Devar Torà / Yaakòv e Rachel, una storia d’amore

di Ufficio Rabbinico

Vayetzè

9 novembre 2013 – 6 kislèv 5774

Devar Torà

A differenza di altre culture, nelle nostre scritture antiche le storie di amore sono una rarità. Tra le poche eccezioni la parashà di Vayetzè che racconta l’amore di Yaakòv per Rachel. Ma se si vede bene come questa storia vada avanti con difficoltà e senza happy end (anche per i discendenti  nei secoli successivi) e si coglie perlomeno una punta di amarezza sul tema del’amore. Così anche per le altre storie di amore raccontate nel Tanàkh. Non è un segnale di piccolo conto, che deve far riflettere. (Rav R. Di Segni)

“Yaakòv si svegliò dal sonno e disse: quindi il Signore è in questo luogo ed io non lo sapevo!…” (Bereshìt 28, 16) Il risveglio di Yaakòv non è solamente un risveglio fisico, ma è anche un risveglio spirituale. Yaakòv si sveglia di soprassalto dopo aver avuto la rivelazione dell’Eterno, e prende coscienza della presenza e della costante supervisione di Dio in forma generale e in particolare su ogni essere vivente. È quel concetto che  i Maestri definiscono con il termine di Hashgachà Klalit e Hashgachà Pratit. (Rav D. Sciunnach)

Halakhà

La delizia dello Shabbat – 1

La mitzvà della delizia dello Shabbat deriva principalmente dai libri profetici. Nel libro di Isaia (58, 13) è scritto infatti:  “E chiamerai il Sabato delizia”. I poseqim discutono se si tratti di un precetto della Torà o di origine rabbinica. La sua applicazione pratica consiste nel santificare lo Shabbat, onorarlo, indossando abiti puliti, e deliziarlo attraverso il cibo e le bevande. I Maestri nel Talmud (Shabbat 118) hanno insistito molto sulla centralità di questa mitzvà, sostenendo, fra le altre cose, che porta ad una ricompensa illimitata, preserva dall’asservimento straniero, e conduce alla ricchezza. Nella pratica, consiste anzitutto nel consumare cibi e bevande considerati deliziosi in quel momento ed in quel luogo. La maggior parte delle persone intendono l’obbligo riferendolo al consumo di carne, vino, e dolci. (Basato su Mishnà Berurà, 242, 1). (Rav A. Di Porto)