La reazione del sistema sanitario israeliano agli attacchi del 7 ottobre

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di Giovanni Panzeri
“L’attacco del 7 ottobre è stato un episodio estremamente grave” ha affermato il dottor Zion Hagai, presidente dell’Ordine dei Medici di Israele, durante un convegno organizzato dalla nuova UDAI 10.1 nella sera di lunedì 4 dicembre. “Un trauma simile” ha continuato “non lo subivamo dai tempi della nascita di Israele”.

Il convegno, che ha visto gli interventi del presidente Hagai e del direttore dell’ospedale “Soroka” di Beersheva, Shlomi Kodesh, si è focalizzato sull’impatto che gli attacchi di Hamas hanno avuto sul sistema sanitario israeliano, e su come quest’ultimo ha reagito alle conseguenti tensioni.

“La società israeliana ha reagito in modo coeso” ha spiegato ancora il presidente Hagai “e come ordine dei medici ci siamo attivati per supportare in tutti i modi l’attività di ospedali, come quello di Soroka, in cui parte del personale si è rifiutato di rientrare a casa per una settimana, continuando a lavorare. Tuttavia il settore medico ha dovuto affrontare gravi tensioni: infatti il 40% dei nostri team medico sanitari provengono dalla popolazione di origine araba, musulmana o cristiana.”

“Come organizzazione abbiamo fatto il giro di tutti gli ospedali, parlando con tutto il personale e cercando di appianare le tensioni, ricordando a tutti che come medici siamo legati prima di tutto dal giuramento d’Ippocrate, e quindi dal dovere di aiutare i feriti – ha continuato Hagai -. Ci sono stati casi dei comportamenti estremamente negativi sia da una parte che dall’altra, perciò abbiamo lavorato per appianare le tensioni dove possibile e intervenire duramente sui casi più gravi. Alla fine siamo riusciti a continuare a lavorare nel rispetto reciproco, nonostante le inevitabili tensioni”.

Hagai ha terminato l’intervento sottolineando il lavoro internazionale della sua organizzazione e criticando duramente l’Organizzazione Mondiale della Sanità per “aver condannato Israele senza neanche citare i crimini di Hamas”.

La parola è poi passata a Shlomi Kodesh, direttore dell’ospedale di Beersheva, che, a soli 7 km da Gaza, ospita il centro di soccorso per traumi gravi più vicino alle zone dei combattimenti.

“Il 7 mattina siamo stati svegliati dalle sirene antimissile e siamo subito corsi nei rifugi, tuttavia appena saputo dell’invasione di Hamas ho dovuto lasciare la mia famiglia e correre in ospedale – ha  raccontato Kodesh -: molti feriti non arrivavano tramite i servizi di emergenza, ma per conto loro e su macchine private, piene di colpi di proiettile. Erano persone ferite da armi da fuoco e gravemente ustionate, e abbiamo dovuto fare il triage in queste condizioni, il tutto mentre continuavano a suonare gli allarmi antimissile. In un giorno sono arrivati 700 feriti, 130 dei quali gravi. La prima è stata una donna beduina incinta, ferita in pancia, che è riuscita a salvarsi ma ha perso il bambino”.

“Diversi miei colleghi sono stati uccisi il 7 di ottobre, assieme a parenti e amici” ha continuato il direttore “e alcuni sono stati rapiti. Un’infermiera, Nili Margalit, è stata recentemente rilasciata”.

(Foto: X, @SorokaFriends)