Yom Ha Shoah, un emozionante ricordo nell’Aula Magna della scuola

di Roberto Zadik
Yom Ha Shoah, un emozionante ricordo nell’Aula Magna della scuola. Discorsi, interventi ed emozioni, con la testimonianza della quarta liceo, dopo il viaggio ad Auschwitz
Per la prima volta, l’annuale appuntamento dello Yom Ha Shoah, “non solo giorno di ricordo ma giornata di lutto”, come ha specificato il Rabbino Capo Rav Alfonso Arbib, non si è tenuto presso la Sinagoga centrale di via Guastalla, ma nell’Aula Magna della scuola.
Organizzato dall’Associazione Figli della Shoah, con la presentazione di Susanna Barki Matalon, e dalla Comunità ebraica milanese, questo importante evento, tenutosi martedì 18 aprile, è stato scandito da una serie di interventi importanti, arricchiti dalle toccanti testimonianze del viaggio, nel lager di Auschwitz, da parte dei ragazzi della quarta superiore della scuola.
Momento centrale dell’iniziativa è stato l’accensione di sei candele, simboliche dei sei milioni di vittime, da parte di alcuni figli e nipoti di sopravvissuti ai lager; fra questi Alberto Belli Paci, figlio della senatrice Liliana Segre, Gadi Schoenheit assessore alla Cultura dell’Ucei, in ricordo di suo padre Franco, Rosanna Biazzi Bauer figlia di Goti Bauer, Eugenio Schek con Nina Schulz e Davide Fiano, nipote di Nedo. Alcune personalità comunitarie, da Rav Arbib, al preside della scuola Marco Camerini, sono intervenute con discorsi commemorativi e una serie di riflessioni; la parte finale dell’evento è  stata caratterizzata dalla presenza dei ragazzi della quarta superiore che hanno condiviso col pubblico riflessioni ed emozioni riguardo al loro viaggio in Polonia intonando, all’unisono, una commovente versione del canto pasquale Vehi sheamda. Rav Arbib ha poi recitato preghiere , come i Salmi Shir haMaalot ed il Kaddish.
“Dopo tanti anni in via Guastalla – ha esordito Susanna Barki Matalon dell’Associazione Figli della Shoah  – abbiamo deciso di celebrare questa giornata qui a scuola, perché voi siete il futuro della nostra comunità”. Successivamente ha specificato “quest’anno i nomi dei caduti non verranno letti, come di consueto, ma verranno proiettati sullo schermo in un file preparato durante il lockdown quando non era possibile incontrarci di persona”.
Fra le testimonianze durante l’accensione dei lumi, Alberto Belli Paci ha ricordato  le barbarie nazifasciste patite dai membri della sua famiglia, a cominciare dalle sofferenze di suo nonno Giuseppe Segre “picchiato dai nazisti e dai fascisti perché, affetto da Parkinson, aveva dei tremiti”. Molto toccanti i racconti di due figli di sopravvissuti come Nina Schulz e suo marito Eugenio Schek. La prima ha ricordato la sua famiglia polacca che” è perita quasi tutta a Auschwitz; è sopravvissuta solo mia madre che si è sposata con mio padre, anche lui unico scampato, riuscendo a costruire una famiglia, dando a me e a mia sorella Elena valori fondamentali che abbiamo cercato di trasmettere ai nostri figli e ai nostri nipoti, facendo sì che dalle ceneri nascesse la vita”.
Successivamente anche il marito Eugenio ha ricordato come la sua famiglia sia stata duramente colpita dalla Shoah, sia dal lato materno che paterno. Nel suo intervento egli ha sottolineato come suo padre, Ariel Schek fu l’unico a salvarsi dal massacro dello shtetl di Lubjenka, cittadina polacca al confine con l’Ucraina, perpetrato dalle SS locali i cui abitanti furono o ammazzati sul posto e gettati nelle fosse comuni o deportati nel lager di Sobibor; fortunatamente egli, poco prima, riuscì a sfuggire a quelle atrocità immigrando nell’allora Palestina mandataria. Successivamente egli ha aggiunto “vorrei rievocare che, visto che fra una settimana  ricorrerà il 25 aprile, data in cui la bandiera israeliana sarà come sempre insultata, egli,  con le truppe alleate, entrò a Milano con i mezzi della Brigata Ebraica con le effigi della Stella di David. Erano i reparti delle compagnie ebraiche, ragazzi che si sono arruolati volontariamente nell’esercito britannico nel 1941 impiegati su tutti i fronti, dall’Africa, All’Europa, all’Italia. Sono stati i primi reparti a entrare a Milano; erano in quarantamila  e sono quelli che hanno costituito l’esercito israeliano nel 1948″.
Davide Fiano, nipote di Nedo ha letto i nomi di alcuni suoi parenti come Nella Castiglioni Fiano, Gastone ed Umberto Volterra, morti nei lager. Rosanna Biazzi Bauer ha espresso qualche riflessione sulla complessità dell’essere figlia di una superstite: “Mia madre è sopravvissuta mentre la sua famiglia è stata sterminata; non ho foto ricordo né una tomba su cui piangere i miei parenti scomparsi” ha evidenziato invitando i ragazzi a studiare, a interrogarsi e a saper raccontare quanto accaduto alle future generazioni. Successivamente Gadi Schoenheit ha rievocato l’arresto dei membri della sua famiglia a Monsumanno Terme, provincia di Pistoia, e la deportazione di suo padre “internato nel campo di Fossoli soli 17 anni e costretto a leggere i nomi dei suoi parenti deportati, assistendo ad atrocità da film dell’orrore come l’arresto di un bambino di soli quattro anni”.
Particolarmente intenso è stato l’intervento di Rav Arbib che ha puntualizzato una serie di importanti considerazioni.  “Yom Ha Shoah sia un giorno di lutto – ha detto il Rav – in cui provare a capire la sofferenza altrui, e consolare il prossimo, immedesimandoci in situazioni allucinanti che non abbiamo vissuto, visto che siamo nati dopo e abbiamo vissuto in Paesi in cui potevamo dire quello che volevamo, cosa che non è scontata e dobbiamo imparare ad apprezzare”. Nel suo intervento egli ha poi espresso la propria preoccupazione “riguardo alla crescita dell’antisemitismo, in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti e l’Italia, Paesi in cui ci aspetteremmo qualcosa di meglio. Capendo che la Shoah è parte di una storia millenaria di odio antiebraico che non è finita nemmeno nel 1945”.
Rav Arbib ha sottolineato che quanto abbiamo attualmente, dalla scuola ebraica alla sinagoga di via Guastalla, “deriva dagli sforzi di chi è sopravvissuto alla Shoah e dobbiamo provare a pensare a cosa abbia significato ricostruire una comunità ebraica dalle macerie, dalla tragedie, dall’inferno vissuto; non era affatto scontato perché la reazione normale sarebbe stata la disperazione. I nostri nonni hanno ricostruito la vita ebraica e dobbiamo avere una gratitudine immensa, imparando a continuare la loro opera perché il ricordo del passato deve avere una proiezione nel presente e nel futuro, evitando di rimandare, ma pensando di fare  scelte che influiscono su di noi, sulla nostra Comunità e sul mondo intero”.
Introducendo l’ultima parte della mattinata, dedicata al viaggio a Auschwitz dei ragazzi delle superiori, il preside Camerini ha ricordato la complessità del viaggio in Polonia, come accompagnatore degli studenti, e le difficoltà di affrontare questa tematica nel Paese ancora oggi; a questo proposito, ha aggiunto il preside, “la guida del museo dell’ebraismo polacco di Varsavia ci ha raccontato delle enormi difficoltà che il museo sta incontrando nel raccontare alcuni episodi scomodi tanto da aver addirittura rischiato la chiusura. Ciò sottolinea la necessità della nostra riflessione collettiva di oggi che deve essere trasformata in azioni concrete. Sulla scia di queste riflessioni – ha affermato – introduco l’intervento dei ragazzi,  dopo il viaggio in Polonia, con le loro considerazioni personali”.
Subito dopo i ragazzi hanno letto una serie di brani estremamente emozionanti che hanno ricordato “il silenzio dei campi di sterminio, l’impossibilità di trovare le parole per raccontare e come questa esperienza sia densa di emozioni, di ricordi e stati d’animo”. Una ragazza ha espresso un pensiero particolarmente profondo partendo dal nome del lager Auschwitz Birkenau.  “La parola Birkenau – ha ricordato – significa il bosco delle betulle, albero da sempre associato alla vita, guardiane di quel dolore e testimoni di morte. Se le betulle potessero parlare cosa direbbero? Betulle inermi davanti a tutte quelle atrocità; sembra che non ci siano parole per descrivere tutto questo, come descrivere il dolore dei prigionieri, il loro vissuto. Attraversando il campo il silenzio era interrotto dai nostri passi e dalla voce della guida; non siamo riusciti a comprendere il perché di quello che abbiamo visto e abbiamo capito quanto sia essenziale essere grati di ogni singolo momento di vita”.