Jewish and the City / «Oggi Milano ci conosce di più»

di Fiona Diwan

SEDER BESANA 2«Lo scopo è stato raggiunto: aprirsi alla città e far conoscere la cultura ebraica. Siamo soddisfatti, ci sono state una partecipazione e un seguito straordinari. Non era facile, perché la seconda volta è sempre più a rischio. Per la prima edizione, l’anno scorso, potevamo contare sull’effetto sorpresa ma quest’anno era un’incognita, specie con un clima politico così teso e pesante a causa del conflitto in Israele. Le nostre paure sono state smentite dai fatti: il Festival si è riconfermato un veicolo potente di comunicazione, conoscenza e approfondimento della cultura ebraica. L’interesse dei milanesi ha dimostrato quanto questa città sia ricettiva e quanto paghi investire tempo, energie e risorse in cultura e in proposte di qualità».

Così si esprime rav Roberto Della Rocca, Direttore scientifico del Festival Jewish and the city, in un primo bilancio della tre giorni milanese appena conclusa. Sorridente, contento ma attento nel cogliere tutti gli spunti per poter mettere a punto una formula ancor più efficace. «Questo Festival è stato l’esito di un gruppo composito di ideatori, in modo tale che si creasse un ventaglio di proposte che fossero polifoniche e ricche di sfumature. Per il futuro la formula andrebbe tuttavia perfezionata: più divulgativa, più ampia e alla portata di tutti, meno concettuale: per essere, se possibile, ancora più stimolante sia per il mondo ebraico che per i non ebrei. Per creare continuità e avvicinare la gente alla cultura ebraica non a spot, in maniera estemporanea, ma in modo più costante e continuativo. Sarà fondamentale infatti pensare a eventi mirati per i giovani, ad esempio. Quest’anno, il tema di Pesach e della liberazione dalla schiavitù sono stati declinati in modo molto assortito, una partitura varia e ricca, memoria, racconto, esilio, deserto, liberazione, ermeneutica, Torà, ma anche vita vissuta, cucina, musica, giochi… Una grande varietà di voci, anime, approcci. La copertura stampa è stata ampia e di qualità, la partecipazione istituzionale massiccia (la vice sindaco Ada Luisa De Cesaris, ad esempio, è stata molto presente ad eventi e dibattiti)».
Della RoccaRiallacciandosi ai contenuti e al tema del Festival, rav della Rocca ne sottolinea il messaggio emancipatorio e universalistico. In che cosa consiste questa diversità ebraica? Come riuscire a essere protagonisti autentici di una cultura di minoranza affinché ci siano sempre anche altre culture di minoranza? Un festival può aiutarci anche a rispondere a queste domande, dice rav Della Rocca. «Ogni volta che un ebreo riesce a trasformare il proprio passato in un progetto futuro, ha di che gioire. La strada del deserto intrapresa dal popolo d’Israele è quella più lunga e impervia, affinché il popolo non ci ripensi e torni in Egitto, ma anche perché non sempre i percorsi più brevi e vicini sono la strada giusta da seguire. Nei percorsi identitari, quelle che ci sembrano strade brevi, alla lunga si rivelano scorciatoie illusorie e pericolose. Troppo spesso, scegliere la via facile, quella più pret-a-porter e modaiola è fuorviante: se vuoi andare verso l’autenticità devi passare per il deserto e non farti sedurre da ciò che del nuovo ha solo l’apparenza; perché solo lì ci giunge la parola interiore e divina, e solo se riusciamo a fare entrare dentro di noi un po’ di deserto impariamo a dare ascolto e a spezzare il rumore che ci circonda. Rambam ci suggerisce che la scelta di portare il popolo nel deserto fu una scelta pedagogica. Andiamo nel deserto per costriuire il Derech Eretz, la via della terra ovvero dell’ETICA: non a caso la parola midbar, deserto, è simile a medaber, colui che parla e a davar, cosa-parola. Il Derech Eretz è la strada più lunga, ed è quella appunto dell’etica, del buon comportamento. Nel deserto noi impariamo a nutrirci della manna. E la manna è una formidabile metafora: scende dal cielo e non puoi conservarla, ne mangi solo la quantità necessaria per nutrirti. Se la conservi la manna marcisce e farà immediatamente i vermi: tutto questo per dirci che dobbiamo guardarci dal fare incetta, dal surplus inutile che finirà per marcire, dall’accumulo futile e dall’avidità, manna come elemento pedagogico fondamentale per liberarci dall’Egitto».