Le parole “sionismo” e “sionista”, intese in senso offensivo, si radicano nel vecchio antisemitismo

Opinioni

di Claudio Vercelli

The_tentacles_of_the_octopus_Krokodil_N15_1972Non si deve mai generalizzare. Rimane tuttavia un riscontro che si ripete, purtroppo, con inquietante costanza. Quello per cui, in una parte del giudizio di senso comune, il sionismo è divenuto sinonimo di nazismo. Nel web capita con crescente frequenza. Le parole «sionismo» e «sionista», intese in senso offensivo, sono considerate da molti come sinonimi immediati e diretti di «ebraismo» ed «ebreo». Ma preservano e coltivano in sé anche un contenuto più politico, legandosi alla lunghissima storia dell’insediamento ebraico nei territori che, dal 1948, sono divenuti parte integrante dello Stato d’Israele.

Parlare male del sionismo e dei sionisti è decisamente più facile, al giorno d’oggi, del farlo apertamente contro gli ebrei. Nel secondo caso si incorre spesso in qualche sanzione morale. Nel primo, invece, si finge di fare salotto politico quando invece si stanno spargendo i semi dell’infamia. La sovrapposizione, comunque, è per tanti un fatto tanto ovvio quanto scontato. Senz’altro le cose vanno in questo verso per quanti ritengano, e si tratta di convinzione diffusa, che l’ebraismo sia un vero e proprio soggetto politico, ossia un monolito, un insieme di individui e di organizzazioni, che hanno un obiettivo condiviso ovunque essi si trovino, quello di controllare il mondo. Un’ossessione antica, quest’ultima, che cerca sempre e solo nuovi involucri per presentarsi come una rivelazione: Israele è l’ebreo collettivo, la centrale di questa tela mondiale del ragno malefico. La differenza tra la legittima critica all’operato dei governi israeliani e l’antisionismo come forma contemporanea di antisemitismo si colloca allora esattamente su questo crinale: il volere identificare l’azione di un esecutivo non con la linea politica che esprime, bensì con la presunta volontà di una pluralità indistinta di persone, a volere dire che la prima è solo un dettaglio che serve a rivelare la feroce determinazione dei secondi. I «sionisti» sono, secondo questa visione delle cose, la punta emersa di un ebraismo vorace e criminale. Sono, per l’appunto, dei nazisti, ossia dei carnefici che si vestono da vittime. Una critica dell’antisemitismo, oggi, non può allora non partire da questi cortocircuiti. Che non sono il prodotto di un errore di comprensione. Semmai costituiscono una forma di razionalità capovolta, dove il mondo viene riletto alla luce di un pregiudizio così pervicace e intransigente da farsi giudizio insindacabile (e tristemente rassicurante per chi lo fa proprio).