Da sinistra, Roma Polansky e Sidnry Lumet

Viaggio nel cinema ebraico polacco al Beth Shlomo: protagonisti Roman Polanski e Sidney Lumet

di Pietro Baragiola
Dopo aver esplorato il tema del male nei film di Kubrick, Spielberg e Schlesinger e il senso dell’umorismo con Woody Allen e Ben Stiller, continua il ciclo di appuntamenti Cinema ed ebrei con il suo terzo incontro, tenutosi il 28 giugno al centro Beth Shlomo di Milano, avente come protagonisti i principali talenti del cinema polacco.

Attraverso la sua immensa cultura cinematografica, il giornalista e presentatore Roberto Zadik ripercorre i capolavori di grandi registi come Andrzej Wajda, Roman Polanski e Sidney Lumet in una riflessione sulla cultura ebraico-polacca, di cui spesso ignoriamo l’esistenza.

“Spesso rivendichiamo un europeismo che è solo formale e non di sostanza e dobbiamo aprire la mente su certi paesi”: così Zadik espone l’obiettivo principale della serata: mostrare l’impatto che i numerosi artisti est-europei hanno avuto nel mondo occidentale, creando una maggiore consapevolezza sul come essere polacchi non riguardi solamente l’essere nati in Polonia ma piuttosto il sentimento di appartenenza alle proprie origini famigliari.

L’evento, organizzato da Adi (Associazione Amici di Israele) e coordinato dal Direttore del Museo della Brigata Ebraica Davide Romano, è stato dedicato al grande maestro dell’ebraismo milanese Rav Rodal z’’l, venuto a mancare il 16 ottobre 2022, e a tutti gli ebrei polacchi vittime delle persecuzioni antisemite avvenute durante e dopo gli eventi della II Guerra Mondiale.

Roman Polanski fuga dal dolore

Esattamente come il brano Notturno N.20 in do diesis minore introduce il personaggio dell’ebreo Wladyslaw Szpilman nel film Il Pianista, così la musica di Chopin echeggia nella sala del centro Beth Shlomo per introdurre la storia del regista di questo capolavoro cinematografico: Roman Polanski.

Nato a Parigi nel 1933, Polanski si è sempre definito “francese nell’anima ma polacco nel cuore”. Il suo nome originale infatti era Rajmund Liebling ma decise di cambiarlo per affermare la propria identità polacca. Di origine ebraica, Polanski dovette affrontare sin da piccolo il dolore delle persecuzioni antisemite della Parigi occupata dal nazismo e, dopo la cattura dei suoi genitori, fuggì in Polonia dove, sotto l’ala del regista Andrzej Wajda, iniziò i suoi primi passi nella carriera di attore, scoprendo il cinema come fuga dai regimi e dai tormenti personali.

“Fu un cineasta estremamente prolifico e versatilissimo, capace di passare da un genere all’altro” spiega Roberto Zadik, descrivendo la carriera di Polanski dai suoi esordi “fin troppo liberali” (Il coltello nell’acqua), che lo portarono a emigrare in America, alla commedia (Per favore non mordermi sul collo) per poi culminare con il film che introdusse l’horror satanico nel mondo: Rosemary’s Baby.

Quest’ultimo capolavoro è stato per molti versi la maledizione del regista polacco: quando nel 1969 Polanski si recò a Londra per pubblicizzare il film, la setta guidata dal serial killer Charles Manson irruppe nella sua casa di Los Angeles e uccise brutalmente la moglie Sharon Tate, incinta di 8 mesi. Sconvolto da questo episodio terribile (per il quale venne anche per un certo periodo ingiustamente accusato), Polanski iniziò a concentrarsi sull’oscurità dell’animo umano attraverso film come Macbeth e La nona porta. Il 2002 si rivela essere un anno molto importante per la vita del regista che sancisce il suo risveglio ebraico con uno dei suoi più grandi capolavori: Il pianista, vincitore di 3 premi oscar.

Interpretato dal magistrale Adrien Brody, il film racconta per la prima volta in assoluto l’esperienza tormentata degli ebrei nel ghetto di Varsavia, concentrandosi sulla teoria Schopenhaueriana della musica come fuga dal dolore.

È grazie alla musica, infatti, che il pianista Szpilman riesce a convincere il gerarca nazista Hosenfed a risparmiarlo, commosso dalla sua bravura nel suonare i brani di Chopin (anche lui franco-polacco come Polanski).

Adrien Brody ne ‘Il pianista’ di Roman Polanksy

 

Il tema dell’ebraismo verrà poi nuovamente ripreso nel film L’ufficiale e la spia in cui Polanski si immedesima nell’antisemitismo francese di fine ‘800 per raccontare gli eventi dell’Affare Dreyfus, il grande conflitto politico e sociale che ispirò lo scrittore Theodor Herzl a introdurre l’idea dello Stato d’Israele.

Nonostante gli atroci dolori del suo passato, Polanski non ha perso la sua simpatia e il forte senso di appartenenza che lo lega alla sua amata Polonia dove, due anni fa, ha girato con l’amico fotografo Ryszard Horowitz il documentario Hometown – La strada dei ricordi, raccontando il suo passato mentre passeggia per la città di Cracovia con la nostalgia e ironia tipiche del regista polacco.

“Oggi Polanski è un uomo che ha saputo trovare la vita anche se ha conosciuto molto bene la morte, risollevandosi dalle ceneri della storia e della sua tragedia personale” afferma Zadik.

Sidney Lumet e gli ebrei in America

Nato a Philadelphia da una famiglia di attori polacchi di origine ebraica, Sidney Lumet aveva “lo spettacolo nel sangue” e, diversamente da Polanski, comincia subito a parlare di ebrei nella prima parte del suo cammino creativo.

Con L’uomo del banco dei pegni, uscito nel 1964, il regista fece una cosa mai vista prima: parlare dei sopravvissuti della Shoah raccontando la loro vita prima e dopo gli orrori della II Guerra Mondiale. Protagonista della vicenda è il cinico Sol Nazerman (interpretato da Rod Steiger), gestore di un negozio di Harlem, che, per sopravvivere alla morte della figlia e della moglie deportate ad Auschwitz durante la guerra, ha deciso di distaccarsi da tutto e da tutti, trovando nei pegni l’unico motivo per andare avanti. “L’avere sostituisce l’essere” afferma Zadik per descrivere il comportamento di Nazerman che si erge a rappresentante dell’ebraismo polacco disilluso e traumatizzato dalla Shoah.

Una scena del film ‘Il banco dei pegni di Sidney Lumet

Lumet era noto per inserire sempre un tocco esistenziale nei suoi film, come fece nel poliziesco Un’estranea fra noi in cui Melanie Griffith cerca di risolvere un omicidio inserendosi nella comunità chassidica Lubavitch di New York. Questo film, guidando lo spettatore in un costante contrasto tra il mondo esterno e il mondo ebraico, introdusse il filone di capolavori sulle vite degli ebrei ortodossi, tra cui ricordiamo la serie TV di successo Shtisel.

Sidney Lumet si spense il 9 aprile 2011, a pochi anni dal suo ultimo film Onora il padre e la madre che ottenne grande plauso dal pubblico.

I suoi capolavori mostrarono al pubblico come l’America fosse in realtà costituita da tante isole etniche che, come i pezzi di un mosaico, hanno plasmato la sua cultura di oggi. “È importante riflettere sull’Est Europa per capire l’ovest e comprendere il cinema e l’arte di questi territori per avere una chiara idea della società del mondo in cui viviamo e di noi stessi” conclude Roberto Zadik.