Israele divisa sulla condanna del soldato che aveva sparato contro un terrorista palestinese

Israele

di Ilaria Myr

Il soldato Elon Azaria condannato dalla Corte Militare per l'assassinio del palestinese
Il soldato Elor Azaria condannato dalla Corte Militare per l’assassinio del palestinese Abdel Fattah al-Sharif

Non si placano le divisioni nell’opinione pubblica israeliana dopo il giudizio di mercoledì 4 gennaio di colpevolezza da parte della Corte Militare di Elor Azaria, il militare israeliano che lo scorso marzo aveva sparato alla testa al palestinese Abdel Fattah al-Sharif che aveva appena aggredito con un coltello un suo commilitone a Hebron, e che si trovava a terra, immobilizzato e neutralizzato. Il video di quanto avvenuto era stato diffuso da una Ong per i diritti umani.

La condanna è arrivata mentre a Tel Aviv centinaia di manifestanti di destra e sostenitori di Azaria sfogavano tutta la loro rabbia contro la sentenza che verrà depositata a febbraio. In molti a dire che non si può condannare chi si difende contro un terrorista. 

Azaria rischia fino a 20 anni di carcere.

Da varie parti del mondo politico si sono levate parole di sostegno al giovane: primo fra tutti il premier Beniamin Netanyahu, che in un post su Facebook ha dichiarato che il militare «merita il perdono» e ha fatto appello agli israeliani perché «si comportino con responsabilità» nei confronti dell’esercito. Molti i politici che hanno chiesto al presidente Rivlin di concedere la grazia al giovane: fra questi, il ministro della difesa Avigdor Liebermann, il ministro della difesa Naftali Bennet e Miri Regev, oggi Ministro dello sport ma i passato portavoce dell’esercito.

Al centro delle polemiche lo stesso processo, che secondo molti è stato uno ‘show mediatico‘, evitabile e che comunque, sostiene Regev “doveva essere preceduto da un procedimento disciplinare”. Contestata anche la politicizzazione del processo: in un video postato su Facebook l’ex Ministro della difesa Moshe Ya’alon ha dichiarato che “la procedura criminale che il soldato Elor e la sua famiglia hanno vissuto è stata troppo dura da sopportare e avrebbe dovuto essere gestita diversamente. E la ragione per cui è stata condotta in un modo che ha reso difficile a tutti coloro che vi erano coinvolti è lo sfruttamento cinico del caso da politici interessati alla ricerca di propri benefici”.

Manifestanti fuori dal Tribunale contro il processo a Elor Azaria
Manifestanti fuori dal Tribunale contro il processo a Elor Azaria

Arrestate due persone per incitamento contro i giudici
Inoltre, la polizia ha arrestato due persone per incitamento su Facebook alla violenza contro i giudici del processo: un uomo di 54 anni di Gerusalemme e una ragazza di 22 di Kyriat Gat. Quest’ultima, in particolare, ha scritto sul social network “prendete una granata, fate saltare in aria il giudice, spargete i suoi pezzi in posti diversi, e lasciate che i cani li mangino. D-o la farà pagare per tutto”. Immediata la reazione della famiglia Azaria, che ha scritto in un comunicato “la famiglia non  in alcun modo connessa e non è responsabile con quello che succede fuori dal’aula della Corte. I membri della famiglia si dissociano fermamente da ogni espressione di violenza e le condanna in pieno”.

Il processo, iniziato a maggio scorso, è diventato un caso nazionale di quelli che dividono il paese. Tra accuse all’esercito di coprire abusi e casi di violenza e la mobilitazione della destra israeliana a sostegno del militare. Fuori dalla sede dell’esercito, a Tel Aviv, centinaia di israeliani hanno manifestato contro la condanna del giovane militare.

Un portavoce del governo dei territori palestinesi, Yousef al-Mahmoud, ha commentato: «La condanna del soldato che ha giustiziato al Sharif è avvenuta solo perché il crimine è stato documentato e il mondo ha potuto assistervi in televisione».

Rimane il fatto che Israele, con questa condanna, ha dato prova al mondo intero di essere una indiscutibile democrazia, capace di condannare anche un suo ‘figlio’ per un atteggiamento non conforme alla legge. Un comportamento che, a oggi, l’Anp non ha mai messo in pratica (ha anzi sempre coperto i colpevoli di terroristi in fuga), e chissà mai quando lo farà.