Polemica in Francia: la parola Shoah scompare dai libri di scuola

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Il “Corriere della Sera” del 31 agosto riprende una notizia dal quotidiano francese “Le Monde” che farà discutere a lungo.

Dalle pagine di Le Monde infatti, Claude Lanzmann, 85enne, regista e autore del monumentale documentario “Shoah”, ha denunciato l’applicazione della circolare n. 7 – 2010 del Ministero dell’Educazione francese, nella quale si invitano insegnanti ed autori di manuali scolastici ad utilizzare il termine “annientamento” anzichè “Shoah”.

Il provvedimento, scrive Lanzmann, è stato voluto da Dominique Borne, dirigente del Ministero, il quale ha giustificato la circolare sostenendo sia meglio ricorrere ad una parola francese come annientamento piuttosto che a quella ebraica di Shoah.
E’ vero che i francesi vogliono difendere la loro bella lingua e che da tempo hanno ingaggiato una battaglia – non si sa fino a che punto vincente – contro gli anglicismi, anche quelli più comuni e diffusi – “ordinateur” al posto di “computer”, “courriel” al posto di “e-mail”. Vorrebbero insomma tutelare la loro lingua da contaminazioni anglosassoni troppo pesanti e talvolta, a loro dire, inutili.
Nel caso di Shoah, tuttavia, la questione del purismo linguistico sembra, se non altro, tirata per i capelli.
Il termine Shoah, in Europa è entrato ormai nell’uso comune; da anni ha sostituito “Olocausto” (in utilizzo ancora nei paesi anglofoni), senz’altro dal 1985 quando cominciò  a circolare proprio il documentario di Lanzmann.

“Shoah, spiega il regista, è oramai un nome proprio; esso non designa niente altro che l’evento che porta tale nome”. “Questa parola ebraica contiene e riassume in sè la specificità ebraica del disastro. Termini come genocidio, sterminio, annientamento, sono parole comuni, nomi comuni che necessitano di un aggettivo che li qualifichi”.

Questo è uno dei problemi sollevati da Lanzmann: su alcuni dei nuovi manuali che hanno seguito la direttiva ministeriale Borne, si legge talvolta l’espressione “genocidio ebraico” (come nel Magnard o nell’Hatier), talvolta  l’espressione “genocidio nazista” (come nel Nathan). L’aggettivo – “ebraico” o “nazista” a seconda dei casi – cambia radicalmente il significato della parola “genocidio” e insieme a loro volta della frase che li contiene entrambi. Nel primo caso gli ebrei sono vittime del genocidio, nel secondo, i nazisti sono autori del genocidio. L’espressione se non è accompagnata da una spiegazione efficace e chiara, è inevitabilmente ambigua – e pericolosa quando utilizzata nei manuali scolastici.

A differenza di genocidio, di annientamento, “Shoah” si regge da sè, non ha bisogno di aggettivi, avverbi, specificazioni. Come scrive Lanzmann, è un nome proprio; lo è diventato col tempo. Si direbbe che Shoah ha assunto significato e valore universale, al punto che quasi ci si dimentica che si tratta di una parola del dizionario ebraico; non ha più bisogno di traduzioni.

Di cosa si tratta allora? Da dove nasce il provvedimento di Domenique Borne?

Lo storico francese Pierre Nora, noto per i suoi studi sul fascismo, sempre sul Corriere della Sera, ritiene che non ci si trovi di fronte ad un fenomeno di antisemitismo strisciante.  “Borne non è un antisemita, ma il classico democratico cristiano che esprime ormai un pensiero che non è solo suo: alcuni ebrei esagerano con le rivendicazioni e con la tendenza a mettere sempre in avanti la loro tragedia”. Secondo Borne – continua Nora – gli ebrei hanno mitizzato il loro dolore, hanno spostato il pendolo troppo da una parte ed è venuto il momento di riequilibrarlo”.

Ciononostante Nora ritiene che la denuncia di Lanzmann sia giusta e condivisibile.
La proposta di sostituire Shoah con annientamento, osserva Nora, è un’operazione di relativizzazione; si vuole “ridurne la portata nei secoli, in qualche modo addomesticarla. Non direi che siamo in presenza di un atto di antisemitismo strisciante, ma di normalizzazione , questo sì”.