Parasha

Parashat Reé. Un vero leader sa inquadrare il gruppo e guidarlo

Appunti di Parashà a cura diLidia Calò
Uno dei doni dei grandi leader, e dal quale ognuno di noi può imparare, è che sono in grado di inquadrare la realtà di un gruppo. Definiscono la sua situazione. Ne specificano gli obiettivi. Ne articolano le scelte. Ci dicono dove siamo e dove stiamo andando, in un modo che nessun sistema di navigazione satellitare potrebbe fare. Ci mostrano la mappa e la destinazione e ci aiutano a capire perché dovremmo scegliere questo percorso e non quello. Questo è uno dei loro ruoli magistrali, e nessuno lo ha svolto in modo più potente di Mosè nel libro del Deuteronomio.

Ecco come lo ha fatto all’inizio della parashà di questa settimana: “Ecco, io pongo oggi davanti a te la benedizione e la maledizione, la benedizione se obbedirai ai comandamenti del Signore tuo Dio che oggi ti do; la maledizione ti giungerà se disubbidirai ai precetti del Signore tuo Dio e ti allontani dalla via che oggi ti comando, seguendo altri dèi che non hai conosciuto. (Deuteronomio 11:26-28)

Ecco, con parole ancora più potenti, come Mosè lo sottolinea più avanti nel libro di Devarim: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male… Io chiamo oggi a testimoni contro di te il Cielo e la Terra, perchè ho posto davanti a te la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Perciò scegli la vita, così tu e i tuoi figli potrete vivere. (Deuteronomio 30:15, 19)

Ciò che Mosè sta facendo qui è definire la realtà per la prossima generazione e per tutte le generazioni successive. Lo fa come prefazione a ciò che sta per seguire nei prossimi numerosi capitoli, vale a dire una riformulazione sistematica della legge ebraica che copre tutti gli aspetti della vita, per la nuova nazione nella sua terra.

Mosè non vuole che le persone perdano il quadro generale lasciandosi sopraffare dai dettagli. La legge ebraica con i suoi 613 precetti è dettagliata. Mira alla santificazione di tutti gli aspetti della vita, dal rituale quotidiano alla struttura stessa della società e delle sue istituzioni. Il suo scopo è quello di plasmare un mondo sociale, in cui trasformiamo anche occasioni apparentemente secolari, in incontri con la Presenza Divina. Nonostante i dettagli, dice Mosè, la scelta che ti ho proposto è davvero abbastanza semplice.

Noi, dice alla prossima generazione, siamo unici. Siamo una piccola nazione. Non abbiamo i numeri, la ricchezza, né le armi sofisticate dei grandi imperi. Siamo più piccoli anche di molte delle nostre nazioni vicine. Per ora non abbiamo nemmeno una terrà. Ma noi siamo diversi, e quella differenza definisce, una volta per tutte, chi siamo e perché. Dio ha scelto di renderci la sua posta in gioco nella storia. Ci ha liberati dalla schiavitù e ci ha presi come Suoi partner di alleanza.

Questo non è per i nostri meriti. “Non è a motivo della tua giustizia o della tua integrità che entri per prendere possesso della loro terra”. (Deut. 9:5) Non siamo più giusti degli altri, disse Mosè. È perché i nostri antenati – Abramo, Isacco, Giacobbe, Sara, Rebecca, Rachele e Leah- furono i primi ad ascoltare la chiamata dell’unico Dio e a seguirlo, adorando non la natura, ma il Creatore della natura, non il potere ma la giustizia e la compassione, non la gerarchia, ma la società di pari dignità che include nel suo ambito di sollecitudine, la vedova, l’orfano e lo straniero.

Non pensare, dice Mosè, che possiamo sopravvivere come nazione tra le nazioni, adorando ciò che loro adorano e vivendo come loro vivono. Se lo faremo, saremo soggetti alla legge universale che ha governato il destino delle nazioni dagli albori della civiltà fino ad oggi. Le nazioni nascono, crescono, fioriscono; diventano compiacenti, poi corrotte, poi divise, poi sconfitte, poi muoiono, per essere ricordate solo nei libri di storia e nei musei. Nel caso del popolo di Israele, piccolo e intensamente vulnerabile, quel destino accadrà prima piuttosto che dopo. Questo è ciò che Mosè chiama “la maledizione”.

L’alternativa è semplice, anche se impegnativa e dettagliata. Significa prendere Dio come nostro Sovrano, Giudice delle nostre azioni, Artefice delle nostre leggi, Autore della nostra libertà, Difensore del nostro destino, Oggetto del nostro culto e del nostro amore. Se affermiamo la nostra esistenza su qualcosa – qualcuno – enormemente più grande di noi stessi, allora saremo elevati più in alto di quanto potremmo raggiungere da soli. Ma ciò richiede una lealtà totale a Dio e alla Sua legge. Solo così eviteremo il decadimento, il declino e la sconfitta.

Non c’è niente di puritano in questa visione. Due delle parole chiave del Deuteronomio sono amore e gioia. La parola “amore” (la radice a-h-v) appare due volte nell’Esodo (Shemot), due volte nel Levitico (Vaykrà), in parte nel libro dei Numeri (Bemidbar), ma 23 volte nel Deuteronomio (Devarim). La parola “gioia” (con la radice s-m-ch) compare una sola volta nella Genesi (Bereshit), una volta nell’Esodo, una volta nel Levitico, una volta nei Numeri, ma dodici volte nel Deuteronomio. Mosè non nasconde il fatto, che la vita sotto l’alleanza con Dio sarà impegnativa. Non nasconde né l’amore né la gioia, ci raggiungono su scala sociale senza codici di autocontrollo e impegno per il bene comune.

Mosè sa che le persone spesso pensano e agiscono in modi a breve termine, preferendo il piacere di oggi alla felicità di domani, il vantaggio personale al bene della società nel suo insieme. Fanno cose sciocche, individualmente e collettivamente. Quindi in tutto Devarim, Mosè insiste più e più volte sulla strada per la fioritura a lungo termine – il ‘bene’, la ‘benedizione’, la vita stessa – consiste nel fare una semplice scelta: accettare Dio come tuo Sovrano, fare la Sua volontà e le benedizioni non mancheranno. Altrimenti prima o poi tu sarai conquistato e disperso e soffrirai più di quanto tu possa immaginare. Così Mosè definì la realtà per gli Israeliti del suo tempo e in tutti i tempi.

Cosa ha a che fare questo con la leadership? La risposta è che il significato degli eventi non è mai scontato. È sempre soggetto a interpretazione. A volte, per follia, paura o mancanza di immaginazione, i leader si sbagliano. Neville Chamberlain (1869-1940 politico inglese) ha definito la sfida dell’ascesa al potere della Germania nazista, come la ricerca della “pace nel nostro tempo”. Ci è voluto un Churchill per rendersi conto che questo era sbagliato e che la vera sfida era la difesa della libertà contro la tirannia.
Ai tempi di Abraham Lincoln c’era un certo numero di persone a favore e contro la schiavitù, ma ci volle Lincoln per definire l’abolizione della schiavitù come il passo necessario per la conservazione dell’unione.

Viktor Frankl (neurologo, psichiatra e filosofo austriaco, 1905-1997) era solito sottolineare che le nostre vite non sono determinate da ciò che ci accade, ma da come rispondiamo a ciò che ci accade – e come rispondiamo dipende da come interpretiamo gli eventi. Un disastro che può investirmi, è la fine del mio mondo o è la vita che mi chiama a esercitare la mia forza eroica in modo da poter sopravvivere e aiutare gli altri a fronteggiare la situazione? Le stesse circostanze possono essere interpretate diversamente da due persone, portando l’una alla disperazione, l’altra alla sopportazione eroica. I fatti possono essere gli stessi, ma i significati sono diametralmente diversi. Il modo in cui interpretiamo il mondo, influisce sul modo in cui rispondiamo al mondo e sono le nostre risposte che modellano le nostre vite, individualmente e collettivamente. Ecco perché, le famose parole di Max De Pree (uomo d’affari e scrittore americano 1924-2017): «La prima responsabilità di un leader è definire la realtà».

All’interno di ogni famiglia, comunità e organizzazione ci sono prove e tribolazioni. Queste portano a discussioni, colpe e recriminazioni? Oppure il gruppo le vede provvidenzialmente, come una via verso un bene futuro (una “discesa che porta a un’ascesa” come diceva sempre il Rebbe Lubavitch)? Lavorare insieme per affrontare la sfida? Molto, forse tutto, dipenderà da come il gruppo definirà la sua realtà. Questo a sua volta dipenderà dalla leadership o dall’assenza di leadership che il gruppo ha avuto fino ad ora. Le famiglie e le comunità forti, hanno una chiara percezione di quali sono i loro ideali e non sono spazzati via dai venti del cambiamento.

Nessuno ha fatto tutto questo in un modo più esemplare e forte di Mosè, nel modo in cui ha inquadrato monumentalmente la scelta: tra il bene e il male, la vita e la morte, la benedizione e la maledizione, seguire Dio da un lato, o scegliere i valori delle civiltà vicine dall’altro. Questa chiarezza è il motivo per cui gli Ittiti, i Cananei, i Perizziti e i Gebusei non esistono più, mentre il popolo di Israele vive ancora, nonostante una storia senza precedenti di cambiamenti circostanziali.

Chi siamo noi? Dove siamo? Cosa stiamo cercando di ottenere e che tipo di persone aspiriamo ad essere? Queste sono le domande che i leader aiutano il gruppo a porsi e a rispondere, e quando un gruppo lo fa insieme è benedetto da una resistenza e una forza eccezionale.

Di Rav Jonathan Sacks z”l