Donne nel campo femminile di Ravensbruck

Se questa è una donna. La Shoah al femminile nel webinar di Wikidonne

Eventi

di Ilaria Ester Ramazzotti
“Considerate se questa è una donna/
senza capelli e senza nome/
senza più forza di ricordare/
vuoti gli occhi e freddo il grembo/
come una rana d’inverno”.

Con questi versi di Primo Levi, che nelle parole dell’autore evocano l’immagine delle donne nei lager nazisti, è stato introdotto il webinar ‘Donne nella Shoah proposto da WikiDonne e dalla Task Force per lo studio dell’Olocausto e della sua negazione, con il patrocinio di Wikimedia Italia, trasmesso lo scorso 27 gennaio su YouTube, Twitter e sulle pagine Facebook del progetto WikiDonne\Donne e Shoah in occasione del Giorno della Memoria 2022. Un approfondimento sulla Shoah e sulle deportazioni nei campi di sterminio visti da una prospettiva femminile, con uno sguardo inedito alla particolare dimensione della sofferenza delle donne.

Ospiti della tavola rotonda sono stati Daniela Padoan, giornalista e saggista, autrice del libro ‘Come una rana d’inverno. Conversazioni con tre sopravvissute ad Auschwitz: Liliana Segre, Goti Bauer, Giuliana Tedeschi’ e del reportage ‘La Shoah delle donne’ girato per Rai 3 – DocTre, Marcello Pezzetti, storico e studioso della Shoah, Germana Carillo, giornalista per GreenMe, autrice dell’articolo ‘Avere il ciclo in un campo di concentramento: le mestruazioni nei lager, storia di un’umiliazione passata sotto silenzio’, Anna Foa, storica e scrittrice, autrice di ‘Anime nere. Due donne e due destini nella Roma nazista’ e ‘Donne e Shoah’ insieme a Francesca Nodari.

Al messaggio di benvenuto e alla presentazione del progetto, introdotto da Camelia Boban e Francesco Carbonara della Taske Force, è seguito il saluto di Iolanda Pensa di Wikimedia Italia.

Dopo la messa online di un estratto delle testimonianze di Liliana Segre e Goti Bauer dal reportage ‘La Shoah delle donne, Daniela Padoan ha sviluppato il suo intervento dal titolo ‘Freddo il grembo: colpire la generatività femminile’. Tra le persone uccise ad Auschwitz, tra il 60 e il 70 per cento erano donne e bambini. E i bambini piccoli venivano tolti alle madri e mandati al gas appena entrati nel campo. Ma i nazisti usavano le prigioniere anche come cavie per esperimenti sull’apparato riproduttivo, che provocavano la sterilità i nelle donne “non degne di riprodursi” e ‘studiavano’ la possibilità di indurre parti plurigemellari nelle madri di “razza ariana”.

Lo storico Marcello Pezzetti si è poi focalizzato sulle ‘Donne medico italiane ad Auschwitz’. Il ruolo dei medici era centrale nell’organizzazione quotidiana dei campi di sterminio: svolgevano le cosiddette “selezioni” decidendo chi sarebbe finito nelle camere a gas, davano il via all’immissione dell’agente tossico Ziklon B e svolgevano criminali “ricerche scientifiche”. In più ad Auschwitz-Birkenau, come in altri lager, c’era un “ospedale”, una struttura di ricovero priva di adeguato materiale sanitario e medicine che in molti casi era l’anticamera dei forni crematori. E spesso chi restava in vita veniva scelto come cavia per gli esperimenti. Solo in alcuni casi chi vi lavorava era davvero un medico: in molti casi era qualcuno che aveva solo detto di esserlo. Ma alcuni veri operatori sanitari scelti fra i prigionieri potevano affiancarsi ai responsabili, come è accaduto ad alcune donne medico italiane. Nel corso della videoconferenza sono state mostrate dallo storico Pezzetti anche alcune rare fotografie dell’ospedale del lager, oltre a documentazione come quella su Luciana Nissim Momigliano, partigiana e deportata ad Auschwitz insieme a Primo Levi, medico poi divenuta psicanalista nel Dopoguerra.

Se da un lato molti storici della Shoah si sono occupati di questioni legate alla medicina, studiando ad esempio gli esperimenti forzati di sterilizzazione delle prigioniere, dall’altro la specificità della deportazione femminile, la violenza e le specifiche difficoltà subite dalle donne, come le mestruazioni nel lager, sono per molto tempo rimaste nascoste fra le singole testimonianze di donne sopravvissute. “Allo stesso modo, altri si sono concentrati sull’amenorrea, la perdita delle mestruazioni, come causa dello shock dell’incarcerazione – ha spiegato la giornalista Germana Carillo -. È interessante notare, tuttavia, che quasi tutta questa ricerca non abbia discusso sulle mestruazioni vere e proprie”. Così Trude Levi, un’infermiera ebrea ungherese deportata, raccontava: “Non avevamo acqua per lavarci, non avevamo biancheria intima. Non potevamo andare da nessuna parte. Tutto ci rimaneva addosso e per me è stata una delle cose più disumanizzanti che abbia mai vissuto”. “La tragica realtà dei campi, insomma, significava che le mestruazioni erano difficili da evitare o nascondere e il fatto di doverle rendere improvvisamente pubbliche le fece sentire alienate. Anche e soprattutto alla luce del fatto che la mancanza di stracci e la mancanza di opportunità per lavarsi erano umilianti come non mai”.  Per contro, accadeva anche che le mestruazioni salvassero donne e ragazze da esperimenti “medici”, violenze o stupri.

“Era il modo di percepire la prigionia e la Shoah ad essere diverso fra uomini e donne, come si evince dalle memorie delle sopravvissute”, ha sottolineato la storica Anna Foa, a proposito di storiografia e di narrazione di genere. E fra le testimonianze che ci sono pervenute negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, intrise di dolore e tragedia per la trasformazione del corpo e il suo terribile degrado, emerge anche “il senso di sorellanza che poteva crearsi fra donne, la forte solidarietà” molto specifica e diversa da quella maschile.

“Nei campi donne e uomini erano tenuti rigorosamente separati – scrive Anna Foa in Donne e Shoah -. Il più grande campo femminile era quello che faceva parte del sistema concentrazionario di Auschwitz; il secondo, in ordine di grandezza, era quello di Ravensbrück, a nord di Berlino. Questo campo era stato creato nel 1939, fu quasi totalmente riservato alle donne e radunò fino al 1945 solo una piccola parte di ebree; il resto erano donne provenienti dai paesi occupati d’Europa, prigioniere politiche, testimoni di Geova, disadattate sociali, rom e sinti. Vi passarono 130.000 donne, 90.000 delle quali circa, si presume, morirono nel campo”. E ancora: “Nel campo, anche le sorveglianti erano donne. I crimini commessi in questo campo erano crimini rivolti specificamente contro le donne: cioè sterilizzazioni, aborti, esperimenti medici sull’apparato riproduttivo femminile, stupri”.

In questo contesto, “la gravidanza di una donna implicava il forte coinvolgimento emotivo delle sue compagne, che mettevano a rischio la loro vita per tentare di salvare, se non il bambino, almeno lei”, perché nei lager le donne con bambini o incinte venivano generalmente mandate alle camere a gas. E “questo terribile compito delle dottoresse detenute e delle altre prigioniere, di far abortire le donne o di uccidere alla nascita i bambini è qualcosa che riguardava solo le donne, un orrore aggiunto agli altri orrori”.

Segui tutti gli interventi completi del webinar ‘Donne nella Shoah’ sul canale YouTube di WikiDonne