedeli musulmani. Israele e la comunità ebraica della Diaspora condannarono la follia omicida di Goldstein. Il primo ministro israeliano di allora, Yitzhak Rabin, denunciò apertamente l’attacco, descrivendo Goldstein come “un assassino degenerato”. Rabin inoltre dichiarò che quell’episodio rappresentava “una vergogna per il sionismo e un imbarazzo per l’ebraismo”. Dopo la tragedia, il governo israeliano decise di bandire e sciogliere il movimento di estrema destra Kach a cui l’assassino apparteneva.