Mendelsohn, storia di un visionario

di Marina Gersony

MendelsohnBerlino, Potsdamer Platz, giorni nostri. Una mano regge una vecchia foto e una voce fuori campo si chiede dove siano spariti alcuni edifici. Nessuna traccia, nessuno sa niente, né i turisti di passaggio, né gli stessi tedeschi, tranne qualcuno che ricorda qualcosa, vagamente, reminiscenze scolastiche sbiadite: «Certo, questa piazza è stata devastata a causa dei bombardamenti.. Vede, là in fondo si trova il bunker di Hitler. Il resto è stato distrutto… i nazisti… un cumulo di macerie». Come dicono i francesi, tout casse, tout passe, tout lasse. Et tout se remplace, tutto si rompe, tutto passa, tutto ci lascia. E tutto, alla fine, si rimpiazza. È la vita.
Inizia così, con un viaggio nella memoria, il docu-film Mendelsohn’s incessant visions in programmazione durante il Milano Design Film Festival, 9-12 ottobre, al cinema Anteo. Scritto e diretto da Duki Dror, talentuoso regista, produttore e filmaker israeliano, è un omaggio all’architetto Erich Mendelsohn che fu contemporaneo di Walter Gropius e Mies van der Rohe; un grande artista che ha prodotto opere, – come la Torre Einstein -, che hanno influenzato generazioni di architetti. Il film è una sorta di meditazione visiva sulla storia mai raccontata di Erich Mendelsohn, la cui vita e carriera, a tratti misteriosa, non è stata poi così semplice da ricostruire.
Nato a Olsztyn (Allenstein), Polonia, nel 1887, il padre vedeva per il figlio un futuro da medico o da avvocato, mentre Erich era indeciso se diventare ingegnere, architetto o pittore. Fu proprio ad Olsztyn, nel 1913, che ultimò il suo primo edificio, Bet Tahara (Casa Tahara), una struttura anonima dall’esterno, come racconta una testimone, ma che al suo interno rivela tutta la genialità dell’allora giovane architetto: con la cupola piramidale di legno, le decorazioni a mosaico e un fregio con scritta in ebraico che adorna la stanza, Bet Tahara è l’unica preziosa testimonianza della presenza ebraica in quella parte di mondo prima della Seconda guerra mondiale.
La storia raccontata da Dror, basata su interviste e documentazioni ufficiali, si sviluppa attraverso il rapporto con Louise, una bellissima giovane violoncellista con cui Mendelsohn iniziò un’appassionata corrispondenza (milleduecento lettere in cinque anni prima del matrimonio). Louise divenne in seguito sua moglie, compagna e sostenitrice. Tra i due si instaurò un fortissimo sodalizio artistico in cui si aiutarono reciprocamente in una delle epoche più turbolente della storia europea. A nulla erano valse le proteste della madre di Louise, per la quale quel giovane spiantato originario della Prussia Orientale, anche se ebreo, non era certo all’altezza della figlia di una ricca famiglia di mercanti di tè. Per Louise, l’ambiziosa madre aveva ben altri progetti.
A testimoniare la creatività di Mendelsohn sono soprattutto gli schizzi e le lettere personali che Erich inviava a Louise, allora adolescente: «Gli architetti pensano di lasciare qualcosa di eterno, i loro edifici sono scolpiti in pietra e acciaio, ma alla fine anche loro si deteriorano o spariscono – racconta Louise nel film -. Erich mi ha lasciato i suoi schizzi visionari e le lettere che mi scriveva. La prima l’ho ricevuta a 16 anni,  ne fui subito catturata, erano visioni incessanti».
Da quello scambio epistolare scaturisce il ritratto di un personaggio che era prima di tutto un creatore-sognatore in grado di materializzare le sue percezioni, ogni istante, ogni dettaglio di quello che la vita gli presentava. Erich era un profondo innovatore nell’animo, s’immaginava una nuova era che nulla aveva a che vedere con l’orrore che si stava delineando all’orizzonte. Pensava a nuovi concetti e leggi culturali destinati a migliorare l’esistenza dell’Uomo ma che inquietavano, come del resto è naturale, le generazioni precedenti.
Durante la Prima guerra mondiale fu mandato al fronte. Ogni settimana Louise riceveva piccoli schizzi che lui disegnava in trincea, pieni di energia. «Aveva bisogno dei miei occhi per guardarli», ricorda lei. A quei tempi il giovane sconosciuto non sapeva che quei “piccoli schizzi” avrebbero cambiato la storia dell’architettura. Scriveva Erich: «Erano visioni, difficili da catturare, lampi impossibili da fermare con la mano. I miei schizzi non sono che appunti, ognuno porta in sé il germe del suo potenziale sviluppo».
Nel 1917 il medico gli disse che avrebbe potuto perdere un occhio e nelle lettere chiedeva a Louise: «Sarai tu il mio secondo occhio?». Condividere le proprie visioni con la moglie era più importante di qualsiasi cosa. Intanto la carriera procedeva insieme alla vita sociale.
A Monaco si era formato un gruppo di giovani artisti sovversivi – non in senso politico ma culturale, per un senso lirico e gioioso della vita -, tra i quali Wassily Kandinsky e Franz Marc. Il gruppo, Der Blaue Reiter, Il cavaliere azzurro, era nato in Baviera nel 1911 e rimase attivo fino al 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale che ne causò la dispersione. Questi artisti che dipingevano la musica e rompevano con le convenzioni tradizionali, divennero i nuovi compagni di Erich.
La vita procedeva. Erich si stabilì con la moglie a Berlino, nacque la piccola Esther, le esibizioni al violoncello della bellissima Louise portarono conoscenze e nuovi contatti che avvantaggiarono anche il lavoro di Erich. Iniziarono le sue prime mostre, i critici erano inizialmente perplessi, ma le cose cambiavano sempre in meglio. Partivano i  primi progetti, i consensi, gli apprezzamenti. Un giorno ci si mise anche il caso ad accelerare un processo ben avviato. Albert Einstein e l’amico astronomo Erwin Freundlich suonavano con Louise in un quartetto domenicale. Tra una chiacchiera e l’altra, i due scienziati manifestarono l’intenzione di costruire un osservatorio astrofisico allo scopo di compiere verifiche empiriche di alcuni aspetti delle teorie elaborate da Einstein sulla relatività. Presto fatto. Erich annotò sul taccuino: «La torre occupa tutta la mia giornata». Il mercoledì successivo si incontrò con Einstein che fu a dir poco entusiasta dello schizzo. Invece dei soliti mattoni, Erich avrebbe usato acciaio e cemento, una follia a cui nessun ingegnere avrebbe collaborato. Ma la follia, la visione, si materializzò. La Torre Einstein, Einsteinturm in tedesco, a Potsdam, fu realizzata ed è uno dei più importanti esempi di architettura moderna.

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La carriera di Mendelsohn da quel momento prese il volo anche se la sua vita seguì il percorso aspro e travagliato di tanti emigrati ebrei tedeschi in fuga dal nazismo. Costretto ad espatriare, lavorò in Inghilterra, poi per un certo periodo fu attivo anche nella Palestina britannica. prima di stabilirsi negli Stati Uniti.
Anche la sua vita privata subì degli scossoni. A un certo punto, quando Louise pensò di lasciarlo per un poeta comunista, Erich costruì una casa perfetta per lei, interamente progettata da lui in ogni dettaglio, abiti inclusi. Il resto, dall’evoluzione del suo rapporto con Louise ai grandi successi e agli inevitabili fallimenti che hanno costellato l’intensa vita di Erich Mendelsohn, è tutto da vedere e da scoprire in questo appassionante e coinvolgente film.