Parashat Behar Sinai. L’ebraismo ama e vigila sullo straniero

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Una delle caratteristiche più evidenti della Torà è la sua enfasi sull’amore e la vigilanza nei confronti del gher, lo straniero: Non opprimete lo straniero; voi stessi sapete come ci si sente ad essere stranieri, perché lo siete stati in Egitto. (Esodo 23:9)

Perché il Signore vostro Dio è Dio degli dèi e Signore dei signori, il grande Dio, potente e grandioso, che non mostra parzialità e non accetta tangenti. Egli difende la causa dell’orfano e della vedova e ama lo straniero che risiede in mezzo a voi, dando loro cibo e vestiti. Dovete amare chi è straniero, perché voi stessi siete stati stranieri in Egitto. (Deuteronomio 10:17-19)

I Saggi si sono spinti fino a dire che la Torà ci comanda in un solo punto di amare il nostro prossimo, ma trentasei volte di amare lo straniero. (Baba Metzia 59b).

Qual è la definizione di straniero? È chiaro che il riferimento è a chi non è ebreo di nascita. Potrebbe essere uno degli abitanti originari della terra di Canaan. Potrebbe essere uno della “moltitudine mista” che lasciò l’Egitto con gli Israeliti. Potrebbe significare uno straniero che è entrato nella terra in cerca di sicurezza o di mezzi di sostentamento.

In ogni caso, il modo in cui gli israeliti trattano lo straniero ha un significato immenso. Questo era ciò che dovevano aver imparato dalla loro esperienza di esilio e di sofferenza in Egitto. Erano stranieri. Erano oppressi. Perciò sapevano “come ci si sente a essere stranieri”. Non dovevano infliggere ad altri ciò che era stato inflitto a loro.

I Saggi ritenevano che la parola gher potesse avere due significati. Uno era il gher tzedek, un convertito all’ebraismo che aveva accettato tutti i suoi precetti e obblighi. L’altro era il gher toshav lo “straniero residente” che non aveva adottato la religione di Israele, ma viveva nella terra di Israele. La parashà di Behar definisce i diritti di una persona di questo tipo. In particolare: Se uno dei tuoi concittadini diventa povero e non è in grado di mantenersi, aiutalo come faresti con uno straniero residente, affinché possa continuare a vivere tra voi. (Levitico 25:35)

In altre parole, esiste l’obbligo di mantenere e sostenere uno straniero residente. Non solo ha il diritto di vivere in Terra Santa, ma ha anche il diritto di partecipare al suo benessere. Ricordiamo che si tratta di una legge molto antica, molto prima che i Saggi formulassero principi come “le vie della pace”, che obbligano gli ebrei a estendere la carità e l’assistenza ai non ebrei e agli ebrei.

Che cos’era dunque un gher toshav? Nel Talmud ci sono tre opinioni. Secondo Rabbi Meir si trattava di chi si impegnava a non adorare gli idoli. Secondo i Saggi, era chiunque si impegnasse a rispettare le sette leggi noahidi. Un terzo punto di vista, più severo, riteneva che si trattasse di chi si era impegnato a osservare tutti i comandi della Torà tranne uno, la proibizione della carne non macellata ritualmente (Avodah Zarah 64b). La legge segue i Saggi. Un gher toshav è quindi un non ebreo che vive in Israele e che accetta le leggi noahidi vincolanti per tutti.

La legislazione del gher toshav è quindi una delle prime forme esistenti di diritti delle minoranze. Secondo il Rambam, gli ebrei in Israele hanno l’obbligo di istituire tribunali per gli stranieri residenti, per consentire loro di risolvere le proprie controversie – o quelle che hanno con gli ebrei – secondo le disposizioni della legge noahide. Il Rambam aggiunge: “Si dovrebbe agire nei confronti degli stranieri residenti con lo stesso rispetto e la stessa amorevolezza che si avrebbe nei confronti di un altro ebreo”. (Hilchot Melachim 10:12)

La differenza tra questa e le successive leggi sulle “vie della pace” è che le vie della pace si applicano ai non ebrei senza tener conto delle loro credenze o pratiche religiose. Esse risalgono a un’epoca in cui gli ebrei erano una minoranza in un ambiente prevalentemente non ebraico e non monoteista. Le “vie della pace” sono essenzialmente regole pragmatiche di ciò che oggi chiameremmo buone relazioni comunitarie e cittadinanza attiva in una società multietnica e multiculturale. La legislazione del gher toshav è più profonda. Non si basa sul pragmatismo, ma sul principio religioso. Secondo la Torà, non è necessario essere ebrei in una società ebraica e in una terra ebraica per avere molti dei diritti di cittadinanza. È sufficiente essere morali.

Una vignetta biblica lo ritrae con enorme forza. Re Davide si era innamorato e ha avuto una relazione adulterina con Batsheva, moglie di un gher toshav, Uria l’Ittita. Lei rimane incinta. Nel frattempo Uria era lontano da casa come soldato dell’esercito di Israele. Davide si rende conto che ha commesso adulterio, teme che il marito Uria scopra che sua moglie è incinta ed il colpevole è il re. Così lo fa rientrare a casa, il pretesto è che vuole informarsi come sta andando la battaglia. Dopo averlo ascoltato gli dice di tornare a casa e di dormire con la moglie prima di ripartire, in modo da fargli credere di essere lui stesso il padre del bambino.
Il piano fallisce. Ecco cosa succede:
Quando Uria venne da lui, Davide gli chiese come stava Joab, come stavano i soldati e come stava andando la guerra. Poi Davide disse a Uria: “Scendi a casa tua e lavati i piedi”. Così Uria uscì dal palazzo e gli fu inviato un dono del re. Ma Uria dormì all’ingresso del palazzo con tutti i servi del suo padrone e non scese a casa sua. A Davide fu detto: “Uria non è tornato a casa”. Allora chiese a Uria: “Non sei appena tornato da una campagna militare? Perché non sei andato a casa?”. Uria rispose a Davide: “L’Arca, Israele e Giuda stanno nelle tende, mentre il mio comandante Joab e gli uomini del mio signore sono accampati in aperta campagna. Come potrei andare a casa mia per mangiare e bere e fare l’amore con mia moglie? Per quanto tu possa vivere, non farò una cosa simile!”. (2 Samuele 11:6-11)

L’assoluta fedeltà di Uria al popolo ebraico, nonostante egli stesso non sia ebreo, si contrappone al re Davide, che invece era rimasto a Gerusalemme, non era andato con l’esercito ed ebbe invece una relazione con la moglie di un altro uomo. Il fatto che il Tanach possa raccontare una storia del genere in cui uno straniero residente è l’eroe morale e Davide, il più grande re d’Israele, il malfattore, ci dice molto sulla moralità dell’ebraismo.

I diritti delle minoranze sono il miglior test di una società libera e giusta. Fin dai tempi di Mosè sono stati al centro della visione del tipo di società che Dio vuole che creiamo nella terra d’Israele. È quindi fondamentale che oggi li prendiamo sul serio.

Redazione Rabbi Jonathan Sacks zzl