una parashà

Parashat Shofetim. La giustizia e il ruolo del rabbino

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
“E giungerai presso i Cohanim ed i Leviti ed il Giudice che ci sarà in qui giorni e porrai loro le questioni e ti diranno come è la questione nel diritto”.
Con questo versetto la parashà di Shofetim segna con chiarezza l’idea che non possa esistere una interpretazione eterna ed immutabile nell’applicazione della Torà, pur restando ferma ed immutabile l’eternità della Torà e la validità delle mitzvot.
Il Talmud Bavli Rosh HaShana 24b sottolinea con forza l’idea che si debba andare ad interrogare il dayan, il giudice, che viva i tuoi giorni, quasi a dire che appartenga al tuo tempo, al tuo mondo, alla società nella quale tu vivi e che possa comprendere le tue domande ed i tuoi quesiti anche rispetto a quella stessa società e lo stesso Rashi dichiara con fermezza che: “Non avrai altro giudice se non quello che vive ai tuoi tempi”.
Diventa chiaro che il senso del mestiere di Rav e di giudice sia intrinsecamente legato al tempo ed ai giorni nei quali il Rav ed il giudice esercitano la loro funzione.
Scrive Rav Yechiel Yaakov Weinberg (1885-1966) nel Sridè HaEsh: “I rabbini hanno il compito di spiegare per sempre al suo popolo la parola dell’Eterno e il sapere dell’ebraismo per quanto riguarda tutti i problemi dell’etica, del diritto e dell’equilibrio sociale nei quali si è imbattuta la nuova generazione. I rabbini devono comprendere che l’ebraismo non è solo una collezione di regole ed usi religiosi, che con la forza spirituale si prendono decisioni cruciali nella vita dell’umanità, e naturalmente, che essi non devono lasciare da parte nessun problema e nessuna critica da parte della scienza senza fornire una risposta difensiva e convincente.”
I problemi nei quali si imbatte la nuova generazione sono la sfida dell’insegnamento dei rabbanim e dei giudici. Ma sembra che nelle parole del Sridè HaEsh ci sia di più: gli insegnamenti hanno il senso del “sempre” solo se affrontano i problemi dell’etica, del diritto e dell’equilibrio sociale, in altre parole solo se non fuggono i tempi ma li interpretano, ne valutano la portata ed i messaggi specifici alla luce del valore eterno della Torà.

Un rav ed un giudice che vive i propri tempi, così come immaginato dal versetto della parashà di Shofetim, ha la capacità e la coscienza di rispondere ad ogni quesito avendo per primo sperimentato i dubbi ed i drammi della sua generazione, i dilemmi halachici dei suoi tempi, i problemi esistenziali della propria moderna ebraicità. Un rav ed un giudice che vive nei propri tempi, che appartiene in un certo senso ai propri tempi, ha anche la capacità ed il linguaggio giusto per “spiegare al popolo”, ha gli elementi culturali e sociali per “fornire risposte difensive e convincenti” e questa capacità e questi elementi culturali vanno al di là di quello che possiamo immaginare quando leggiamo che per rav Zalman Shechter, figura controversa ed innovativa del mondo ebraico ortodosso americano: “Da adesso in poi sarà impossibile un rav possa servire in America se non sa giocare a baseball, allo stesso modo come se non possa essere rav senza saper insegnare la Ghemarà.” Perché vivere ed essere parte dei tempi del resto della società, significa saper vivere ogni aspetto di quella stessa società.

Di Rav Pinhas Punturello